“Berlusconi ha diritto di partecipare al gioco democratico”. Parla il pm Sangermano
Intervista a Sangermano, il Torquemada del Rubygate che ora s’oppone al “populismo giudiziario” di Davigo
Roma. Dottore, è giunto il momento di confessare: a Milano lei faceva il lavoro sporco per conto della Boccassini. “Lo escludo categoricamente”, replica secco Antonio Sangermano, il magistrato fiorentino che nel 2013, da braccio destro dell’allora procuratore aggiunto Ilda Boccassini, in un’aula del Palazzo di giustizia alle testimoni del caso Ruby rivolgeva domande circa il colore di culotte e perizomi, il “tenore degli spogliarelli”, le “interazioni connotate da contatti lascivi” e via discorrendo. Com’è noto, Silvio Berlusconi uscì assolto dal processo al comune senso del pudore, si trattava di cene dalla dubbia eleganza tra uomini e donne peccatori come noi tutti. Di reati neanche l’ombra. Dopo l’esperienza alla guida della procura di Prato, adesso Sangermano ricopre l’incarico di procuratore per i minori di Firenze, ed è pure vicepresidente dell’Anm. L’ex Torquemada del Rubygate oggi è uno strano mix di moderazione e garantismo. Assediato dalla giornalista, alla fine il magistrato cede alla richiesta di un colloquio in esclusiva con il Foglio. “I vertici dell’associazione hanno deciso l’embargo con la stampa. Parlo a titolo personale, lo metta nero su bianco, la campagna elettorale è in corso e nessuno di noi vuole essere strumentalizzato”. Torniamo al Rubygate: da cronista ho assistito ai suoi interrogatori in aula, un magistrato della Repubblica che scandaglia la vita privatissima di ragazze convenute in qualità di testimoni. Lei non provava un filo di vergogna? “Mi assumo la totale responsabilità di ogni atto da me compiuto. Gli esami dibattimentali riflettono l’ipotesi accusatoria e sono dalla stessa inevitabilmente necessitati. Sono consapevole del dolore che ogni processo penale arreca alle parti coinvolte”. L’imputato ne è uscito assolto, il teorema accusatorio clamorosamente smentito. “Il dottor Berlusconi era presunto non colpevole durante il processo, ancor di più dopo l’assoluzione definitiva. Questo è tutto”. Non si può liquidare con nonchalance una macchina investigativa imponente che non ha risparmiato pedinamenti e intercettazioni a strascico. La procura indagava l’allora presidente del Consiglio per sfruttamento della prostituzione minorile, l’inchiesta ha avuto una risonanza mediatica internazionale, non si parlava d’altro. “Ho seguito con interesse tutte le battaglie culturali di Giuliano Ferrara e del vostro quotidiano, quella sugli ‘atei devoti’, quella contro l’aborto e naturalmente la querelle sul caso Ruby. Il giornalismo a volte tende a dare un’interpretazione politicista della giurisdizione, intendendo la stessa come manifestazione subalterna alla politica. E’ una visione leninista, non condivisibile. Quanto al processo Ruby, mi astengo da ogni commento e lascio a ciascuno il diritto di critica. Credo che il Parlamento dovrebbe interrogarsi sull’attualità di determinati apparati normativi. Fintanto che una legge è in vigore il magistrato è tenuto ad applicarla”. Insomma, la procura non ha di che scusarsi. “L’azione penale è obbligatoria. Attualmente il dottor Berlusconi è incandidabile, non per quel processo”.
“La Severino non può essere retroattiva”
E’ intervenuta la legge Severino dopo una condanna definitiva per frode fiscale. “La mia onestà intellettuale è tale che le dico, senza remore, che il dottor Berlusconi ha diritto di partecipare al gioco democratico. E’ un leader scelto dal popolo, spetta agli elettori decidere il suo destino politico”. Mi scusi, lei voleva mandarlo in galera e adesso contempla il suo ritorno a Palazzo Chigi? “E’ stato presidente del Consiglio, ha diritto di essere giudicato dai cittadini attraverso le elezioni. La legge Severino produce effetti penali, e in base alla Costituzione non può essere applicata retroattivamente. La mia è una valutazione giuridica, condivisa peraltro da autorevoli giuristi ed esponenti politici dell’area progressista”. Qualche suo collega non gradirà , pochi mesi or sono lei ha tacciato Piercamillo Davigo di “populismo giudiziario” e nelle mailing list interne diversi magistrati hanno mosso aspre critiche nei suoi confronti.
“Le mie riflessioni non impegnano in alcun modo l’associazione. Esprimo le mie idee da uomo libero. Non condivido la cultura dell’odio e della delegittimazione che ha in sé una certa dose di cattiveria. Il linguaggio è la casa dell’essere. Ho il massimo rispetto per Davigo ma non ho mai condiviso il suo massimalismo. Dopo un anno di enorme visibilità al vertice dell’Anm, ha sbattuto la porta abbandonando la giunta e adesso si candida al Csm, forte di un’agibilità comunicativa senza precedenti, sapendo per giunta di dover andare probabilmente in pensione a metà del mandato. Ciò induce a riflettere sull’interconnessione esistente tra cariche in Anm e prospettive di carriera”. Si candida pure lei al Csm? “No, io non mi candido a nulla, né al Csm né alla presidenza dell’Anm. Davigo però ha dato una rappresentazione monocorde della magistratura, senza che fosse adeguatamente percepibile un efficace contraltare culturale. Esistono diverse sensibilità che dovrebbero alimentare un confronto virtuoso sui temi giudiziari, non uno sterile correntismo”. Essendo lei iscritto al gruppo moderato di Unicost, sa bene che ogni corrente è un centro di potere che partecipa alla spartizione di carriere e posti: perché negarlo? “La presidenza Davigo può aver dato effettivamente l’impressione di una magistratura autoreferenziale e corporativa, chiusa al confronto con avvocatura e politica. Adesso, con il presidente Eugenio Albamonte siamo impegnati a restituire un’immagine diversa, più aperta e polifonica. L’ordine giudiziario non dev’essere percepito come un contropotere, quasi che fosse titolare di una sorta di supremazia etica. A questa errata percezione contribuisce la narrazione dispregiativa di pubblici ministeri additati come un pericolo pubblico. Si commette un pericoloso errore nell’omologare un’intera categoria a una presunta minoranza militante e ideologizzata”.
In questa tornata elettorale i partiti hanno candidato pochissimi magistrati: è un bene o un male? “Sono contrario a ogni forma di politicizzazione del magistrato, non condivido neppure la cosiddetta ‘militanza civica’ di qualche collega e corrente. I magistrati non sono cittadini di serie B, pertanto il diritto di elettorato passivo non va disincentivato purché il rientro nella giurisdizione avvenga dopo un congruo tempo di decantazione in attività amministrative non giurisdizionali. Il problema non è fare politica in Parlamento, semmai è farla con la toga indosso”. Nella legge di Stabilità è stato inserito un emendamento che consente ai magistrati fuori ruolo a Palazzo de’ marescialli di accedere a incarichi direttivi e semidirettivi senza un interludio giurisdizionale. “Non trovo sconvolgente che un consigliere togato del Csm, terminata l’esperienza ordinamentale, vada a dirigere un ufficio ma rilevo che i pareri dell’Anm e dello stesso organo di autogoverno sono stati del tutto obliterati”. Sui cosiddetti “nuovi diritti”, dalle adozioni gay al fine vita, si fa largo una giurisprudenza creativa al cospetto di un legislatore inerte. “Se il Parlamento ritiene che la famiglia eterosessuale abbia perduto la sua unicità, deve assumersi la responsabilità di affermarlo. Non ha senso rimproverare alla magistratura il ruolo di supplenza per poi alimentarlo con scelte legislative ambigue che rimettono al giudice la consacrazione o meno di tali diritti. Non ogni desiderio può diventare diritto, bisogna stare attenti a non trasformare il principio d’inviolabilità dei diritti umani nel principio d’inviolabilità dell’individualismo e dell’egoismo. Sono contrario a ogni apriorismo ideologico ma non è neppure accettabile la sudditanza a una sorta di ‘nuovo conformismo democratico’”. Sull’immigrazione lei ha detto che lo straniero che delinque deve essere rimpatriato, punto e basta. “L’Italia deve integrare chi merita ed espellere chi delinque. L’accoglienza indiscriminata è un errore. Da uomo religioso pongo al centro della mia valutazione la persona, perciò ogni intervento non può prescindere dagli accordi internazionali sul rispetto della dignità umana. Ciò premesso, lo stato deve essere una comunità di valori condivisi, di cui la legalità è il perno. Chi aspira all’esercizio di diritti deve accettare l’assunzione di doveri, altrimenti si pone al di fuori del consorzio civile. Serve un realismo non cinico”. Un’inchiesta giornalistica ha riaperto il dibattito sull’introduzione dell’agente provocatore, lei è favorevole? “E’ un istituto subdolo. Lo stato è dotato di strumenti adeguati volti alla repressione dei reati senza dover ricorrere alla dissimulazione e all’ambiguità. A mio giudizio, risponde a un impulso giustizialista il desiderio di trasformare il paese in un’enorme sala d’ascolto, disseminando le strade di agenti provocatori che vellicano il tasso di resistenza etica dei cittadini. Io prediligo un equilibrio giurisdizionale che si nutra di rigore e garanzie”. Dottore, lei non somiglia più al Sangermano del Rubygate. Se lo sapesse il Cav., la arruolerebbe nei ranghi di Forza Italia. “Io non mi candido a nulla, al massimo scrivo un libro”.