Tutti gli uomini di Casaleggio
Chi contava e chi conta nella casa madre aziendale del M5s, passando dall’utopia-distopia alla realtà
La fine è nota, diceva il titolo di un piccolo romanzo giallo scritto dal misterioso Geoffrey Holiday Hall negli anni Cinquanta e ripubblicato da Sellerio più di tre decenni dopo, con una nota di Leonardo Sciascia (che si era imbattuto nel libro per caso, in un’edicola di stazione, e ne aveva ricavato l’impressione duratura che quella storia fosse molto più di un giallo, e in ogni caso grande letteratura). Ma nella storia socio-politico-economico-internettiana che abbiamo davanti – quella di Beppe Grillo, del Movimento 5 stelle e della Casaleggio Associati – la fine non è nota, la letteratura è presente soltanto a intermittenza (sotto forma di commedia, tragedia, melodramma e romanzo distopico) e neanche l’inizio è così chiaro. Inizio e fine in questa storia sono anzi un po’ palindromi: a leggere dalla fine, sembra di tornare agli inizi (Beppe Grillo si rimette a fare solo il comico? La
Il discorso di Beppe Grillo,
il suo distacco dalla Casaleggio annunciato dal Corriere e il mistero dell'Associazione Rousseau
Casaleggio Associati getta la maschera di azienda-azienda e indossa ufficialmente il vestito politico?). A leggere dall’inizio, sembra di vedere già l’epilogo: il manager visionario Gianroberto, fissato con Isaac Asimov e la Rete che, dall’azienda, si spinge a delineare i confini del fantomatico pianeta “Gaia”, oggetto di un suo video considerato semiserio ma anche profondamente collegato a quell’idea astrattamente politica di “interconnessione” degli “uno vale uno”, smentita all’inizio come alla fine dalla realtà dei fatti. E sì, c’è il video di Capodanno di Beppe Grillo, quello che preannuncia il distacco parziale, e c’è il titolo del Corriere della Sera di ieri – “Grillo non fa la campagna e stacca il blog da Casaleggio”. Ma non è detto che questo sia un nuovo principio, ché gli indizi c’erano già. E, a partire dai due protagonisti principali, Beppe Grillo e Davide Casaleggio, figlio di Gianroberto, nel Movimento ci si comportava ormai come fosse assodato il passaggio al M5s 2.0, quello che in teoria dovrebbe camminare “con le sue gambe”, ma che in pratica, con Grillo autorelegato sullo sfondo, è ancora più interconnesso, come direbbe Casaleggio, non all’universo dei singoli tutti uguali e pari, ma al piccolo mondo di Via Morone 6, Milano, sede della Casaleggio Associati.
E se l’inizio è difficile da collocare esattamente nel tempo, perché ha a che fare con le idee puriste del manager Casaleggio su un futuro tutto improntato al “Tu sei rete”, titolo di un libro di Davide che rispecchia la visione del padre, e con il contesto politico italiano degli ultimi vent’anni, con coda di sentimenti “anticasta”, la fine non è neanche lontanamente appesa al 4 marzo, data delle elezioni. Che risulti primo o no nelle urne, infatti, il M5s è già andato oltre quello che pensava di essere, e soprattutto oltre quello che i suoi attivisti (ingenuamente o no) pensavano potesse diventare. E l’indizio che più di tutti gli altri porta all’oggi, come scrivono l’ex dipendente storico della Casaleggio Marco Canestrari e l’ex responsabile della Comunicazione a Cinque stelle a Montecitorio Nicola Biondo in “Supernova. Com’è stato ucciso il M5s”, è racchiuso in una parola breve e misteriosa almeno quanto il misterioso autore del giallo che piaceva a Sciascia: “Staff”. Che cosa faceva e che cosa fa lo staff che ruotava e ruota attorno al Movimento e al suo (finora) più potente megafono mediatico Beppe? E soprattutto: chi era e chi è lo staff, creatura tanto lessicamente impalpabile quanto realmente invasiva? Che qualsiasi movimento politico abbia bisogno di uno staff, oltre che di una classe parlamentare all’altezza, è ovvio. Meno ovvio, però, è che lo staff arrivi dall’alto proprio nel movimento che si vuole raccontare come creato “dal basso”, ed è tanto meno ovvio agli occhi di chi pensava (ingenuamente o no) di non aver bisogno di nulla se non di un clic, e di poter in nome di questo inchiodare gli altri al “noi siamo puri, voi siete casta”. Per dirla con Canestrari e Biondo, è in via Morone, a Milano, che “si verificano tutti gli strani incroci che solo le grandi storie sanno mettere in scena: amore e odio, luce e oscurità, creazione e morte, business e attivismo. Via Morone è creazione e cieca ubbidienza, è il posto in cui è successo tutto, è sala parto e luogo del delitto, è incubatrice e tomba…E’ qui che Gianroberto ha scritto: ‘Ogni eletto risponderà al programma m5s e alla propria coscienza, non a organi direttivi’”.
