La governabilità? Ce la dà solo il doppio turno
Vista la legge elettorale, il risultato del 4 marzo non è una sorpresa. Ma c'è spazio per far risorgere l'Italicum. Parla D'Alimonte
Roma. “L’esito di queste elezioni non sono una sorpresa, perché i sistemi proporzionali o prevalentemente proporzionali nel contesto attuale non possono che produrre ingovernabilità”, dice il professor Roberto D’Alimonte al Foglio. “Se vogliamo favorire un minimo di governabilità e stabilità dei governi dobbiamo utilizzare sistemi disproporzionali. Cioè maggioritari. L’attuale sistema elettorale, il Rosatellum, è un sistema prevalentemente proporzionale il cui potenziale di disproporzionalità è insufficiente a garantire risultati stabili”. Dunque che cosa si potrebbe fare? “Se restiamo dentro i sistemi a un turno, potremmo riprendere in considerazione la vecchia legge Mattarella. Quella con cui abbiamo votato nel 1994, 1996 e 2001. Aveva una significativa quota di maggioritario, e quindi una capacità disproporzionale molto elevata: 75 per cento dei seggi attribuiti attraverso i collegi uninominali contro il 37 del Rosatellum. Il problema è che in una situazione tripolare come quella di oggi neanche la legge Mattarella potrebbe garantirci un vincitore. L’alternativa alla Mattarella, restando dentro un sistema a un turno, potrebbe essere una legge come il Porcellum, ma con un premio di maggioranza costituzionalizzato. Un premio che con il 40 per cento dei voti potrebbe attribuire il 54 per cento dei seggi: sarebbe un premio di circa 14 punti. La vecchia legge Calderoli invece non aveva una soglia per far scattare il premio e la Corte costituzionale l’ha bocciata. Il problema qui è che se nessuno arriva al 40 per cento dei voti non scatta il premio di maggioranza e siamo punto e a capo”.
Si arriva dunque alla proposta del direttore del Foglio Claudio Cerasa sul doppio turno. “Proposta che mi trova d’accordo. La desiderabilità del doppio turno nasce dalle considerazioni che abbiamo fatto finora. Solo il doppio turno può garantire la governabilità nell’attuale contesto. Il doppio turno può essere di due tipi. Alla francese, come nel caso delle legislative, con doppio turno di collegio. E’ un doppio turno aperto e non è previsto ballottaggio. Oppure doppio turno di lista, come l’Italicum. E sarebbe dunque la resurrezione di Lazzaro. Questo Lazzaro-Italicum però dovrebbe risorgere tenendo conto della sentenza della Corte. L’Italicum prevedeva che la lista arrivata al 40 avrebbe avuto un premio di 14 punti, ottenendo 340 deputati. I perdenti si sarebbero divisi 278 deputati. Insomma governabilità e rappresentatività sarebbero state garantite”. Con l’Italicum oggi le cose sarebbero diverse? “Se avessimo l’Italicum oggi non saremmo in queste condizioni: avremmo scelto fra Paolo Gentiloni e Luigi Di Maio, fra Di Maio e Antonio Tajani, fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Sarebbe stata una scelta chiara, netta, legata alle seconde preferenze degli italiani. Questo è il punto: per sbloccare lo stallo occorre mettere in campo le seconde preferenze degli elettori. Sono gli elettori con la seconda preferenza a decidere quale governo vogliono. E’ il compromesso di cui parla il direttore del Foglio nel suo editoriale. E’ il compromesso fatto dagli elettori, non dai partiti, che dopo il voto devono costruire delle coalizioni senza riuscire a farle. Solo usando le seconde preferenze possiamo uscire dallo stallo”. La Corte però ha bocciato l’Italicum, professore. “Sì, anche se con motivazioni assurde. La bocciatura ci stava, dopo il fallimento del referendum costituzionale. Ma la Corte avrebbe potuto semplicemente usare il principio di ragionevolezza, invece ha preferito andare ben oltre. Ha però anche lasciato uno spazio aperto, perché l’Italicum non prevedeva, nella seconda versione, le coalizioni. La resurrezione di Lazzaro potrebbe prevederle per soddisfare uno dei criteri della Corte. Così come potrebbe prevedere gli accorpamenti tra primo e secondo turno”. Ci sono però dei rischi: “Il rischio è che, di fronte a due camere con stessi poteri e corpi elettorali diversi, il ballottaggio produca due maggioranze diverse. Per questo servirebbe una riforma costituzionale che come minimo abbassi a 18 anni il voto al Senato o, meglio ancora, serva a superare il bicameralismo paritario attuale”.