La Bastiglia di Livorno
I grillini sono unfit to lead? Perché la non sconfitta del Pd alle elezioni del 4 marzo passa dalla cura di una grande ferita toscana. Il Pd modello Gentiloni-Calenda prova a riprendersi la città, che da quattro anni è in mano ai Cinque stelle
Livorno. Sono passati quasi quattro anni dallo strappo di Livorno, quando il M5s scippò la città alla sinistra a filiera corta Pci-Pds-Ds-Pd. Fu uno shock, per la dirigenza che si ritrovò dalla sera alla mattina fuori dal Palazzo che aveva sempre amministrato e il marchio di fuoco sulla pelle, indelebile: quello di perdenti, per mano di Filippo Nogarin, un ingegnere che al primo turno aveva preso appena il 19 per cento e che al secondo riuscì a battere Marco Ruggeri, allora capogruppo del Pd in Regione, figlio della tradizione post-comunista, poi sparito di scena dopo le elezioni del 2014. Per lui nessun salvagente parlamentare: è tornato a fare l’operaio all’Eni. Matteo Renzi, da pochi mesi segretario, non andò neanche a chiudergli la campagna elettorale. Quasi quattro anni dopo, le elezioni politiche del 2018 sono diventate un supplemento anticipato delle amministrative dell’anno prossimo. E stavolta, a sostenere Andrea Romano, candidato del Pd all’uninominale a Livorno alla Camera (il cui collegio è grande poco più della città), Matteo Renzi verrà. Domani. D’altronde da Livorno ci sono già passati tutti i leader, o ci passeranno. Luigi Di Maio era al teatro Goldoni la settimana scorsa. Anche Giorgia Meloni è venuta in città prendendosi gli insulti e gli sputi della solita marmaglia “antifa”, oggi ci sarà Matteo Salvini, a sostenere il suo candidato, il giovane Lorenzo Gasperini, avversario di Romano.
Filippo Nogarin: “Benvenuti nella città nella quale le idee e gli ideali del M5s sono diventati finalmente realtà”
Nel frattempo, in questi quattro anni, è successo un po’ di tutto. Anche la tragica alluvione che ha distrutto ponti e portato via vite. Il burbanzoso Nogarin – indagato per omicidio colposo plurimo e accusato dagli avversari di inadeguatezza – ha scoperto quant’è difficile fare il sindaco. Per il Pd l’occasione non è soltanto vincere un collegio all’uninominale o prendere un buon risultato per far passare gli aspiranti parlamentari del listino plurinominale. E’ il primo tempo del tentativo di riconquista di Livorno. E infatti il confine fra campagna per le politiche e campagna per le amministrative si fa sottile, spesso non si vede. Sembra un referendum su Nogarin ma sono gli stessi Cinque stelle a usare l’amministrazione grillina come scudo o arma di distrazione di massa. Il sindaco la settimana scorsa al teatro Goldoni ha dato il benvenuto a Di Maio “nella città in cui le idee e gli ideali del M5s sono diventati finalmente realtà”, come il famoso reddito di cittadinanza, in realtà un sussidio di disoccupazione di 500 euro per 100 persone durato sei mesi e rinnovato nel 2017, anche se parecchio alleggerito: tra gli 80 e i 220 euro, a seconda della composizione del nucleo familiare, per nove mesi, a 358 persone. Insomma, anche Nogarin ha lanciato i contestati ottanta euro alla Renzi. “Da Livorno è partita la rivoluzione del M5s nel 2014 che potrebbe portare dopo alcuni anni, finalmente, al governo del paese”, ha detto il sindaco. E il candidato Giulio La Rosa, ristoratore vegano, si è subito adeguato. Non sembra il candidato del M5s ma del Movimento Nogarin. “A Livorno il Movimento 5 stelle in soli quattro anni ha risanato le Farmacie comunali, risollevato le sorti di Aamps – portandola da un passivo di 11 milioni di euro a un utile di 2,6 milioni – stabilizzandone i precari storici e programmando nuove assunzioni”, ripete.
