Che cosa pensa chi pensa con Mattarella? Sport divinatorio pre-elettorale
Nell’incertezza dei risultati dell’urna, e nell’insondabilità parziale della mente mattarelliana, si cercano indizi nel curriculum degli uomini attorno al Presidente della Repubblica
Roma. Che cosa pensa chi pensa con Sergio Mattarella?, Questo è ora l’interrogativo presso le casematte dei partiti in corsa pre-elettorale e presso le centrali mediatiche in attesa di responso dell’urna. E meno il risultato del 4 marzo appare certo, più gli occhi guardano al Colle nel suo complesso (presidente e staff), Colle investito peraltro e telematicamente di una lista di ministri a Cinque Stelle (rimasta per ora nella casella di posta), ma anche unico destinatario delle aspettative sul “dopo”: che cosa farà, che cosa deciderà il presidente? Che stile di azione o non azione adotterà? Con chi parlerà prima di decidere?
E insomma si cerca, in questi giorni, di scandagliare le ultime e penultime parole del Presidente, alla ricerca di qualche indizio, e di ripassare mentalmente il curriculum dei cosiddetti “uomini del Presidente”, cioè i membri dello staff quirinalizio che, nelle ore post-voto, si troveranno accanto a Sergio Mattarella (ma c’è chi, tra gli esperti di ambienti presidenziali, fa notare che “la differenza tra Mattarella e il suo predecessore Giorgio Napolitano consiste proprio nel fatto che Napolitano non aveva poi questa consuetudine alla collegialità quirinalizia, e aveva soprattutto rapporti politici esterni”). E dunque, alla ricerca di indizi, quando Mattarella loda i ragazzi che hanno manifestato “contro i neofascismi”, c’è chi crede di intravedere una traccia, la premonizione della strada in salita per un governo sovranista, urne permettendo. E quando Mattarella non parla, si cerca di tornare con la mente al discorso di Capodanno, quando il presidente alludeva a un paese reale “generoso e solidale” a fronte di quello percepito e “preda del risentimento”. Un paese reale che si esprime con il voto e passa il testimone a partiti e Parlamento che dovranno scrivere “la pagina bianca” che si apre dopo il 4 marzo.
“Proposte realistiche e concrete”, aveva chiesto Mattarella ai partiti (altro indizio? Ci si domanda). Poi c’è la “forza del carattere”, per dirla con il compianto psicoanalista americano James Hillman, forza di “mitezza”, la caratteristica che da sempre è stata associata a Mattarella, ma che secondo alcuni può rovesciarsi in una “forza a metà” in caso di risultato paludoso del voto. Intanto però, poco più di un anno fa, l’Espresso citava in proposito Mattarella medesimo, durante una cerimonia commemorativa per Mino Martinazzoli: “La mitezza della politica non significa debolezza, è propria di chi è convinto della forza delle proprie opinioni, non teme di confrontarle con quelle degli altri, non pretende di imporgliele...”. E adesso si attende che il mito mattarelliano del “confronto”, unito alla storia di minoranza democristiana del presidente e di parte dello staff, si manifesti nell’atto di garantire stabilità (e ieri, su questo giornale, Giuliano Ferrara, a proposito del “molto” che può fare Mattarella, si augurava che il molto facesse leva su “una pratica di indifferentismo del Quirinale e della sua corte di fronte alle pretese parapolitiche di Luigi Di Maio”).
La corte, dunque. Gli uomini con cui Mattarella si confronta prima di passare al “confronto”. “Schiatta democristiana, e questo vuol dire sempre qualcosa”: così un osservatore di lungo corso definisce lo staff presidenziale, nel senso che “sono tutti più o meno provenienti dalla sinistra diccì e comunque da una sinistra catto-moderata, non sono persone che concepiscono la politica come rapporto di forza e grandi strappi”, cosa questa che rasserena i fan preventivi della possibile grande coalizione, anche se di Mattarella, in queste ore, si ricordano sempre più spesso i trascorsi oratori per nulla berlusconiani (anzi). E in queste ore, attorno al Colle, si cerca di sondare il presidente attraverso Claudio Sardo, ex direttore dell’Unità poi nell’entourage mattarelliano nel settore “ricerche” (ma anche annoverato tra i ghostwriter). Poi c’è la cosiddetta “area Franceschini” al Colle: il presidente non soltanto conosce bene il ministro dei Beni Culturali (dai tempi della Dc), ma ha tra i suoi uomini di fiducia Francesco Saverio Garofani, già deputato franceschiniano che finora ha tenuto i rapporti non codificati tra Parlamento e Colle – e il particolare che Garofani sia franceschiniano non viene considerato indifferente per i futuri giorni di “mediazioni&consultazioni”, come scherzosamente si definiscono i postumi del voto.
Tuttavia la routine presidenziale si fonda “sempre e comunque”, dice un insider, sullo “scambio di idee non codificato” con Ugo Zampetti, segretario generale della presidenza della Repubblica, ex allievo di Leopoldo Elia ed ex segretario generale della Camera (per questo motivo anche Zampetti è visto come “collegamento informale” con gli ambienti parlamentari); con Gianfranco Astori, consigliere del Presidente per l’Informazione di storia democristiana, più volte sottosegretario in governi Andreotti; con Giovanni Grasso, portavoce del presidente con passato al Popolo (e molto altro), e con Simone Guerrini, capo della segreteria, ex capo dei giovani democristiani e amico di Enrico Letta, altro particolare che gli esegeti di pensieri mattarelliani considerano “non indifferente” per il futuro. Come quella di Franceschini, altre ombre politiche si allungano: al Colle è molto ascoltato infatti Gianclaudio Bressa, sottosegretario nei governi Renzi e Gentiloni. Incerta invece, per ora, la portata dell’eventuale influenza su Mattarella delle conversazioni con gli amici di vecchia data Pierluigi Castagnetti e Nino Rizzo Nervo.