Il voto inutile secondo Confindustria
Viva il Jobs Act e la legge Fornero. Sì al metodo Macron e al modello tedesco. E il pericolo grillino? “Le imprese faranno la loro parte e non resteranno neutrali. No al protezionismo e al sovranismo”. Chiacchierata con il dg di Confindustria
A poche settimane dalla fine della campagna elettorale, a parte qualche eroico caso isolato, nessun pezzo da novanta della classe dirigente italiana, lo ha ricordato ieri il Foglio, è ancora sceso in campo per dire in modo esplicito che di fronte a un partito come il Movimento 5 stelle, pericoloso per la nostra economia, per la nostra democrazia, oltre che per la nostra grammatica, essere neutrali, oggi, significa già aver scelto chiaramente da che parte stare. La storia la conoscete: in tutti i grandi paesi europei, alla vigilia delle elezioni, dalla Francia alla Germania, il mondo imprenditoriale, negli ultimi mesi, ha sempre scelto di schierarsi contro le linee politiche considerate pericolose per il paese. Al momento, però, un atteggiamento analogo a quello adottato dagli establishment francese e tedesco nei confronti del sovranismo economico e democratico portato avanti da partiti come il Front national e l’AfD, non si può dire che sia stato registrato anche in Italia. E allora la domanda diventa quasi naturale: è la nostra classe dirigente a non volersi schierare oppure sono i giornalisti a non essere interessati a come si schiera la nostra classe dirigente alle elezioni? Venerdì prossimo a Verona Confindustria ha convocato le sue assise generali e lo ha fatto in un momento delicato per la vita politica del paese. Il 16 febbraio mancheranno poco più di due settimane al voto e in quell’occasione si capirà se i vertici di Confindustria sceglieranno di offrire ai propri associati un messaggio simile a quello che diede il presidente della Confindustria tedesca, Dieter Kempf, alla vigilia delle elezioni politiche di settembre. Cosa disse Dieter Kempf? In una intervista rilasciata il 18 settembre del 2017 alla Südwest Presse disse, pensando all’AfD, di essere preoccupato da quei partiti che non rispettano la democrazia parlamentare, da quei partiti che attaccano le persone attraverso l’odio veicolato dai social media, da quei partiti che non accettano la sfida dell’apertura tecnologica, da quei partiti che avendo in testa solo la logica della redistribuzione scelgono di combattere la ricchezza. La domanda è dunque ovvia: che cos’è per Confindustria un voto inutile in questa campagna elettorale? Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria, accetta di rispondere a questa domanda, e chiacchierando con il Foglio ci spiega quali sono i paletti del sindacato degli imprenditori in vista del voto del 4 marzo.
“Io credo che oggi chi rappresenta l’impresa ha il dovere di non nascondersi e di dire le cose come stanno. Premesso che non giudichiamo persone o partiti, ma proposte e idee, ci sentiamo di dire che oggi un voto non utile esiste ed è quello che potrebbe essere dato a chiunque suggerisca per il nostro paese delle ricette economiche votate al protezionismo e al sovranismo. Siamo in una fase storica importante, cruciale, in cui l’economia è in crescita, in cui le grandi potenze industriali stanno cambiando pelle, in cui gli Stati Uniti rafforzeranno la propria economia grazie alla riforma fiscale di Trump, in cui la Cina, che nel 2016 ha depositato il 45 per cento di brevetti internazionali in più rispetto all’anno precedente, si presenterà sui mercati scommettendo sempre meno sui prodotti seriali di basso livello e sempre più su quelli ad alto contenuto innovativo. In un contesto del genere l’ultima cosa che serve a un grande paese come il nostro è arroccarsi e scegliere la strada dell’immobilismo scappando dall’Europa, tergiversando con l’euro, giocando con i dazi, senza sapere che i dazi si fanno a livello europeo e non a livello nazionale, e tentando di distruggere tutto ciò che di buono è stato fatto negli ultimi anni. La priorità per l’Italia, oggi, è quella di essere più competitiva e la sfida della competizione si vince parlando di futuro e non rimuginando sul passato”. Panucci nota che in questa campagna elettorale molti partiti giocano con il populismo, ma riconosce che non tutte le offerte politiche sono uguali e che per il futuro del nostro paese la classe imprenditoriale non può che augurarsi di avere un domani un governo non ostaggio dei sovranismi. Essere sovranisti oggi, dice Panucci, significa anche cavalcare le paure per distruggere quanto di buono è stato fatto in passato. Per esempio sul Jobs Act. Per esempio sulla legge Fornero. “Non è nell’interesse del paese – dice il dg di Confindustria – che ci sia qualcuno che promette in campagna elettorale di abolire una riforma che ha funzionato e che semmai andrebbe implementata, come il Jobs Act. Ogni imprenditore sa perfettamente che la riforma del lavoro, ovvero la sua modernizzazione combinata con misure di sostegno all’occupazione stabile, ha aiutato il nostro paese non a licenziare con più facilità ma ad assumere con più