Ma l’indizio che la storia stesse giungendo a un punto di non ritorno è anche nascosto nel metodo: il piccolo dossieraggio reciproco, prima nei meet-up e poi a livelli più alti, quasi correntizi. Segno che il sogno folle di Gianroberto si è sgretolato al primo scontro con l’umanissima ambizione. Si salva, nel M5s, chi per primo lo capisce. E sembrano averlo capito, intanto, Luigi Di Maio e Roberta Lombardi, i due non-politici più politici del M5s, e per altri versi Alessandro Di Battista, il non-politico più “diversamente politico” del Movimento: uno che c’è – con un libro e con un tour annunciato – ma non si candida, saltando il giro, visto anche l’esito probabilmente paludoso del voto e del dopo-voto. Ma è comunque attorno allo staff che si gioca la partita: staff aziendale e staff inteso come emanazione politica della casa madre casaleggiana (persone fidate nel Parlamento uscente e in prospettiva). Persone che, nel momento dello sdoppiamento Grillo-Movimento, con il Blog delle Stelle e l’Associazione Rousseau in teoria lanciate in primo piano al posto del blog del comico, dovranno tenere in equilibrio la baracca. E però i confini dello staff sono labili: chi c’era ieri può non esserci oggi, chi non si conforma alle regole è fuori (cosa normale in un’azienda, ma che fare quando l’azienda controlla un braccio etico-politico?).
Il passaggio da Gianroberto a Davide è anche questione di staff. I casi Borrelli, Pittarello e Belotti,
il libro di Biondo e Canestrari
Nel passato, e cioè nel momento in cui il M5s è uscito dal piano locale per diventare prima forza politica, nel post elezioni 2013, la Casaleggio Associati poteva ancora apparire, dall’esterno, come un elemento più di folclore che di potere, con quel “guru della Rete” chiuso nel suo ufficio a illuminare d’immenso il comico del “vaffa”. Tempo un mese, si è capito però che, per quanto folcloristici potessero apparire i divieti di talk-show, le espulsioni, le votazioni tra quattro gatti e i comunicati via blog, Casaleggio e i casaleggiani erano la vera mente. Ed erano già stati a contatto con Roma, attraverso la collaborazione con l’Idv di Antonio Di Pietro. Ma quando ci si è trovati a dover gestire i parlamentari e il 25,5 di consensi, nell’azienda milanese non è bastato più Asimov. E lo staff era sempre lì.
