Sviluppo e futuro, i due grandi assenti dai programmi elettorali
E’ necessario che il prossimo governo metta in cima all’agenda il tema dell’innovazione. Servono interventi strutturali
Piero Angela, nel libro A cosa serve la politica? illustra con competenza e semplicità alcuni difetti della politica, occupata a dividere la torta, accontentare questa o quella constituency e non a favorire lo sviluppo di condizioni che sono basilari per la crescita. “C’è l’impressione che sia la politica a determinare il benessere di un paese e che basti cambiare maggioranza per ottenere cose che in realtà non dipendono dalla politica”. Sono le infrastrutture immateriali su cui poggia l’economia, la tecnologia, l’innovazione, a consentire lo sviluppo; vanno coltivate ed è necessario creare le condizioni affinché si sviluppino in modo non episodico.
Occorrerebbe una visione del futuro che, sfogliando i programmi dei partiti, si fatica a trovare (a differenza di agevolazioni a questa o quella categoria che invece abbondano).
Dalla storia recente abbiamo un buon esempio di cosa si dovrebbe fare ed è possibile immaginare almeno due interventi strutturali per sostenere la locomotiva dell’Italia.
L’esempio recente è il piano Industria 4.0, di cui l’on. Basso è ideatore (ricandidato in posizione ineleggibile), fatto proprio dal ministro Calenda ed eseguito con grande determinazione ed efficienza. La visione era semplice: il digitale, applicato alla manifattura, può spingere l’innovazione di processo e di prodotto, rendendo le industrie più competitive. L’Italia ha dimostrato grande capacità di reazione: in pochi mesi sono stati rilanciati investimenti dell’industria, trascinando l’occupazione. L’Istat certifica che l’indice di fiducia nelle imprese è ai suoi massimi, dai bassi livelli quando Calenda si insediò. Un altro effetto positivo è culturale: studi, convegni e blasonati media che assai raramente, in precedenza, sottraevano spazio alle recensioni dei telefonini a favore di articoli su temi più profondi. La questione non è finanziaria né tecnologica, ma propriamente culturale, di cultura dell’innovazione a livello di sistema paese.
Una politica che guardi al futuro dovrebbe proporre una visione. Dovrebbe operare per rendere strutturali e non episodici esempi di questo genere.
Una prima metaproposta è la istituzione in Parlamento di una Commissione permanente per l’innovazione tecnologica, come è presente in numerosi paesi. Le ragioni sono principalmente due: il lavoro del Parlamento si fonda sull’elevata qualità dei funzionari delle commissioni che producono analisi, studi, confronti internazionali, ecc. I temi legati all’innovazione sono frammentati in molte commissioni e in ognuna di queste sono trattati in modo residuale. I funzionari delle commissioni sono specializzati sui temi che affrontano normalmente e quindi consolidano una competenza marginale sui temi dell’innovazione come invece potrebbero sviluppare se fosse il loro ambito principale. In secondo luogo, lo stesso varrebbe per i parlamentari assegnativi dai partiti: si dovrebbero occupare di innovazione a tempo pieno, pensando a tempo pieno alle opportunità del futuro, più che ai problemi del passato. Nascerebbero proposte politiche, confronti, dibattiti che finirebbero sui media, inducendo un aumento della consapevolezza del pubblico.
Una seconda meta-proposta è il ritorno di un ministero per l’Innovazione (meglio se con un portafoglio). L’innovazione portata dalla digitalizzazione tocca tutti gli ambiti e certamente sarebbe ideale avere persone con profonda cultura digitale dalla Sanità alla Giustizia agli Interni, ma questo non è ovviamente possibile. Un ministro, a differenza di un sottosegretario o di un viceministro, è presente a ogni riunione del Consiglio dei ministri ed è in grado di suggerire ottimizzazioni e semplificazioni che un non esperto non considererebbe. La familiarità e fiducia che si istituirebbe con gli altri ministri consentirebbe di risolvere sul nascere molti problemi, senza incontrare i proverbiali ostacoli di attraversamento delle burocrazie. Anch’egli si potrebbe focalizzare sulle opportunità del futuro, con conseguente riverbero sui media e sul pubblico, a vantaggio di una propensione al futuro del paese.
I temi trattati dai partiti hanno mille giustificazioni e ragioni ma dovrebbero venire dopo il tema fondamentale che è favorire lo sviluppo perché – scrive Angela – se tanti ingegneri, chimici, informatici sono impegnati a far crescere la torta, ci sarà prosperità per tanti poeti, attori, filosofi. Perché solo se la locomotiva tira, tutti i vagoni prendono velocità.