I Diari di Arafat e altri strepitosi casi di propaganda fatta così come si può
L'inefficacia della diaristica per interposto puzzone
Ma perché dei Diari di Yasser Arafat – scoperti dal settimanale L’Espresso – dove si legge che il capo dell’Olp taglieggia Silvio Berlusconi per garantirgli una comoda testimonianza farlocca non c’è un rimbalzo mediatico, un tema elettorale o una qualunque beata mentula nel passaparola della chiacchiera politica?
Nel leggere l’esclusiva mondiale, redatta da un serio professionista qual è Lirio Abbate, s’evince che il leader palestinese – manco fosse un’olgettina qualsiasi che bussa a soldi per farsi un appartamento – si presta al cieco ruolo in un’occhiuta rapina.
Più o meno è così, come una catena: Roberto Calvi cerca un passaporto falso e chiama Licio Gelli; il capo della massoneria deviata telefona a Silvio Berlusconi; Sua Emittenza – all’epoca non ancora un Cav. – si precipita da Bettino Craxi, il leader socialista ne parla con il capo palestinese che subito procura un regolare passaporto falso nicaraguense facendoselo confezionare – va da sé – dal Mossad (con rispetto parlando…).
Una risposta al perché – escludendo categoricamente un errore dell’Espresso – potrebbe aversi, in via maliziosa, dal fatto che Berlusconi è arrivato al termine della scala “Stupore”, e cioè al grado ultimo detto altrimenti “Marziano a Roma”.
Tale e quale il personaggio di Ennio Flaiano, qualunque cosa faccia, ormai Berlusconi non scatena più i decibel di allerta di un tempo. Se neppure le imbeccate di un pentito, da dove ne esce stragista, riescono a far venire l’acquolina ai suoi nemici, figurarsi cosa possa accendere una stecca data ad Arafat…
Tale e quale il Marziano, Berlusconi, non stupisce più. E’ troppo rispettabile e garante dello status quo per meravigliare ancora. Suo malgrado, è ormai una riserva della Repubblica, il sempre caro Numero Uno del Gruppo T.N.T.
L’altra risposta, in via ragionata, è quella dell’inefficacia della diaristica per interposto puzzone, giusto il caso di Arafat che va a coincidere con una potente sequenza di diari – rivelatisi, quelli sì, falsi – dove ci si butta sul morto per scannare il vivo.
Oppure il contrario, salvarlo. Come quando i falsi diari di Benito Mussolini ebbero a mescolarsi con quelli veri – ad annullarsi infine – e salvare così le tramacce di Winston Churchill. Il vincitore della Seconda guerra mondiale passò non poco tempo – negli anni della sua pensione – a dipingere acquerelli tra i dolci azzurri del Lago di Como, a fargli cornice, tutto un via vai di attendenti e ammiratori. E la sua ora più luminosa, Churchill – giusto l’ora che non diventerà mai un film – poté godersela mettendo in saccoccia la borsa voluminosa. Quella del Duce a Dongo intercettata – e chissà? – forse dallo stesso Gelli, arruolato tra i ranghi della Repubblica Sociale.
Diaristica che va sempre a male però, falsificata o autenticata che sia.
A meno che non si tratti dei falsi Modì, quelli fatti trovare in un canale di Livorno prima, quelli messi in mostra a Genova recentemente. Falsi, in entrambi i casi, moderatamente goliardici.
Oppure i falsi di Bellavista – il personaggio nato dalla geniale fantasia di Luciano De Crescenzo, il filosofo del “Così parlò” – le cui copie, contraffatte con i tipi Mondadori – ebbero a ottenere tra i banchi di Forcella il trionfo che merita la richiesta: tutto esaurito.
Un sold out intossicato – quello dell’industria della falsificazione – quando incappa nel sofferto mondo dei giornali. Fanno testo i diari del cancelliere del Reich, Adolf Hitler, un falso storico in ben sessanta volumi su cui Stern, il settimanale tedesco, ebbe a perdere – dopo aver venduto tutto – autorevolezza e credibilità.
L’avvocato Niccolò Ghedini, il cui pelo sullo stomaco è pari a una moquette, se li ritrovò i mediatori col bel malloppo dei diari di Arafat ma chiedevano troppo poco invece che troppo e la cosa finì lì. Anche perché ancora brucia, dalle parti di Arcore, il pasticciaccio dei “presunti” diari di Mussolini acquistati e poi pubblicati presso Bompiani.
Ma i falsi, infine, sono solo la prosecuzione di propaganda con altre armi, quelle di necessità e virtù. E sempre per interposto puzzone. Come quando la buonanima di Giulio Caradonna – e qui Stefano Di Michele ne fece una sublime epica – venne trovato dalla polizia mentre scriveva sul muro “A morte Caradonna”. Onorevole, che fa, gli domandarono gli agenti. E lui, paziente di necessità e virtù, disse: “Ognuno si fa propaganda come può”.
L'editoriale dell'elefantino