Il grillismo non ha bisogno di utili idioti
L’immobilismo come virtù, il compromesso come disonestà. Le divisioni del M5s sulle Olimpiadi (e le mosse con Salvini) ci dicono che se avveleni i pozzi prima o poi sarai avvelenato. Perché la vittoria non può cancellare la vera natura del grillismo
Lo scontro fratricida registrato a Torino sulle Olimpiadi invernali tra i consiglieri comunali del Movimento 5 stelle – che da giorni hanno deciso di condurre una battaglia di ostruzionismo contro il proprio sindaco, desideroso di non perdere l’occasione di portare a Torino i Giochi del 2026 – è una storia che merita di essere messa a fuoco con attenzione perché ci dice molto di una caratteristica dell’Italia a cinque stelle non sufficientemente analizzata.
La questione è fin troppo elementare: un movimento che ha contribuito ad avvelenare la nostra cultura politica portando avanti l’idea che l’immobilismo e la retorica del no siano le uniche forme possibili di resistenza all’Italia della disonestà come può pensare di governare il paese?
Nelle ultime ore, gli utili idioti del grillismo hanno provato a raccontare che il Movimento 5 stelle non è più quello del vaffa, non è più quello dell’insulto, non è più quello della protesta, e per questo oggi non può che essere descritto come qualcosa di profondamente diverso rispetto al vecchio partito di lotta e non di governo.
Il voto del 4 marzo ha premiato il partito guidato da Luigi Di Maio ma la ragione per cui per il 5 stelle sarà tremendamente complicato accettare di far partire un governo non dipende dall’impossibilità di trovare i numeri per far nascere un esecutivo. Dipende da qualcosa di più importante. Dipende dal fatto che è stato proprio il M5s, in questi anni, ad aver creato le condizioni per non poter governare all’interno di una Repubblica parlamentare. Gli utili idioti del grillismo fanno finta di nulla e trattano il M5s come se fosse un partito normale. Ma il 5 stelle non è un partito normale, e non solo per le note questioni legate al gioco di scatole cinesi con cui il capo di una srl privata governa un partito votato da milioni di elettori. Non è un partito normale perché in questi anni ha fatto di tutto per rendere inaccettabile ciò che per governare non può che essere accettabile. Per governare, ai grillini oggi serve un’alleanza con un altro partito ma per loro fare un’alleanza con un altro partito è culturalmente impossibile. Ogni accordo tra i partiti è sempre stato considerato come il simbolo di un inciucio. Ogni compromesso tra le forze politiche è sempre stato considerato come un atto immorale. Ogni alleanza innaturale è sempre stata considerata come uno sporco gioco di poltrone. E se passi i giorni a descrivere ogni politico non iscritto alla piattaforma Rousseau come se fosse un politico disonesto, è difficile che un governo dell’onestà possa nascere facendo appello ai politici disonesti – o magari facendo appello ai parlamentari degli altri partiti, per provare a spingerli a tradire il loro vincolo di mandato per far nascere un governo che vuole abolire il divieto di vincolo di mandato. Nella grammatica grillina qualsiasi forma di collaborazione con politici diversi da quelli grillini è una forma di collaborazione disonesta – esistono solo nemici da distruggere, non sono previsti avversari con cui collaborare – perché da anni il M5s sostiene la necessità di attrezzarsi per far sì che il paese abbia uno stato senza più corpi intermedi, senza più sindacati e senza più partiti (già sentito, no?). E nell’orizzonte pentastellato la prospettiva di fare di tutto per avere nel minor tempo possibile un’Italia formata da un unico partito è un utopia irrealizzabile, sì, ma che ci dà la possibilità di misurare le radice totalitarie del maoisimo digitale grillino.
E’ possibile che il Movimento 5 stelle voglia dare l’impressione di voler cambiare profilo (un partito che sogna di distruggere la democrazia rappresentativa imponendo la democrazia diretta e di saccheggiare lo stato di diritto legittimando il metodo della gogna può mai cambiare profilo?). Ma è impossibile non notare che i mostri creati dal grillismo sono ormai parte di una cultura politica egemonica che alla lunga rischia di inghiottire anche qualsiasi tentativo del M5s di dare forma alla propria possibile svolta. Se avveleni i pozzi, prima o poi sarai avvelenato anche tu. E il caso di Torino, se mai ce ne fosse bisogno, ci ricorda che a dirci che una svolta moderata grillina è pura fiction non è solo la grammatica politica ma è l’inerzia che muove ogni forma di populismo di lotta che si ritrova ad avere ambizioni di governo. Il manuale del populismo (pensate alla Catalogna) ci dice che quando prendi voti sulla base di una retorica propagandistica, e magari poi sulla base di quel progetto finisci al governo, quella retorica sei in qualche modo vincolato a seguirla. Il caso di Torino, in piccolo, ci dice che se prendi voti su una base populista, antisistema, di protesta, di lotta, e se hai educato i tuoi elettori a considerare l’immobilismo come l’unica forma di legalità possibile, alla fine una svolta moderata può avvenire solo a una condizione: negare i propri princìpi, tradire i propri elettori, accettare di lacerare il proprio movimento. Un governo con il 5 stelle può nascere solo se il 5 stelle avrà il coraggio di spiegare agli elettori che il 5 stelle li ha presi in giro per anni (dove sono i pop corn?). Perché per governare, servono gli inciuci. Per guidare il paese, servono i compromessi. Per far nascere un governo, servono le alleanze.
In questo senso, Luigi Di Maio, così come Matteo Salvini, ha di fronte a sé dei problemi mica da poco. Per far nascere un governo tocca infatti scegliere due strade complicate da accettare.
La prima è riconoscere che la Lega e il M5s sono due facce dello stesso (ops) inciucio sovranista. La seconda è riconoscere che per far nascere un governo degli onesti tocca chiedere un aiuto al partito dei disonesti. Ancora oggi è complicato capire che direzione seguirà la prossima legislatura. Ma più passano i giorni (ieri Salvini ha detto che non farà mai un governo con il Pd, segnando una posizione diversa da quella di Berlusconi, che invece il Pd vorrebbe coinvolgerlo in un governo) e più sembra chiaro che l’unica maggioranza possibile sia quella che comprende, insieme, la Lega e il Movimento 5 stelle. In fondo, al netto del pallottoliere dei seggi, uno tra Di Maio e Salvini può davvero accettare di regalare all’avversario l’egemonia dell’opposizione? Il giorno dell’elezione dei presidenti delle Camere è possibile che si parta proprio da qui.