Il partito taumaturgo

Giorgio Arfaras e Anna Zafesova

Oggi in Italia prevale l'idea che il sistema politico non abbia la capacità di rappresentare le istanze del popolo. Che, una volta emerse, possono trovare una soluzione solo se raccolte da un politico (vicino al popolo)

[Il testo che trovate di seguito è stato pubblicato dal Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi ed è il seguito di un'analisi sul voto pubblicata qualche giorno prima]


 

Una premessa (di Giorgio Arfaras)

Oggi in Italia prevale l'idea che il sistema politico non abbia (più?) la capacità di rappresentare le (indefinite) istanze del popolo (inteso come insieme indifferenziato), istanze che emergono senza un'articolazione (perché tanto, volendo, le si conoscono). Le istanze possono trovare una soluzione (una volta che siano emerse) se raccolte da un politico (vicino al popolo). Una volta che l'istanza (nella fattispecie un malessere) sia conosciuta, ecco che la si risolve. Si ha così un potere magico in grado di eliminare il malessere una volta che lo si porti al giusto cospetto. Come una volta gli scrofolosi, che, giunti davanti al trono guarivano (non tutti per la verità) per il tocco dei Re (di Francia e Gran Bretagna): i re taumaturghi. Sostantivo che ha un'origine greca: “ciò che opera prodigi”.

 

Il partito taumaturgo (di Anna Zafesova)

Dall'analisi dei commenti post elettorali, provenienti soprattutto dall'area della sinistra, emergono alcune critiche fondamentali, sintomatiche dello stato di questo segmento dell'opinione pubblica, nonché delle dinamiche profonde delle scelte elettorali:

1. Il PD non è un partito di sinistra. L'applicazione del termine “sinistra” in questo contesto è piuttosto vaga: provenendo da un linguaggio politico che per generazioni ha utilizzato il termine “sinistra” come un sinonimo di “buono”, “giusto”, “migliore” e “morale”, il concetto che definisce è inevitabilmente fuorviante. Dalle lamentele degli elettori, attuali ed ex, della “sinistra” si potrebbe evincere che in questo contesto per “non più di sinistra” si intende “non più espressione del malessere delle larghe masse della popolazione”. Il che non soltanto è lontano anni luce da qualsiasi definizione classica o più moderna della Sinistra – senza virgolette – ma è anche una definizione con forte connotato emotivo, che non delimita una proposta politica con precisi connotati sociali, economici o culturali, ma vorrebbe dalla politica innanzitutto una espressione verbale della propria frustrazione, una trasmissione dal basso in alto dello scontento, invece che delle aspirazioni e delle rivendicazioni.

 

2. A questo si ricongiunge un'altra accusa: il PD è un partito d'élite, che non rappresenta più il “popolo”. La contrapposizione tra “popolo” ed “élite” di nuovo è vaga, potrebbe in qualche modo essere imparentata con i “padroni” di un tempo. Ma i “padroni” erano la semplificazione del linguaggio marxista che divideva il mondo in proprietari di mezzi di produzione e lavoratori costretti a vendere loro la propria forza lavoro. In questo contesto invece, il ruolo dell'élite non ha contorni sociali precisi: più che proprietari appaiono quelli che tirano i fili, quelli che dominano il campo mediatico con discorsi discordanti da quelli delle masse, quelli connessi a chi conta (chi?), nel miglior caso le non meglio precisate “banche”, o “salotti”.

 

3. Scomparso il conflitto tra padroni e operai (con la sparizione contestuale della grande industria), il conflitto non passa più dalla partecipazione al processo produttivo e alla redistribuzione dei suoi frutti, ma dal coinvolgimento nel potere decisionale. A destra il discorso è più concreto, con istanze fiscali e anti burocratiche, a sinistra sembra più una protesta contro i happy few, quelli che stanno meglio di noi e non si accorgono di quanto stiamo male, e nella gioia condivisa per il fallimento elettorale di numerosi VIP molti si avvicinano all'idea del M5S che un partito deve anzi rifuggire l'élite e portare in parlamento la gente comune.

 

4. Curiosamente, l'idea della vecchia sinistra del popolo che deve emanciparsi e generare un'élite viene sostituita da un mondo dove nessuno parrebbe voler far parte dell'élite, ma soltanto delle sue vittime. I grandi partiti tradizionali a piramide, con una sezione verticale che attraversava tutti gli strati sociali, viene sostituita da una visione “orizzontale” del Noi contro Loro. L'idea di una politica fatta da professionisti, di un ordinamento in cui un partito deve rappresentare ed esprimere (e formare) un'élite per poter governare sembra abbandonata a favore, di nuovo, di un partito trasmettitore di malessere, un media, non uno strumento. In altre parole, la comprensione stessa di un partito come parte di un “sistema” viene meno, sostituita appunto da un ragionamento “anti sistema”.

 

5. Parallelo a questa accusa scorre il filone di critica che rimprovera ai leader del PD di non aver saputo ascoltare la gente, di non sapere cosa vuole e di cosa soffre, di “non conoscere il Paese reale”. A parte la scontata percezione deviata dei social network, dove singoli privati cittadini ritengono che l'esperienza personale loro e dei loro conoscenti rappresenti il Paese reale meglio di una rete politica dotata di strumenti mediatici, demoscopici e rappresentativi (che, beninteso, possono sempre venire utilizzati in modo sbagliato, o non utilizzati affatto), balza agli occhi il sillogismo che sembra palese agli autori di questo ragionamento: il partito perde perché non conosce gli umori del Paese, perché se li avesse conosciuti, gli sarebbe venuto incontro.