semplicità. Negli ultimi anni, grazie a queste misure, l’Italia è riuscita a trarre benefici dalla crescita economica mondiale. E lo stesso, se mi è consentito, vale per la legge Fornero. E’ un sentimento naturale, comprensibile, giustificabile, pensare che i lavoratori debbano andare in pensione non il più tardi possibile ma il più presto possibile. Ma il libro dei sogni di un paese non può prescindere dai dati di realtà. E qui i dati ci dicono che senza una legge come la Fornero, per un paese che ha ancora un debito pubblico molto elevato, salterebbero i conti e come sempre a pagare sarebbero i nostri figli. Il debito pubblico non è un’opinione e chi gioca in modo non responsabile con i conti dell’Italia non so se è un pericolo per la nostra democrazia, come scrive il Foglio, ma di sicuro è un pericolo per la nostra economia”.
Panucci non ha problemi a riconoscere che negli ultimi sette anni le larghe intese, più o meno grandi, “hanno contribuito a rimettere in piedi il nostro paese e hanno fatto bene”, e dice che dovrebbe essere naturale per un imprenditore interessato alla salute del tessuto economico augurarsi “una continuità in molti dei provvedimenti con il percorso di politica economica degli ultimi anni”, specie se si pensa, continua Panucci, che in Europa “la fase per la costruzione di un mercato sempre più aperto potrebbe essere favorita dalla felice combinazione tra una salutare grande coalizione in Germania e da una sempre più promettente presidenza Macron”. Che cosa pensa dei dazi proposti dalla Lega, Panucci ha già risposto. Proviamo a capire qual è la posizione ufficiale di Confindustria su due altre proposte importanti che si trovano al centro di questa campagna elettorale: la flat tax proposta dal centrodestra e il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 stelle. “Per quanto riguarda la flat tax, la riduzione della pressione fiscale, con conseguente semplificazione, è una priorità per Confindustria. Una riforma fiscale si può e si deve fare, a nostro avviso, premiando imprese e lavoratori, con l’obiettivo di creare occupazione. Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza non ci si può e non ci si deve nascondere. Proporre un sistema dove si guadagna senza lavorare significa sostenere una società in cui il lavoro viene disincentivato e dove potenzialmente si può essere pagati per stare a casa. Senza considerare poi il nodo delle risorse. L’effetto dell’assistenzialismo è quello di addormentare la creatività e la dinamicità di un paese e quando si scommette in modo miope sulla retorica dell’egualitarismo si sta scommettendo in modo implicito su una società di cui l’Italia non ha bisogno: quella dove il merito non conta più. Così come, mi lasci aggiungere, non possiamo sostenere chi è contro la realizzazione di infrastrutture. Per noi le infrastrutture sono un modo per collegare le periferie ai centri, le città tra loro, l’Italia all’Europa e al mondo. Sono un modo per includere e rendere più coesa la società”. Rispetto alle elezioni del 4 marzo, il direttore generale di Confindustria è convinta, come ha scritto più volte Sergio Fabbrini sul Sole 24 Ore, che il prossimo passaggio elettorale, “dove al centro di tutto ci sarà la sfida tra apertura e chiusura”, avrà alcuni punti in comune con le elezioni del 1948. Nel 1948 l’Italia scelse se stare con l’Alleanza atlantica protetta dagli Stati Uniti o col Patto di Varsavia abbracciato dall’Unione sovietica. Oggi la sfida è tra chi vuole scommettere sull’Europa e chi no. “E’ così, per questo cogliamo l’occasione, e alle assise di Verona parleremo anche di questo, per dire che i partiti che ambiscono a guidare il paese nei prossimi cinque anni dovrebbero avere il coraggio di scommettere sull’Europa con più coraggio rispetto a oggi. E invece, purtroppo, vedo che l’Europa, per quasi tutti, è ancora una parola vuota, solo una bandierina”. Rispetto alle proposte ancora assenti nella campagna elettorale, il dg di Confindustria dice che più che una proposta servirebbero “buon senso e pragmatismo” e servirebbe la consapevolezza di ciò che oggi è l’Italia, “che è un paese straordinario, con potenzialità incredibili, che non può essere raccontato come un contesto che ce la può fare ma che deve essere raccontato per quello che è: un paese che ce l’ha già fatta e che può fare ancora di più”. Il pessimismo sull’Italia, dice Panucci, è inversamente proporzionale alla vicinanza che si ha con l’Italia, “più ci si allontana dal nostro paese e più si trovano persone che apprezzano l’Italia”. Domanda maliziosa: ma con la vittoria del No al referendum costituzionale, l’Italia non sarebbe dovuta crollare, come aveva previsto Confindustria? “E’ un discorso bizzarro. La crescita del nostro paese è superiore alle aspettative ma quello che in molti fanno finta di non capire è che un sistema semplificato, e una prospettiva di governabilità per gli anni futuri, avrebbe permesso al nostro paese di correre ancora più di come corre oggi. L’Italia cresce dell’1,7 per cento. La Germania è quasi al 3. L’Europa al 2,4. Chiaro, no?”.