Quanto al resto del curriculum, La Rosa è il perfetto candidato Cinque stelle: attacca le “lobby petrolifere” e l’“industria farmaceutica”, che ha “il controllo della nostra salute”. La solita paccottiglia complottista alla quale si aggiunge anche un fervente sentimento free-vax (cioè, al netto della truffa lessicale, no-vax): “Abbiamo visto negli anni che queste aziende sono in grado di corrompere vari settori dell’amministrazione pubblica, personale medico e i media (ma guarda un po’, proprio loro anche questa volta). Chi la pensa diversamente viene additato come complottista, stregone e, come avvenuto per la storia dei vaccini, viene anche allontanato ed escluso dall’ordine dei Medici unicamente perché chiede più cautele e verifiche sui farmaci”. Cosa c’entri questo con Livorno non è chiaro, ma tant’è. E’ un po’ tutta così questa campagna elettorale: si parla molto degli altri. Il Pd parla di Nogarin, La Rosa parla di Romano, dicendo che in cinque anni da deputato non ha fatto nulla per Livorno in parlamento.
YouTrend/Quorum: “Il centrosinistra in netto vantaggio, anche se non abissale, sul M5s Centrodestra terzo nettamente”
“Loro – dice Romano al Foglio – hanno rifiutato o ostacolato tutti i soldi che venivano dalla Regione Toscana e dal governo italiano, sempre con l’idea che rivendicano con orgoglio per cui l’amministrazione Cinque stelle non deve essere trattata con prepotenza, perché ‘noi facciamo un po’ quello che vogliamo’. Il risultato è che su tante partite, l’ospedale, il porto, hanno perso occasioni. Non sono riusciti a spendere i soldi per le case popolari. E’ come se Livorno fosse diventata una repubblica autonoma, dove hanno sperimentato il grillismo in un paese solo. Livorno deve tornare ad aprirsi”. Insomma, “La Rosa è un degno allievo del bomba, cioè di Nogarin.
Uno che un giorno dice che si dimette, tre giorno dopo dice ‘ma io non ho mica detto nulla’. Quanto alle cose che ho fatto per Livorno ne cito solo una. Settembre 2017, alluvione: in parlamento si approva una norma che prevede il blocco dei pagamenti fiscali per tutti quelli che erano stati colpiti dall’alluvione. A Livorno c’era un problema in più: mentre alcuni comuni limitrofi erano stati tutti colpiti, a Livorno il problema era che quelli che erano stati colpiti avrebbero dovuto presentare una documentazione molto farraginosa, cioè una certificazione di inagibilità. Io ho fatto un emendamento, approvato dal governo, che permette ai cittadini colpiti dall’alluvione di fare l’autocertificazione per avere il blocco delle scadenze delle fiscali. Provvedimento contro il quale hanno votato i 5 stelle”.
Simone Lenzi contro i "nani" del M5s che a Livorno bocciano la "rotonda Ciampi"
In questo collegio, dice al Foglio lo scrittore-cantautore Simone Lenzi, ad aprile in libreria con “Esilio” (Rizzoli), “si ripropone la battaglia a livello nazionale fra due visioni. Tra chi ha una aspirazione localistica, da maso chiuso, e chi vuole aprire la città. Vedi Torino, che ispira decadenza, oppure Roma, ridotta a provincetta. Livorno idem, sempre più chiusa”. E da Livorno Lenzi se n’è andato un anno fa. In esilio, appunto. In provincia di Pisa per giunta. Un livornese che va a vivere nel pisano pare essere una barzelletta degna del Vernacoliere, ma è così. “Sì, ormai sono pisano. Sono un vero traditore”, dice ridendo. Ma da Livorno se n’è andato per via del M5s? “No, via, non diamo ai Cinque stelle tutta questa importanza”. Sicuramente però Lenzi, che è anche il frontman dei Virginiana Miller (l’ultimo disco pubblicato è del 2013, ma adesso è pronto quello nuovo), a Livorno ci tornerà. “Però mi piacerebbe un giorno tornarci quando la Rotonda d’Ardenza si chiamerà Rotonda Ciampi. Perché io credo che sia abbastanza ridicolo che si abbia anche solo dei dubbi sul fatto di dedicare la rotonda dell’Ardenza a Ciampi, un uomo che a 25 anni aveva fatto più di quanto la maggior parte dei nani che disquisiscono di questa cosa riusciranno mai a fare in tre vite messe insieme”. Il riferimento, chiaro, è ai Cinque stelle, che un mese fa hanno bocciato la mozione del Pd per intitolare la Rotonda d’Ardenza a Carlo Azeglio Ciampi. Il sindaco Filippo Nogarin si è astenuto, nonostante fosse stato lui stesso a promuovere l’idea dell’intitolazione, prima che il no di diversi consiglieri M5s lo costringesse a congelare e poi a ritirare la delibera già approvata dalla giunta.
