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Il generale della TdF e la visione poliziesca dell'Ambiente del M5s

Alberto Brambilla

Luigi Di Maio fa il nome di Sergio Costa come possibile ministro. Cosa ci dice la sua candidatura della politica ambientale grillina 

Roma. A una settimana dalle elezioni il candidato premier del Movimento 5 stelle, Luigi Di Maio, ha cominciato a elencare i suoi potenziali ministri. In grave imbarazzo per le candidature cosiddette “non presentabili” dei giorni scorsi, Di Maio ha cercato di rimettere ordine nel caos: domenica su Rai 3 ha detto che se mai andrà a Palazzo Chigi il ministro dell’Ambiente sarà un “servitore dello stato” come Sergio Costa. Costa è stato comandante provinciale del Corpo forestale fino allo scioglimento del corpo stesso il 31 dicembre 2016 perché unito all’Arma dei Carabinieri. L’Arma ha appreso la notizia dai media con irritazione, dice il Messaggero. Costa “pronto a rendersi disponibile” anziché mettersi in aspettativa ha chiesto una licenza che è stata autorizzata dal Comando generale.

   

Al di là dell’irritualità ed eventuali sgarbi istituzionali (avere superato la prerogativa del presidente della Repubblica di avere parola sui ministri indicati dal presidente del Consiglio), la candidatura di Costa la dice lunga sulla filosofia ambientale a 5 stelle. Quand’era comandante della Forestale, Costa, classe 1959, laureato in Scienze agrarie con master in Diritto dell’ambiente, ha animato la campagna della Terra dei Fuochi insieme al parroco di Caivano don Patriciello creando un tumulto mediatico, e in parte anche giudiziario, il cui risultato netto è stato quello di demonizzare il comparto agroalimentare campano danneggiandolo. Secondo l’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mediterraneo solo 33 ettari su 50 mila di suolo agricolo nella cosiddetta Terra dei Fuochi sono stati interdetti alla coltivazione per presenza di rifiuti o di contaminanti, ovvero lo 0,06 per cento del totale è potenzialmente a rischio (ma anche su questi 33 ettari vi sono perplessità di merito e di metodo). Danni stimati in 500 milioni di euro nel biennio 2014-’15 perché i vegetali campani venivano venduti a prezzi più bassi. Il lavoro di indagine di Costa non ha aiutato a combattere il danno reputazionale: il generale ha assecondato la narrazione mediatica dell’“inferno” in terra in ossequio alla trama di “Gomorra” by Roberto Saviano. Solo che dell’inferno atomico non è stato trovato nulla e i vegetali sono sani nella maggioranza dei casi, non differentemente da altre zone d’Italia e d’Europa. Memorabile la passeggiata in un campo di finocchi a Caivano descritta al Fatto Quotidiano nell’articolo “il Generale in lotta con la Terra dei Fuochi” quasi come una discesa all’ade con “la divisa che si scioglieva addosso mangiata viva dai fumi” e i guanti dei suoi collaboratori “sciolti” anche loro per i liquami usciti dai fusti di rifiuti. I bidoncini nelle cronache fotografiche erano due, probabilmente di vernici, e la scritta “Milano” che non stava a indicare “le industrie del nord” clienti del crimine organizzato, come da romanzo savianesco, ma la provenienza della ditta.

   

Per non parlare di Costa che guida una troupe Rai in un campo di patate “dove abbiamo trovato tantissimo piombo”. Il piombo era dovuto ai proiettili, s’è scoperto che lì sorgeva un poligono di tiro. O la pietra di “pantano” (pietra di fossili d’origine lacustre) fatta passare per scoria di pressofusione. O la discarica “più grande d’Europa”, l’ex Pozzi di Calvi (Caserta), che così grande non era: per Costa e i media è di 25 ettari, ma la dimensione reale è 25 mila metri quadri, cioè 2,5 ettari. Costa alla fine ha anche cambiato idea sulla Terra dei Fuochi. Il 23 settembre 2013, in piena euforia mediatica, diceva che nell’ultimo anno si è “trovato di tutto: metalli pesanti, materiali inquinanti e, ovviamente, anche frutta e verdura contenenti veleni”. Il 10 novembre 2015 invece diceva che “in questo momento tutto si sta ricollocando nella giusta dimensione: possiamo affermare con certezza che la Campania non è inquinata, ma ancor di più possiamo dire che ha prodotti di grande qualità ed eccellenze”. Tutto questo cosa ci dice sulla sua candidatura a ministro? L’abbiamo chiesto a Corrado Clini, ex ministro dell’Ambiente. “Candidare un generale dei Carabinieri significa avere l’idea che l’ambiente è un problema di ordine pubblico, poliziesco, in cui prevale la cultura del sospetto che alimenta il potere di interdizione di politici e burocrazie ambientali contro opere necessarie per la stessa tutela ambientale. Basti pensare all’opposizione agli impianti per la valorizzazione energetica dei rifiuti in regioni dove la malavita organizzata si ingrassa proprio per la mancanza di impianti. E’ l’altra faccia dell’approccio idiota della decrescita (in)felice che è esattamente quello che fa crescere le malavita nel settore ambientale: più blocchi più offri lo strumento a quelli che offrono scappatoie”, dice Clini. “Ci allontaneremmo – aggiunge – dall’approccio europeo e internazionale all’ambiente che guarda al merito delle tecnologie per sostenere lo sviluppo”. I Cinque stelle vogliono questo?

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.