Da un certo punto di vista un esempio concreto dell’Italia che funziona, e che potrebbe funzionare ancora meglio, è quello che riguarda il mondo dei treni ad Alta velocità. Italo, come sappiamo, è stata acquistata per 2,4 miliardi da un fondo di investimento americano e Panucci dice che il settore dei treni ad alta velocità è un buon modello da seguire perché contiene gli ingredienti che potrebbero permettere al nostro paese di andare ancora più veloce: “La concorrenza genera efficienza e l’efficienza moltiplica gli investimenti. L’apertura del mercato funziona, produce servizi migliori e migliora la produttività dei soggetti interessati. E se un’impresa italiana che funziona bene viene acquistata da un’impresa straniera bisogna essere sinceri e dire la verità: non possiamo passare il tempo a dire che l’Italia deve attrarre investitori stranieri e poi disperarci se gli investitori stranieri acquistano le nostre eccellenze. A volte capita agli stranieri di comprare asset italiani, a volte capita all’Italia di comprare asset stranieri. E’ la potenza del mercato, è la potenza della concorrenza. Sarebbe bello se quello che abbiamo visto sull’Alta velocità venisse applicato nel disastrato mondo del trasporto pubblico locale”. Sta pensando a Roma? “Penso a Roma e penso a molte altre città in cui il trasporto pubblico è ostaggio di amministrazioni incapaci di lavorare per imporre efficienza e produttività”. Restando a Roma, Confindustria, due giorni fa, ha avuto occasione di criticare l’azionista di una importante azienda municipalizzata, Acea. Acea ha scelto di escludere gli effetti del Jobs Act sull’articolo 18 per alcuni nuovi contratti e Confindustria ha accusato la municipalizzata controllata al 51 per cento dal comune di Roma di aver mosso un attacco “proditorio dei princìpi della correttezza e lealtà dei rapporti sindacali”. “E’ una cosa non in sintonia con le linee di Confindustria – dice Panucci – perché le imprese hanno una responsabilità collettiva e se si rinuncia a una riforma che funziona per una convenienza di breve termine si contribuisce a far male al nostro paese”. Chiaro, ma proviamo a insistere. Possiamo dire o no che Confindustria si augura che il modello Roma venga esportato a livello nazionale? “Le rispondo che oggi le imprese italiane vogliono lanciare un messaggio chiaro alla politica. Netto e trasversale: noi valutiamo dagli effetti sull’economia reale per questo sosterremo quei progetti che non rimettono in discussione riforme e scelte di politica economica che hanno funzionato, ma quelli che vogliono premere l’acceleratore e puntare sulle imprese. Abbiamo il dovere di chiedere più aperture e non più chiusure. Abbiamo il dovere di chiedere più Europa non meno Europa. Abbiamo il dovere di chiedere una giustizia più giustizia, che non distrugga solo per un sospetto imprese formidabili come Finmeccanica, e una Pubblica amministrazione che non sia ostaggio della burocrazia. Abbiamo il dovere di non essere equidistanti dal protezionismo e dal sovranismo. Abbiamo il dovere di dire che voler indebolire i corpi intermedi significa voler indebolire la democrazia. Lo faremo. Lo diremo. Ci vediamo venerdì a Verona”.
Equilibri istituzionali