Oggi possono essere chiamati staff sia gli uomini-azienda sia gli uomini non necessariamente aziendali, ma anche parlamentari, che erano più dal lato Grillo e che, di fronte alla gestione di Davide Casaleggio, si sono dovuti adattare o leggermente “nascondere” in seconda fila, in attesa di capire il da farsi (secondo alcuni osservatori, si sono trovati in questa condizione, a un certo punto, sia il deputato e presidente della Vigilanza Rai Roberto Fico sia il plenipotenziario della Comunicazione al Senato Rocco Casalino, all’inizio più vicino a Grillo che a Gianroberto. Poi Casalino conquista la fiducia di Davide, tanto che lo si vede sempre o nell’entourage ristretto di quest’ultimo e, nel corso dell’ultimo anno, in quello di Luigi Di Maio, candidato premier). Perché oggi lo staff è anche classificabile lungo la direttrice “Di Maio”, e nel board pre-elettorale di Di Maio, oltre a Vincenzo Spadafora, ex presidente Unicef Italia, ex Garante per l’Infanzia, ex montezemoliano, poi responsabile delle Relazioni istituzionali del candidato premier, figura anche Pietro Dettori, già dipendente della Casaleggio Associati, poi assunto con movimento di traslazione (ma i critici dicono: con movimento di “esternalizzazione costi”) all’Associazione Rousseau come responsabile editoriale. Dettori, poco più che trentenne, un tempo considerato uomo-macchina del blog di Grillo nonché suo ghostwriter, oggi è in forze come giovane veterano dei social media, con tanto di passati studi computeristici in quel di Praga e un fratello star del web a Cinque stelle (con sito sui vizi dei media italiani) . Il ruolo di Dettori è stabile all’intersezione tra vecchio e nuovo grillismo, laddove si annidano anche le domande più inquietanti. Per esempio: se comunque è Casaleggio via Rousseau che decide chi, tra gli attivisti, è “certificato” e può votare, per non dire dell’ultima parola ufficiosa sui futuri candidati alle Politiche, come può ancora essere sostenuta la tesi del movimento dal basso? E ancora: se il mondo virtuale sognato da Casaleggio senior prendesse un giorno, in modo intensivo, la strada della profilazione dell’utente, come la si metterebbe con il conseguente, eventuale conflitto di interessi?
Il problema del metodo, i piccoli dossieraggi interni. Il ruolo
di Casalino e Dettori
nella nuova epoca Di Maio
Fatto sta che intanto, alla voce “staff”, emerge lo strano caso di David Borrelli. Eurodeputato, fino a poco tempo fa considerato “il braccio casaleggiano” a Bruxelles, nonché uno dei tre soci di Rousseau, oggi così risponde a chi, come Luciano Capone per questo giornale, gli chieda informazioni sull’associazione privata-cervellone-piattaforma di “democrazia diretta” e “cassaforte” del movimento grazie alle donazioni: “Vorrei evitare di parlare dell’Associazione Rousseau, non so nulla di più di quel che è pubblico, sono in quell’associazione perché Grillo mi ha chiesto di esserci, ma è come se non ci fossi…io sono un portavoce del M5s, dell’Associazione Rousseau so poco, ma meno ne so meglio è”. E per quanto l’Associazione Rousseau non sia fatta della materia di cui sono fatti i sogni, la stessa resta immersa in un parziale mistero. Borrelli, invece, è ultimamente passato attraverso due “casi mediatici”: quando l’Espresso ha segnalato che la sua compagna Maria Angela Riva era stata assunta nello staff dell’eurodeputata m5s Isabella Adinolfi, sia Borrelli sia Adinolfi hanno detto che Riva era stata scelta per via del curriculum, ma a Treviso, città natale di Borrelli, c’è chi, nel M5s, ha lanciato il sospetto che qualcuno dall’interno volesse affossare l’eurodeputato vicino a Casaleggio. L’altro incidente è stato politico: Borrelli è stato copresidente assieme a Nigel Farage del gruppo parlamentare Europa della Libertà e della Democrazia Diretta. Ma poi è stato uno dei negoziatori dell’adesione degli eurodeputati del M5s al gruppo parlamentare liberale ALDE, adesione poi rigettata dagli stessi liberali. Caso surreale anzichenò, di cui hanno fatto le spese, negli equilibri interni al M5s di stanza a Bruxelles, lo stesso Borrelli (anche se non troppo) e Filippo Pittarello, uomo storico della Casaleggio, bocconiano di Padova, molto stimato da Gianroberto (ai tempi il Corriere del Veneto lo chiamava “il dioscuro oscuro”), meno in auge con Davide, prima mandato in Europa a sostituire Claudio Messora alla Comunicazione, e poi sostituito a sua volta da Cristina Belotti. E qui si apre un’altra sotto-storia di staff: la Belotti ha un passato nella redazione televisiva del programma di Paolo Del Debbio a Rete4. E’ arrivata alla Casaleggio tramite Pittarello – particolare che renderebbe il suddetto e successivo avvicendamento Pittarello-Belotti a Bruxelles degno di “House of Cards”, non fosse per il profilo basso dei protagonisti, che a tutti i costi vogliono apparire umili funzionari e non scafati politici. Al momento, Belotti è annoverata tra i casaleggiani puri (gestione Davide), anche se a Bruxelles c’è chi, sottobanco, dice di “rimpiangere Pittarello”. Ma il vero avvicendamento divisivo di cui si è stata protagonista Belotti è precedente: dopo aver lavorato con Luca Eleuteri, uno dei soci storici della Casaleggio con Mario Buccich e Maurizio Benzi, ha poi preso il posto di Matteo Ponzano, il vj e e demiurgo del canale web tv La Cosa (si sospetta per disaccordo tra Ponzano e Casaleggio senior).
