Ipotesi sulla nuova questione cattolica
Il problema non è se Di Maio è la nuova Dc, ma che per molti elettori Salvini è il nuovo De Gasperi
Il giuramento con rosario e Vangelo sarà un brutto problema per tutti, lo si è già notato, quando un imam fondamentalista si candiderà al Parlamento ritenendo, a buon diritto, di poter giurare pure lui sul Corano. Ma ha un risvolto simbolico non trascurabile per quella che si potrebbe definire la “nuova questione cattolica”. Capovolta la cartina geografica elettorale, un altro problemino non banale, o quanto meno il ragionamento si porta molto dopo il 4 marzo, è se il Movimento cinque stelle sia la nuova Democrazia cristiana. Meglio partire dai fatti e da alcune analisi di questi giorni con riguardo al voto dei cattolici, della loro evidente irrilevanza e della scomparsa – come simboli e come partiti – di ogni ultimo residuo che si richiamasse alla loro storia politica.
Il Foglio di ieri ha analizzato quanto il voto dei cattolici (col beneficio d’inventario di saperne tracciare il profilo) non abbia seguito le indicazioni, per quanto blande e generiche, delle gerarchie. Secondo il presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, erano riducibili a “ricostruire (la speranza), ricucire (il paese), pacificare (la società)”. Adriano Sofri ha scritto al punto numero 1 della sua analisi: “La disfatta della sinistra coincide anche con quella del cattolicesimo democratico. Ma è qualcosa di più, per la coincidenza col papato di Francesco”. Il teologo Bruno Forte, sul Corriere, ha parlato di afasia politica della chiesa chiedendosi se non serva una “terza via tra il collateralismo, ormai inaccettabile, e il rischio di irrilevanza”. Le campane a morto, paradossalmente, sono un segnale d’attenzione: è come se “la questione cattolica” fosse inaspettatamente tornata centrale nel dibattito politico. Però nella versione del negativo fotografico. La sua scomparsa, la sua essenza di buco nero. La prima domanda da porsi sarebbe però un’altra: da quando data, la scomparsa? Tra pochi giorni, il 16 marzo, sarà il quarantesimo anniversario del rapimento di Aldo Moro. La morte violenta del maggior statista dell’Italia repubblicana, cattolico, seguita pochi mesi dopo da quella, di crepacuore, del suo amico Paolo VI, uno dei veri padri fondatori della Dc, fu la data di morte del partito dei cattolici, della sua rilevanza di indirizzo politico (quanto a quella etica: il divorzio è del 1970) e rilevanza internazionale. Anche se poi la Dc sarebbe proseguita un altro quarto di secolo, conservando qualcosa di sé in quel singolare papalino degasperiano che fu Andreotti, nel liberalismo di Cossiga, in qualche influente intellettuale di nicchia come Nino Andreatta. E poco altro. Se non, soprattutto nel centro-sud, il corpaccione bulimico e redistributivo del partito-stato. In questo senso sì, forse il M5s che fa il pieno di voto aspirante clientelare al sud è in effetti erede di quella Dc.
Del resto la religiosità del meridione è di tipo magico: basta che funzioni. Poi c’è stata la lunga stagione del tentativo di fare del bipolarismo virtù, di pesare più di quel che si contava, sotto la regia politico-ecclesiastica del card. Ruini. Risultati da valutare: molta presenza mediatica, qualche ovocita salvato da congelamento, influenze e rendite perlopiù trasversali. Ma non una presenza politica rilevante o di indirizzo. Oggi per chi votano i cattolici, spariti in quanto corpo elettorale riconoscibile? Non per la linea della Cei bergogliana, s’è visto. Ma non hanno seguito nemmeno le indicazioni della parte di gerarchia che invece chiede ora e sempre resistenza: sul divorzio breve, le unioni civili, il testamento biologico e tutto quell’apparato simbolico che dovrebbe interessare ai cattolici. E solo quello. E chissà perché solo a loro. La realtà è che, nel segreto dell’urna, non interessa neppure a loro. La tragicomica lista di Adinolfi ha raccolto un pugno di voti, nonostante avesse chiamato all’appello “il popolo delle famiglie” (cattoliche). Noi con l’Italia, con il suo improvvido repechage dello scudo crociato, non ha raggiunto il quorum. Per chi hanno votato, quei cattolici che un tempo sceglievano il centrodestra anche in nome dei valori non negoziabili? Tralasciando le piccole diaspore del cattolicesimo organizzato e badando al corpo grosso dei cattolici che vanno più o meno a messa, sono andati in buona parte ai Cinque stelle (ce l’aveva un senso, l’attenzione dimostrata da Avvenire verso Grillo mesi fa: fiutava i propri lettori). Ma la maggior parte è andata alla Lega di Matteo Salvini. Coi suoi rosari, il suo anti islam, il suo identitarismo egoista e per nulla ecumenico. A votare senza turarsi il naso, anzi respirando a pieni polmoni, per Salvini è lo stesso tipo di cattolico poco pauperista e solidale che negli Stati Uniti, assieme ai fratelli evangelical, ha votato per Trump. Guidato da quel tipo di episcopato che, forse, determinerà il prossimo Conclave. Il cattolicesimo sociale, sturziano, sopravvissuto nel ventre molle della Dc, è scomparso e non ha rilevanza politica. Invece c’è un leader che incarna le istanze, e persino alcune credenze, dei cattolici. Forse Di Maio sarà il nuovo Gava del sud. E’ più facile che Salvini, per molti cattolici, non solo al nord, sia il nuovo De Gasperi. E’ solo un’ipotesi di lavoro, ma lavorateci.