Simone Lenzi: “Il quattro marzo vado a votare con la flebile ma sentita speranza che non cambi niente Viva il compagno Calenda”
Lenzi dice di essere un fan sfegatato del “compagno Calenda”, gli piace molto Paolo Gentiloni e il 4 marzo andrà alle urne. “Vado a votare il quattro marzo con la flebile ma sentita speranza che non cambi niente”. Insomma, Gentiloni resti al suo posto. “Leu e la sinistra sinistra, compreso Civati, si riempiono la bocca ma l’unico a difendere gli operai è Calenda. Gli altri si occupano di quant’è brutto e cattivo Renzi. Gli intellò sono ancora a curarsi la feritina identitaria del giubbotto di Renzi dalla De Filippi. E mentre gli interessi degli operai ora li cura Calenda, il resto della sinistra si occupa di chilometro zero. Di stronzate, fondamentalmente. Quindi viva il compagno Calenda”. E viva anche il compagno Romano, dice Lenzi. “Il Pci-Pds-Ds-Pd livornese ha avuto storicamente una vocazione a mandare in parlamento rappresentanti che poi non si capisce cosa abbiano fatto per il territorio. Paradossalmente la scelta di un fuoriuscito come Andrea Romano, che ha una certa carica di nostalgia, potrebbe garantire al territorio una rappresentanza più stretta. Forse sarebbe la prima volta che qualcuno che viene da questo territorio lavora davvero per questo territorio”. Un territorio “chiuso”, dice Lenzi, che si crogiola in questa chiusura. “Essendo una città in profonda crisi ancora non si vede una via d’uscita e l’idea della chiusura è rassicurante. Ma alla fine il nulla nullifica, come diceva Heidegger”.
E Renzi come lo vede? “Bella domanda. Credo che l’Italia sia un po’ come la Germania. I governi funzionano se hanno una leadership morbida. Cosa che Renzi non è. Paradossalmente, Renzi – contrariamente a quel che pensavo anni fa – può far bene il segretario del partito ma in Italia funziona meglio una leadership di governo alla Gentiloni, morbida. Un po’ grigia ma seria e affidabile. Per la natura delle campagne elettorali e del marketing politico rischi altrimenti di schiacciare l’azione di governo sull’annuncite, mentre invece il governo ha bisogno di un respiro diverso. E Gentiloni fa pochi annunci ma poi fa cose molto concrete e puntuali. E il mio eroe Calenda idem. Porta a casa risultati oltretutto con una pratica dialogica sui social molto efficace”. Lenzi dice di non essere mai stato “né renziano né antirenziano: sono semplicemente uno di quelli che pensa extra ecclesiam nulla salus. Fuori dal Pd non c’è niente. Continuo a pensare che il Pd sia l’unico perno possibile della democrazia in Italia”. Anche perché “dopo l’attentato di Macerata c’è andato il povero Andrea Orlando a trovare i feriti. Di Maio non s’è visto, nonostante gli intellò che leggono Hegel in tedesco votino per dispetto per i Cinque stelle”.
Romano, candidato del Pd, direttore di Democratica, si trova in una condizione non facile. Rappresenta in pieno il Pd renziano ma non può prescindere da Paolo Gentiloni, che ora è un punto di forza dei Democratici. Gentiloni rispetto a Renzi gode di maggior simpatia, perché non ci dà ansie. E se il Pd farà un buon risultato sarà anche grazie a lui. Se n’è accorto in questi giorni anche Romano. Mercoledì in piazza Mazzini ha incontrato un ex elettore del Pd, un artigiano di Modena di passaggio in città. Era renziano, oggi vota Cinque stelle, perché Renzi, ha detto l’artigiano modenese, “dopo le europee del 2014 è cambiato e non ha difeso gli interessi dei lavoratori, anzi li ha attaccati. Ma se il Pd fosse Gentiloni, continuerei a votarlo”. “Ma Gentiloni è del Pd!”, ha risposto Romano, cercando di far recuperare un voto ai compagni dell’Emilia Romagna, che si trovano Beatrice Lorenzin come candidata a Modena. Il signore non sembrava troppo convinto, ha salutato e se n’è andato.