I due mandati, Max Bugani,
Roberta Lombardi "politico vecchio stile" e quella domanda ricorrente: che cosa succede dopo?
Finora non scalfita, invece, sembra la fiducia casaleggiana per Ilaria Loquenzi, capo comunicazione del gruppo m5s uscente alla Camera. Stessa cosa per Silvia Virgulti, esperta di comunicazione televisiva di impostazione new age, ferrata in programmazione neurolinguistica: incaricata di educare alla “tv” i parlamentari grillini a cui inizialmente la tv era stata vietata, è anche glottologa nonché ex compagna di Luigi Di Maio. Non semplice è poi il caso di Max Bugani: terza gamba di Rousseau con Davide Casaleggio e David Borrelli, è conosciuto nel M5s come il consigliere comunale bolognese super-ortodosso che nella prima fase del grillismo, e nell’Emilia Romagna in cui le prime magagne del M5s vennero a galla, è stato investito del compito di contenere il poi espulso ex consigliere regionale Giovanni Favia. Ora Bugani è anche incarnazione dell’urgenza di rivedere il divieto m5s dei due mandati (Bugani l’ha detto, subito corretto da Beppe Grillo). Dal Parlamento uscente, intanto, emergono due superfiduciari casaleggiani di fatto: il senatore Carlo Martelli, star dei social network grillini, molto stimato da Bugani che un giorno lo definì pubblicamente, come ha ricordato l’Espresso, uomo capace di accedere a qualsiasi informazione; e Roberta Lombardi, deputata e candidata presidente della Regione Lazio. Lombardi è stata a lungo a guardare, muovendosi con modalità da politico di epoca pre-grillina. Partecipa ad eventi di piazza con Davide Casaleggio, e ha avuto un momento di freddo con Grillo, al punto da non rispondergli al telefono. Ora, pur senza dirlo, non si appiattisce su Di Maio, anche per evitare di essere associata a Di Maio in caso di risultati nazionali inferiori alle aspettative (dovesse passare la riforma dei due mandati, Lombardi potrebbe a quel punto beneficiarne).
Che cosa succede dopo?, viene da domandarsi mentre il voto del 4 marzo si fa sempre più vicino. Alla Casaleggio Associati si augurano probabilmente che non si ripresenti il caso increscioso della primavera 2013, cioè che che non si ripresenti il caos degli inizi, quando la neo truppa parlamentare iniziò a litigare sugli scontrini e sulla tv, dimostrando subito un’estrema litigiosità interna tra chi contestava il ruolo di Casaleggio e chi invece si nascondeva dietro quella leadership per salire di grado e poi dare il via alla scalata parlamentare. E si augurano forse anche che non si ripresenti la piccola scena di costernazione conseguente. Ce la racconta Nicola Biondo, allora testimone e parte in causa: c’è Gianroberto Casaleggio che osserva i soldatini neoeletti, non obbedienti, disorientati e in alcuni casi spiazzanti, nonostante gli sforzi suoi e di Grillo per compattare e rendere edotte le truppe digiune di politiche nella casa del comico a Marina di Bibbona. E un giorno Casaleggio chiama Biondo e chiede: “Ma perché fanno così, questi ragazzi cosa vogliono davvero?”. Risposta: “Sono dei miracolati delle Rete, li hai voluti così senza arte né parte, i servi cercano i padroni. Ora stanno assaggiando la torta. Questi ragazzi cambieranno, tutti noi cambieremo. I tempi difficili verranno quando i media ci aduleranno, non ora. E a quel punto le tue creature non obbediranno più ai tuoi princìpi”.
(E insomma la fine non è nota, ma a Milano, in via Morone 6, al momento ci si scervella per scongiurare il ripetersi dei primi capitoli).