 

6. Quindi, l'idea è dei partiti “consumer driven”, che si adeguano alla richiesta degli elettori, anche a costo di cambiare radicalmente la propria anima, e gli interessi che rappresentano. L'idea che un partito, e un governo, possano essere perfettamente a conoscenza dei desideri e delle frustrazioni degli elettori, ma non sapere come soddisfarli, non passa neanche per la testa. Al Sud non c'è lavoro, e il PD – in questo caso sia partito sia governo – non lo crea perché non è al corrente di questo bisogno, o perché lo ignora colpevolmente, non perché si tratta di un processo difficilissimo, lunghissimo e non necessariamente possibile (finora non ci è riuscito nessuno).

 

7. Il ceto medio non vede crescere da anni i propri redditi, e ovviamente il governo (e l'Istat, dal quale vengono peraltro questi dati sbandierati in campagna elettorale) non sa e non vuole saperlo, perché altrimenti avrebbe già trovato una soluzione a una crisi che la demografia, la globalizzazione e soprattutto l'avvento delle tecnologie per ora hanno reso irrisolvibile in tutto il mondo. E' solo una questione di buona o cattiva volontà, non di possibilità pratiche. Chi governa, l'élite, non ha che da essere più buona, più giusta, è una questione di morale. Da qui anche l'estrema personalizzazione del dibattito, e le accuse di “antipatia” e “arroganza”: un politico prima che competente deve essere empatico, un'altra qualità che definisce più la sua immagine mediatica che la capacità di governante.

 

8. Conoscere le aspirazioni della gente e condividerle è un tutt'uno in questo contesto. Viene meno la comprensione stessa del termine “partito” - una parte, appunto – e dello stesso sistema parlamentare, dove vengono rappresentate diverse parti, anche in conflitto tra loro, che mediano i loro interessi in sede parlamentare, partendo dal principio che nessuno è possessore esclusivo della verità e non esiste una soluzione che accontenti tutti.

 

9. Le elezioni servono anche per rimescolare le quote rappresentative di questi interessi, in quanto soggetti al cambiamento: nelle elezioni del 2013 l'argomento principale era la crisi economica, la permanenza nell'euro, lo spread, la recessione, totalmente superati nel 2018. Nel discorso corrente viene invece auspicato un partito che assorbe e ritrasmette gli interessi di “tutto il popolo”, con il presupposto che il popolo abbia interessi condivisi, e se qualcuno non li condivide, ecco non fa parte del popolo, ma appunto della famigerata élite.

 

Possiamo riassumere così i punti salienti del dibattito critico in corso nell'area di sinistra:

1. Un partito deve rappresentare la gente e seguirne i (mutevoli) malumori, non avere un'agenda, non condividere lo scontento, del tutto o in parte, e nemmeno formare correnti di opinione pubblica, ma solo soccombervi.

 

2. Un partito non può essere “partitico”, ma deve rispecchiare la totalità della gente, vista come un'entità unica, animata da uno spirito di massa comune e per definizione giusto. La concezione democratica di una società come insieme di interessi e istanze diverse quando non contrapposte, sparisce.

 

3. Un partito non può rappresentare l'élite, né esprimerla, non può dire “no” alle aspirazioni e richieste del suo elettorato di base, deve essere simmetrico e uguale a chi lo vota.

 

4. Un partito deve innanzitutto esprimere il sentire del suo elettorato, ancora prima di fare qualcosa per venirgli incontro*. Se un partito “non fa nulla per la gente”, è per cattiva volontà dei governanti, non perché un problema possa non avere una soluzione, non dipendere del tutto o in parte da chi governa, o andare contro gli interessi di un'altra parte del conglomerato della “gente”.

 

5. Un partito di “sinistra” non può non essere rappresentazione del malessere delle masse qualunque sia il costo politico di questa scelta**.

 

Come si vede da quanto esposto sopra, molte istanze espresse nel segmento di sinistra dell'opinione pubblica manifestano una parentela con la visione del mondo “populista”, e infatti esiste una correlazione tra chi aderisce a queste tesi e chi è più propenso a una sinistra che stringa alleanze post elettorali.

 

Note

*L'idea che le masse hanno sempre ragione non è necessariamente confermata dai fatti. Lasciando perdere gli esempi più ovvi del Novecento, in tutti i Paesi che hanno abolito la pena di morte, al momento dell'abolizione una cospicua maggioranza era contraria. E la maggioranza degli americani era contraria a far entrare gli afroamericani nelle scuole miste, quando Eisenhower mandò la Guardia nazionale nella scuola di Little Rock, episodio che commuove sempre molto la “sinistra”. In tempi più recenti, Obama si è schierato a favore del matrimonio omosessuale quando la maggioranza degli americani era risolutamente contraria, e ha trovato anche il modo di ribaltare l'opinione pubblica.

 

**Nel contesto elettorale italiano, prestare ascolto alla “pancia” elettorale avrebbe significato concretamente per il PD passare dall'idea dell'integrazione e dell'accoglienza a una posizione sull'immigrazione che  oscilla tra chiusura e razzismo, e nell'economia distribuire reddito non sostenibile, contemporaneamente abbassando le tasse. Nel qual caso avrebbe smesso di essere il partito che rappresenta l'élite – non nel senso dei happy few, ma di chi amministra, di chi manda avanti imprese e città, di chi crea lavoro e gettito fiscale – a favore di chi esprime queste istanze. Oltretutto, mettendosi a concorrere con chi questo campo l'ha già coltivato molto più proficuamente e che, non essendo legato dall'obbligo di governare e quindi dell'avere presenti i vincoli della realtà, scavalca sempre le proposte moderate.

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