Dove sta (se c'è) la razionalità dell'elettore leghista e grillino
Più che di pancia di portafoglio. La divisione del consenso tra nord e sud, ovvero tra flat tax e reddito di cittadinanza
Roma. Il voto di domenica, se si guarda la cartina elettorale, ci restituisce un paese nettamente diviso in due, attratto dai nuovi due poli che determinano il sistema politico: il centronord conquistato dal centrodestra a trazione leghista e il centrosud dominato dal Movimento 5 stelle. Quello che doveva essere il terzo polo del paese si è assottigliato e anche geograficamente si è rimpicciolito, schiacciato dall’espansione degli altri due: il Pd è ormai confinato in alcune province della Toscana e dell’Emilia Romagna e nel centro città di Roma e Milano. I due partiti anti-sistema che hanno vinto le elezioni, M5s e Lega, si sono presentati come forze nazionali. Luigi Di Maio ha girato in un lungo e in largo per l’Italia settentrionale, ha parlato di imprese, tasse, sburocratizzazione e rottamazione degli studi di settore. Salvini, che ha tolto la parola “nord” dal nome del partito, ha avviato da tempo una trasformazione della Lega in senso nazionale per poter fare breccia nel Meridione.
Ma entrambi i partiti si sono consolidati prevalentemente in due aree geografiche differenti: il centrodestra al nord spingendosi al massimo al Lazio meridionale e il M5s al sud, con la sua punta settentrionale nelle Marche. Gli elettori meridionali non si sono fidati molto di Salvini e quelli settentrionali non si sono fidati abbastanza di Di Maio. Ma se si guarda alla principale politica fiscale dei due partiti, la flat tax e il reddito di cittadinanza, si noterà che nella scelta del populismo preferito gli elettori si sono fatti guidare da elementi di razionalità. Sebbene i conti e le coperture non sono state la preoccupazione principale degli elettori, a quelli del nord era chiaro che avrebbero avuto maggiori benefici da un taglio dell’Irpef mentre a quelli del sud era evidente che avrebbero guadagnato dall’introduzione di un sussidio di disoccupazione. I dati sulla ripartizione territoriale delle tasse elaborati dal “Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali” mostrano chiaramente come il nord versi il 56,5 per cento dell’Irpef totale, mentre il sud solo il 21,3 per cento. Ma il dato più significativo per quantificare il beneficio economico di una flat tax è quello sull’Irpef pro capite: un cittadino del nord versa 3.397 euro di Irpef l’anno, mentre uno del sud solo 1.701 (la metà). Ragionamento opposto per il reddito di cittadinanza. Sicuramente l’integrazione del reddito di chi è senza lavoro attraverso un sussidio è un provvedimento che aiuterebbe molti disoccupati nel Nord Italia, ma la maggior parte delle risorse fluirebbero automaticamente verso Sud.
Secondo l’Istat l’incidenza della povertà relativa, che è la soglia al di sotto della quale scatterebbe il reddito di cittadinanza, al nord è del 5,7 per cento, quasi la metà della media nazionale (10,6 per cento), mentre al sud è del 19,7 per cento, quasi il doppio rispetto al dato nazionale. “Al sud c’è molta insoddisfazione verso le politiche del Pd, non solo per i risultati economici ma anceh rispetto alla questione etica – dice al Foglio Riccardo Realfonzo, economista dell’Università del Sannio – e per questo il voto di protesta si è incanalato verso il M5s, anche perché l’offerta politica del centrodestra era troppo connotato dal nordismo della Lega. Ma sarebbe un errore leggere il voto come una spaccatura tra nord e sud, perché il reddito di cittadinanza alimenterebbe la domanda aggregata e sarebbe una molla per le imprese del centronord. Sono tra quelli che ritengono che il rilancio del Mezzogiorno vada nell’interesse di tutto il paese”. Detta così sembra facile, ma in realtà è molto probabile che questo nuovo bipolarismo inneschi una logica conflittuale tra nord e sud, tra il popolo della flat tax e quello del reddito di cittadinanza, soprattutto se uno dei due va all’opposizione e le risorse scarse verranno indirizzate in una direzione anziché in un’altra. “Sarebbe quasi auspicabile un governo con Lega e M5s, così le diverse esigenze si scontrerebbero con l’algebra”, dice al Foglio Francesco Daveri, economista dell’università Cattolica. ma questa eventualità non pare possibile e allora “se l’economia continua a crescere ci sono più risorse e in qualche modo ci sono margini per aiutare tutti. Ma se l’economia rallenta o se vengono introdotte politiche sproporzionate, allora c’è il rischio di esacerbare i conflitti”. Lega contro M5s, nord contro sud, flat tax contro reddito di cittadinanza.