Chissà come finirà. Quorum/Youtrend, che monitora la situazione, dice che naturalmente numeri non ne può dare (niente sondaggi, solo corse clandestine su Internet). “Però posso dire – spiega Salvatore Borghese al Foglio – che il centrosinistra nel collegio è comunque in netto vantaggio, anche se non abissale, sul M5s. Con una sinistra (LeU) comunque con numeri superiori alla media nazionale. Centrodestra terzo nettamente”. Il centrodestra, dato per perdente, qui è rappresentato dal giovane Gasperini, già capo di gabinetto della sindaca leghista di Cascina Susanna Ceccardi. L’anno scorso si fece riconoscere insultando Maria Elena Boschi con un epiteto irriguardoso, ma persino gli avversari del Pd garantiscono che è preparato. Laureato in filosofia politica a Milano, rappresenta l’ala teocon-antigender della Lega, cattolica e intransigente, che alimenta a colpi di convegni su “gender e omodittatura”. La settimana scorsa ha dibattuto con Diego Fusaro sulla crisi della sinistra e nei giorni scorsi ha ospitato Claudio Borghi (responsabile economico della Lega e candidato al collegio Toscana 4, oltre che a Siena nell’uninominale contro Pier Carlo Padoan) che a Rosignano s’è lanciato in un’intemerata da no global, contro euro e a favore di sovranismi vari e diffusi.
Guido Guastalla: “Livorno viene da 70 anni di comunismo, non è peggiorata adesso. Però neanche i 5 stelle hanno grandi progetti”
Guido Guastalla, esponente di spicco della comunità ebraica livornese, editore, già capo dell’opposizione di centrodestra, dice al Foglio che il M5s nei confronti della comunità si è comportato bene, il Comune ha provveduto a pagare le spese, per esempio, per il trasferimento a Firenze della mostra sul genocidio degli Armeni, e anche le spese di un’iniziativa sulla memoria al teatro Goldoni, ieri. “Non se ne può parlare male. Sono persone abbastanza civili”. “Livorno viene da 70 anni di comunismo, non è che è peggiorata adesso. Certo a livello nazionale se andasse Di Maio al potere sarei preoccupatissimo. Però qui si è disincrostata una situazione vecchia di decenni”. Certo, ci sono un sacco di cose che non vanno. “Economicamente la città è allo sbando. Gli immobili non valgono neanche il costo della ristrutturazione, le case vengono mille-mille e cinquecento euro al metro quadro, duemila. La manifattura è allo sbando, il porto funziona malissimo. Darsena Europa in trent’anni non s’è fatta. Meno male che i Cinque stelle hanno bloccato l’ospedale: tutte le persone di buon senso si curano a Pisa. Questa è una città anarchica dove però i salari vengono soprattutto dalle forze armate, ci sono 6-7 mila persone che lavorano all’accademia navale, nella folgore, nei Carabinieri. Con i soldi che prendono andando in Afghanistan si comprano casa. Mentre Pisa, che è più piccola di Livorno come città, ha infrastrutture grosse. Ha l’università, un ospedale grandissimo, il Cnr, la Scuola Normale, il Sant’Anna. Poi c’è una voglia di lavorare diversa. I pisani vengono dalla realtà contadina, i livornesi da quella commerciale, dove non c’è voglia di fare un tubo. Ma il punto è che qui non c’è più classe dirigente”.
E’ un argomento caro a Guastalla, che in un’altra occasione, parlando con il Foglio, ha ricordato quello che diceva l’ex vescovo di Livorno, oggi emerito della diocesi di Como, Diego Coletti, venuto da Milano nel 2002, ex direttore del seminario ambrosiano, amico di Martini e Tettamanzi. “Quando andò via disse: cari ragazzi, la vita non può essere andare a fare il bagno a Calafuria, è anche impegno. Ma questa città la sua classe dirigente l’ha perduta da tempo ed è allo sbando, nelle mani del primo venuto”. E i primi venuti sono i Cinque stelle, i quali secondo Guastalla a Livorno troppi danni non ne hanno fatti, però “neanche loro hanno un progetto strategico per la città, un progetto di grande sviluppo come ce l’aveva ai tempi del Granduca. Nessuno ce l’ha più questo progetto strategico”. Anche a Livorno, insomma, adda passà ‘a nuttata.