Doppia solitudine
Confalonieri e Scalfari sognano un Nazareno-bis. Ma l’intendenza, e le opposte redazioni, non seguono
Roma. Tra le tante storie parallele e bislacche che prendono forma durante la campagna elettorale nel centrosinistra e nel centrodestra politico-mediatico, ce n’è una che riguarda specularmente Fedele Confalonieri (e Mediaset) ed Eugenio Scalfari (e Repubblica). Si dà il caso, infatti, che i due grandi padri della tv di Cologno Monzese e del quotidiano di Largo Fochetti si trovino nella singolare posizione di coloro che spingono in direzione per così dire opposta rispetto al corpaccione aziendal-redazionale. Partendo dalla fine, ecco che Confalonieri, sul Fatto quotidiano di ieri, dice che il futuro, secondo lui, sebbene in un quadro di stallo politico, e forse di Gentiloni bis, riserva ancora un patto del Nazareno, una seconda edizione dell’intesa cordiale tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Lo dice anche con paragone estero: “Martin Schulz ha lottato contro Angela Merkel per mesi, anche in maniera feroce. E oggi si stringono la mano per l’ennesima coalizione. Al momento Silvio e Matteo sono divisi, domani vedremo”. E non è la prima volta.
Ci sono stati giorni in cui, nell’estate del 2016, a monte del referendum costituzionale e della sconfitta dell’ex premier, Confalonieri auspicava il ritorno di Berlusconi alla politica proprio in chiave di “aiuto” all’allora governo Renzi: “Vorrei qualcosa che somigli al Nazareno”, diceva alla Stampa, e aggiungeva: “Dovremmo dare ancora fiducia, in fondo Renzi non ha fatto male”. Ma già allora l’animo moderato del presidente di Mediaset se ne andava in direzione opposta a quella degli schermi di casa sua, tanto che qualche mese dopo, nel marzo del 2017, intervistato da questo giornale, pronunciava un “cui prodest? a chi giova?” all’indirizzo della pratica (anche targata Mediaset) della tv che insegue il populismo politico: “C’è un clima in una parte del paese, un malumore che la televisione intercetta, e che poi a volte, per fortuna non sempre, enfatizza. I nostri conduttori sono bravi, ma in questa logica dell’urlo adesso stiamo esagerando”, diceva. E chissà se oggi trova qualcosa di troppo gridato nel palinsesto a volte pencolante in direzione anti casta (specie al mattino). Intanto c’è chi, a Cologno Monzese, si è domandato se “la salvinizzazione di alcune ospitate” non sia “controproducente”; chi si è ritrovato a confidare in Barbara D’Urso per un “rassicurante pomeriggio” e chi ha sperato che la trasformazione in “dibattito più pensoso” di alcuni programmi tradizionalmente urlati non desse l’impressione “di aver messo un vestito da sera a un culturista”).
Per non dire di Eugenio Scalfari, Fondatore di Rep. che non molto tempo fa, su La7, nel salotto di Giovanni Floris, a “DiMartedì”, ha detto: “A chi affiderei il governo del paese, dovendo scegliere tra Berlusconi e Di Maio? Sceglierei Berlusconi” (seguiva risposta dell’Ingegnere ed ex editore Carlo De Benedetti sul Corriere della Sera: “Questione improponibile, si può restare a casa o votare scheda bianca”). E se è vero che in seguito, sul tema Repubblica in sé, il Fondatore è stato difeso da direzione e redazione quando l’ex editore l’ha attaccato dal salotto di Lilli Gruber a “Otto e mezzo”, sempre su La7, definendolo tra le altre cose “ingrato” e criticando la linea editoriale, è pure vero che il tono generale dei commenti, a Rep., non è parso negli ultimi mesi in linea con il “berlusconismo” obtorto collo di Scalfari. Ed è come se i due padri si trovassero immersi nella grande solitudine di chi vede i figli andare per conto loro, e non sempre nella direzione auspicata. “Sia Scalfari sia Confalonieri”, dice il conduttore di “Matrix” Nicola Porro, “ne hanno viste talmente tante che è inevitabile siano anche i più lucidi. Spesso non si trovano d’accordo con la versione più facile e non si fanno ingannare dall’ultimo titolo. Unica differenza: uno parla con Dio, l’altro con Beethoven”.