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Il sud pentastellato è l'epifenomeno dell'assistenzialismo nazionale

Carlo Amenta

Nel comportamento elettorale delle regioni padane e di quelle del Mezzogiorno c’è un inquietante parallelismo, che racconta la storia di due frustrazioni parallele

Penultima in Europa per la qualità delle sue infrastrutture e con un pil pro capite inferiore a Grecia e Ungheria, la Sicilia ha meno di un terzo dei residenti occupati, un tasso di disoccupazione giovanile al 57,2 per cento, e oltre un quarto delle famiglie in condizione di povertà relativa. E’ in questo contesto, peggiore ma non lontano da quello di molte regioni del sud Italia, che domenica scorsa è maturato il trionfo del Movimento 5 stelle con una percentuale di consenso superiore al 48 per cento dei voti e il dominio assoluto nei collegi uninominali. Non pochi hanno spiegato questo straordinario successo ipotizzando una sorta di revanche delle promesse assistenzialiste tipiche della Prima Repubblica: voti contro reddito di cittadinanza. La narrativa prosegue spiegando il successo al nord della Lega, come voto antisistema e di protesta ma produttivo.

   

Raccontare l’Italia come un paese diviso tra un sud che non vuole lavorare (e per questo chiede di essere mantenuto dallo stato) e un nord che lavora ma non vuole pagare le tasse (e pertanto invoca la flat tax e il protezionismo) è suggestivo ma semplicistico. Nel comportamento elettorale delle regioni padane e di quelle del Mezzogiorno c’è un inquietante parallelismo, che racconta la storia di due frustrazioni parallele e che si è sfogato nel sostegno a diverse ma simmetriche richieste di statalismo.

  

Il paradigma della spesa pubblica usata per comprare consenso è finito da un pezzo e per sempre grazie anche ai vincoli europei che ci impongono di tenere il bilancio prossimo al pareggio. Sono finite le prebende con cui i politici acquistavano il consenso delle masse in situazioni di disagio economico e quello di un ceto medio abituato a ottenere favori e scorciatoie: il posto di lavoro per il figlio, l’appalto per la piccola impresa di famiglia o il premio di produttività erogato a prescindere. Grazie alla decisiva azione giudiziaria degli ultimi decenni si è anche ridotto il rapporto perverso tra le mafie e il consenso. Oggi al sud c’è una massa di voti, libera dai condizionamenti e consapevole dell’impossibilità di risolvere i problemi a suon di spesa pubblica, che grida tutta la propria rabbia antisistema. In parte è forse una richiesta di nuovo assistenzialismo, nella forma del reddito di cittadinanza ma esiste anche un forte voto di protesta e antisistema dei tanti che lavorano e producono seriamente e sono stanchi di pagare tasse più alte, con servizi più scadenti rispetto al resto d’Italia e infrastrutture ormai al collasso. C’è infine il grido di protesta dei giovani meridionali che studiano nelle università e sanno di dover cercare fortuna altrove secondo una rotta obbligata di migrazione senza ritorno. A ciò si aggiungono spesso anche scelte scellerate nella selezione dei candidati da parte dei partiti tradizionali che acuiscono la sensazione di abbandono del territorio a logiche clientelari. Durante la campagna elettorale, al sud i partiti nazionali a vocazione di governo sostanzialmente non si sono visti, e questo i 5 stelle lo hanno capito bene, marcando il territorio del sud passo-passo e schierando i propri uomini migliori. Anche negli anni di soverno il sud è stato sostanzialmente assente: le principali iniziative di politica economica hanno de facto favorito il nord acuendo la divergenza tra i territori, come nel caso degli incentivi di Industria 4.0, che sono andati in larga maggioranza a imprese settentrionali perché la tipologia produttiva a cui si rivolgevano nel Mezzogiorno è quasi assente. Per molti versi non pare esserci molta differenza, almeno per alcune categorie, tra il voto al Movimento 5 stelle e quello dato alla Lega. Al sud si protesta e si chiede più stato e una nuova protezione dalle insidie di una situazione economica disastrosa. Allo stesso modo, al nord si protesta e si chiede più Stato sotto forma di abolizione della legge Fornero, reintroduzione dei dazi e giro di vite contro l’immigrazione. In entrambi i casi il voto di protesta nasce da una situazione di disagio e chiede la soluzione più semplice e più inefficace: più stato. Chiede di curare i sintomi con la loro causa, perché è lo statalismo che ha mantenuto il sud nel sottosviluppo e ha rallentato al nord le trasformazioni dell’economia. Non sono diverse le istanze a cui Lega e Movimento 5 stelle promettono di rispondere nelle diverse parti del paese perché in entrambi i casi vince il partito di chi non è capace di individuare nei propri comportamenti la causa prima della situazione attuale e preferisce cercare un capro espiatorio da abbattere: la casta, i politici di professione o gli immigrati che rubano il lavoro. Impossibile pensare di rispondere a questa ondata di sfiducia con ricette facili e veloci. Ci vuole tempo e impegno ma si deve mettere al centro della scena politica l’individuo con la sua autonomia e responsabilità.

  

Data la situazione finanziaria né la Lega e né i 5 stelle potranno rispondere con la scorciatoia della maggiore spesa pubblica; è una grande occasione perché si può ridurre il perimetro di intervento del soggetto pubblico restituendo spazi di libertà agli individui abbassando la pressione fiscale e aiutando chi ha bisogno con l’abbandono di logiche assistenziali di mantenimento del posto di lavoro come forma mascherata di sussidio.

  

Le forze politiche interessate alle sorti dell’intero paese devono lavorare da subito rifuggendo dalle facili soluzioni, evitando di inseguire i populisti sul loro terreno. Bisogna impegnarsi anche al sud, dove la battaglia appare persa in partenza, e faticare a spiegare, ben sapendo che il successo non potrà essere, se mai arriverà, immediato. Bisogna chiamare a raccolta chi, al sud come al nord, lavora, produce ed è competitivo, chi lotta per un futuro migliore, chi combatte contro la criminalità e il malaffare, chi fa il proprio dovere in ogni contesto consapevole che non ci sono scorciatoie. Serve un ceto politico che parli chiaro e prometta sangue, fatica, lacrime e sudore, ma ricordi a tutti che questa, per il sud e per l’Italia, è l’unica via per il riscatto.