Pietro Grasso e, sullo sfondo, un'immagine di Massimo D'Alema (foto LaPresse)

La voglia di governissimo di D'Alema ha già smontato Liberi e Uguali

Fra tutte le liste elettorali, LeU è quella che più velocemente sta dimostrando la propria provvisorietà: un po’ strumento della vendetta del lìder Maximo, un po’ taxi per un ceto politico senzatetto

La convinzione diffusa che all’indomani del 4 marzo le coalizioni artificiose costruite ad usum Rosatelli siano destinate a smontarsi è già realtà, attualità, per quanto riguarda Liberi e Uguali. Prima ancora che siano presentati simbolo e candidati. Fra tutte le liste elettorali, LeU è quella che più velocemente sta dimostrando la propria provvisorietà. Altro che nuovo soggetto politico chiamato a rifondare la sinistra. Ogni giorno più chiaramente si confessa per quello che è: un po’ strumento della vendetta di D’Alema, un po’ taxi per un ceto politico senzatetto. Mentre quella che sarebbe in teoria la missione più nobile, competere con i Cinque Stelle sullo spicchio di mercato elettorale di sinistra anti-Pd, è anche quella perseguita con minore convinzione, minore efficacia, perfino con esiti palesemente controproducenti quando Bersani insiste nell’accreditare Di Maio come possibile partner di governo.

 

L’uscita di D’Alema sul futuro governo del presidente, con la sua esplicita intenzione di stare nel gioco di questa eventuale partita, ha fatto già impazzire la maionese dei “liberi ed eguali”, in particolare nelle sue frange che hanno trascorso l’intera diciassettesima legislatura all’opposizione rispetto a una larga coalizione che pure era molto più “di sinistra” di quella che potrebbe nascere con i rapporti di forza del 4 marzo. Il conflitto interno è evidente, ed è perfino sopito rispetto alla realtà per il semplice motivo che tutti si stanno ancora battendo e sbattendo per conquistare i pochi posti sicuri in lista: quando le liste saranno fatte e nessuno più avrà nulla da perdere né da temere, ne vedremo e sentiremo di ancora più belle. Grasso, Boldrini, D’Alema, Bersani, Fratoianni: ognuno ha un’agenda diversa dagli altri e spesso opposta. La rivalità e l’acidità reciproca tra i due presidenti uscenti delle camere, per esempio, appare già non ricomponibile.

 

Ma queste sono vicende minori e passeggere. La cosa più interessante che il microcosmo LeU sta raccontando alla politica è un’altra: è la prefigurazione in scala ridotta di ciò che accadrà nei prossimi mesi, quando la faglia si aprirà trasversale rispetto a partiti e coalizioni e li dividerà sulla base delle risposte che ciascuno si sentirà di dare alle iniziative che Mattarella dovrà inevitabilmente prendere. Dentro LeU il fenomeno si manifesta con un discreto anticipo, diciamo. Forse a gratis (perché il Pd dovrebbe ricambiare i dispetti che subisce ora coinvolgendo domani D’Alema nelle manovre per il governo?) o forse no (il Pd potrebbe dover coinvolgere i compagni separati non solo per i numeri in Parlamento ma soprattutto per coprirsi a sinistra rispetto a un dissenso prevedibilmente forte sull’ipotesi di larghe intese, come sta accadendo in Germania nella Spd, e l’intervista di Delrio a Repubblica potrebbe esserne una spia).

 

Sicché potremmo arrivare al paradosso che una eventuale larga coalizione possa finire per favorire una ricomposizione fra coloro che nell’ultima legislatura si sono divisi, magari strumentalmente, proprio intorno alla questione dei rapporti col centrodestra. Con un problemino non da poco. Che D’Alema ha fatto tutto ciò che ha fatto per espellere dal campo di gioco Matteo Renzi. E per quanto ora Delrio (d’accordo con Renzi stesso) ridimensioni per fini elettorali il ruolo del suo segretario a “uno della squadra”, dopo il 4 marzo con qualsiasi risultato sarà difficile, anzi impossibile, trovare un solo dirigente del Pd disposto a regalare a D’Alema e Bersani lo scalpo desiderato. Impossibile, e anche abbastanza inutile, arrovellarsi oggi intorno a quanto potrà succedere fra due mesi, ma non possiamo neanche escludere che i voti di Pippo Civati, per dire, possano prima o poi essere usati per apparecchiare un tavolo dove siederanno (tutti a capotavola, diciamo) Berlusconi, D’Alema e Renzi, ma non certo il povero Civati.