Aldo Moro ed Enrico Berlinguer

La Prima Repubblica non torna più, inutile averne nostalgia

Luciano Capone

Altro che Moro e Berlinguer, senza cultura politica e deficit è impossibile un compromesso storico. Parlano Pomicino e Fornero

Roma. “Al di là della differenza storiche, la politica ha un suo profilo non modificabile. E il risultato delle elezioni mette sulle spalle del maggiore partito o della maggiore coalizione il peso di intraprendere una iniziativa politica”. Paolo Cirino Pomicino, storico esponente della Democrazia Cristiana e a lungo presidente della commissione Bilancio della Camera, espone le ferree leggi che muovono la politica e che costringono M5s e Lega a uscire allo scoperto. Lo stallo e la difficoltà nella formazione di un governo hanno riportato alla mente le elezioni del 1976 e il governo Andreotti nato dalla “non sfiducia” del Pci. “Allora ci furono due grandi vincitori, la Dc e il Pci, con i socialisti che non volevano partecipare a un governo con la Dc”, dice Pomicino. Una situazione simile all’attuale, con M5s e centrodestra vincitori, e il Pd nel ruolo del Psi che si chiama fuori. “C’erano anche due fattori esterni non da poco. C’era il terrorismo, che vuol dire che si sparava, e poi c’era l’inflazione a due cifre, una crisi di finanza pubblica checi costrinse a dare in prestito l’oro della Banca d’Italia per ottenere un prestito dalla Bundesbank. Era un contesto molto più grave di quello attuale”. E come se ne uscì? “Il partito di maggioranza relativa, la Dc, cominciò a dialogare con ciascuno dei segretari politici, con i tradizionali partiti alleati e anche con il Pci, attraverso una lunga trattativa tra Moro e Berlinguer che portò alla nascita del governo”.

 

Se si è risolta allora una crisi politica così grave si può fare anche adesso. “La cosa che mi spaventa è che il partito che ha ottenuto più voti, il M5s, ripeta ‘devono parlare con noi’. E’ una posizione passiva, da Ghino di Tacco del Parlamento, mentre un partito con una responsabilità nazionale deve prendere una iniziativa politica. Vale anche per la Lega”. Lei ce li vede Di Maio e Salvini dialogare come Moro e Berlinguer? “Il problema è che è scomparsa la caratteristica fondamentale della Prima Repubblica, che era una grammatica condivisa, la ricerca tra i partiti e dentro i partiti di un comune denominatore”. L’inciucio. “Ecco, chiamare inciucio quello che una volta era il nobile compromesso è il frutto di una politica che ha sostituito l’insulto al confronto – dice Cirino Pomicino –. Prima si cercava sempre, anche nella legge finanziaria, un minimo comune denominatore sulle poste di bilancio. Non significa che non c’era una maggioranza, ma si riconosceva che era solo una parte del paese. E così anche le richieste di bilancio delle minoranze erano legittime e potevano essere accettate”.

 

Questo è un altro punto fondamentale per capire cos’è cambiato rispetto a oggi, perché è più difficile uscire dall’impasse. Non solo la comune grammatica politica è stata sostituita dalla delegittimazione reciproca e il confronto dallo scontro muscolare, ma non c’è neppure la possibilità di fare debito pubblico per appianare le divergenze, di trovare un compromesso attraverso il lubrificante del deficit di bilancio. Carlo Cottarelli con il suo Osservatorio sui conti pubblici ha mostrato quanto i programmi elettorali siano senza coperture per decine e decine di miliardi. Ma nessun partito o coalizione è in grado di governare da solo e adesso, per trovare una maggioranza, persino quei deficit enormi sono insufficienti. Andrebbero sommati: reddito di cittadinanza più flat tax più abolizione della legge Fornero più aiuti ai figli più investimenti pubblici. Ma questo, a differenza dei tempi della Prima Repubblica, non si può più fare. “I vincoli di bilancio sono centrali – dice al Foglio Elsa Fornero, economista all’Università di Torino e autrice della riforma delle pensioni tanto contestata da M5s e Lega – le risorse sono poche e bisognerà decidere dove spenderle. Uno può anche fregarsene del disavanzo, ma poi i mercati ti saltano addosso perché non ti fanno credito. E con il nostro debito elevato noi abbiamo in media più di 1 miliardo al giorno di necessità finanziarie”. Ma la vittoria dei partiti anti-sistema è anche una ribellione contro i vincoli di bilancio. “Hanno fatto sembrare possibili molte cose che non lo sono – dice la Fornero –. Si accorgeranno presto che neanche loro hanno assoluta libertà di azione”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali