Corbetta e Tarchi ci spiegano perché Lega e M5s vogliono tornare a votare
Quale sarà la capacità dei due partiti di trattenere i propri voti e di attrarre gli elettori che si sono rivolti altrove? Parlano il politologo Marco Tarchi e il professor Piergiorgio Corbetta
Roma. Ma Lega e Cinque stelle potrebbero davvero governare insieme, magari stabilmente? O hanno interesse, più convenientemente, a tornare al voto perché possano incrementare i propri consensi? Uno studio Quorum/YouTrend spiega che “dal 2013 sia il Partito democratico, sia Forza Italia (all’epoca Pdl) hanno perso quasi la metà dei loro elettori, mentre il Movimento 5 stelle e la Lega sono riusciti a conservare oltre l’80 per cento di chi li aveva già votati”. Nel caso del partito di Grillo & Casaleggio è un record, perché di solito chi al primo colpo prende i voti intercettando la frustrazione dell’elettorato, la volta dopo disperde i propri consensi per mancanza di risultati. Questo non è accaduto al M5s, che è passato dal 25,5 per cento al 32,7 (+7,2). La Lega è cresciuta ancora di più, passando dal 4,1 per cento del 2013 a quasi il 18 per cento (e il 22 per cento di questi voti, secondo YouTrend/Quorum, arrivano dal Pdl). Insomma, due sembrano essere gli elementi da tenere sott’occhio: la capacità di trattenere i propri voti rispetto al 2013 e l’attrattività verso elettori che nel 2013 si erano rivolti altrove. La fluidità elettorale negli ultimi 10 anni ha prodotto una maggiore propensione al cambiamento di voto tra una tornata elettorale e l’altra. Si riduce così la fedeltà partitica e aumenta la volatilità elettorale. Nel 2018 l’indice di volatilità elettorale, scrive YouTrend, è il terzo dato più alto della storia dell’Italia repubblicana (pari al 28 per cento). La novità è che a questo giro non c’era un partito nuovo, come nel 1994, quando nacquero Forza Italia e La Rete, o nel 2013, quando si presentarono il M5s e Scelta Civica, e quindi i voti sono passati da uno schieramento all’altro. M5s e Lega, secondo uno studio dell’Ipsos sui flussi di voto, sono stati i partiti più attrattivi per gli astensionisti (7 per cento M5s, 4 per cento Lega).
Insomma, a Cinque Stelle e Lega conviene governare insieme?
“Al momento, no”, risponde al Foglio il politologo Marco Tarchi. “Dovrebbero prima ‘preparare’ i rispettivi elettorati a un’alleanza che finora era rimasta nel novero delle ipotesi paradossali. Però, in vista di eventuali fasi future – soprattutto se si tornasse a votare a breve, con un prevedibile incremento dei consensi di entrambi – converrebbe loro mostrarsi dialoganti ed evitare frizioni”. Anche perché, sulla carta, i due partiti “sovranisti” hanno punti in comune, non solo dal punto di vista programmatico. “Anche se”, aggiunge Tarchi, “meno numerosi e sostanziosi di quanto accadrebbe se fossero rimasti in linea con il discorso di Grillo, rispetto al quale, invece, hanno effettuato alcune virate. Credo che su buona parte dei temi economici, e in particolare sulla riforma – restrittiva – dei costi della politica e dell’amministrazione, sulle grandi questioni di politica estera, sulle questioni attinenti la sicurezza e, forse, sul contenimento dei flussi migratori non farebbero fatica a trovare convergenze”.
Secondo il professor Piergiorgio Corbetta, direttore di ricerca dell’istituto Cattaneo, autore di “M5s. Come cambia il partito di Grillo” (Mulino), “i Cinque stelle sono un partito interclassista, come si sarebbe detto un tempo. L’unica categoria sociale in cui sono bassi sono gli over 65. E anche per quanto riguarda i titoli di studio, prendono voti ovunque. La Lega invece non è un partito catch-all: conquista i voti tra gli artigiani, gli operai, le partite iva, tra chi ha un basso titolo di studi. I laureati sono pochi”. Sono due partiti che rappresentano, aggiunge Corbetta, “due tipi di risentimenti diversi contro la politica tradizionale. Il voto per la Lega nasce dall’insicurezza, dal disorientamento per il nuovo, ed è un voto anche contro l’Europa. L’immigrazione, poi, ha giocato un ruolo fortissimo”. I Cinque stelle invece vogliono dare una risposta “alle difficoltà lavorative spostando l’attenzione sulle forme della democrazia, quindi su un piano più alto. Per questo vedo con difficoltà una convergenza programmatica che dia vita a un governo Cinque stelle-Lega”.
Quanto l’elemento della volatilità del voto è determinante per capire le intenzioni dei partiti vincitori delle elezioni? “Molto”, dice Tarchi. E sia il M5s sia la Lega sanno che, di fronte ai risultati del 4 marzo, è probabile che una parte degli elettori di altre liste – Pd, Forza Italia e centristi in primis – sarebbe attratta dai vincitori se si ritornasse alle urne già quest'anno. Quindi non è nel loro interesse cercare forzature con alleanze anomale o sostegni a governi onnicomprensivi”. Le aspettative sono enormi (reddito cittadinanza, flat tax). A M5s e Lega potrebbe toccare il destino di Matteo Renzi, che ha disperso un patrimonio politico e sociale in pochi anni? “E’ un destino – dice Tarchi – che, in questa era post-ideologica, in cui l’appartenenza partitica si restringe a un certo numero di ultrasessantenni eternamente ‘fedeli alla linea’, può toccare, a rotazione, a tutti. Ma ciò significa che a rendere conto saranno chiamati anche coloro che, in queste ore, meditano vendette e aspettano di vedere il cadavere dei nemici passare sul fiume”. Insomma, osserva Corbetta sulla rivista online del Mulino, il partito di Grillo ha firmato una cambiale in bianco con l’elettorato meridionale (+20,7 per cento rispetto al 2013). E “l’elettore che vota per il nuovo, per il cambiamento è un elettore impaziente, che non sa e non vuole aspettare”.