La differenza tra un vaffa e un governo
Lega e M5s sono il governo naturale. Ma se l’accordo dovesse saltare al Pd verrà chiesto che fare con i grillozzi. E per dimostrare che il grillismo è pericoloso non basta dire no. Serve metterli a nudo su questi tre punti
"L’epoca del vaffa è finita, ma quella degli inciuci non comincerà”. Beppe Grillo ha rilasciato ieri a Repubblica un’intervista significativa il cui contenuto è per metà falso e per un’altra metà interessante. E’ falso perché Grillo sa perfettamente che per il 5 stelle l’unica possibilità di andare al governo è passare per quello che i grillini un tempo avrebbero chiamato “un inciucio” (cioè un accordo con un altro partito) e “uno scambio di poltrone” (cioè un accordo per dividersi le presidenze della Camera e del Senato). E’ interessante perché da tempo invece il tema dell’epoca del vaffa che si sarebbe conclusa è finito prepotentemente al centro dell’agenda pubblica del nostro paese. E dato che sono in molti oggi a interrogarsi su cosa dovrebbe fare il Partito democratico nel caso in cui il Movimento 5 stelle dovesse dare una prova di responsabilità (ci viene da ridere) è utile provare a prendere sul serio l’affermazione di Grillo senza accontentarci della risposta certamente interessante che potrebbe dare a questa domanda l’ottimo assistente vocale dello smartphone di Walter Veltroni. Immaginare, come fanno in molti in questi giorni, un governo del Movimento 5 stelle sostenuto dal Pd al momento, lo dicono i numeri, è un’operazione di fantapolitica, nonostante lo sforzo generoso portato avanti su questo terreno dai nuovi campioni della Repubblica del Pif e dagli utili idioti della sinistra che sognano di trasformare Luigi Di Maio nel nuovo Enrico Berlinguer.
Eppure, se l’unico schema orribile ma naturale partorito dal voto del 4 marzo non dovesse andare in porto – se non dovesse prendere corpo il piano B, ovvero un governo di legislatura guidato dal Movimento 5 stelle e dalla Lega, e se non dovesse prendere corpo neppure il piano A, ovvero una legislatura che rinuncia a far nascere un nuovo governo e si limita, previo accordo tra Di Maio e Salvini, ad aggiornare la legge elettorale inserendo un premio di maggioranza alla lista, per tornare a votare a ottobre – se tutto questo non dovesse andare in porto è possibile, anzi è certo, che prima di valutare l’opzione di un governo del tutti insieme venga chiesto al Pd a che condizioni farebbe partire un governo con il Movimento 5 stelle. Immaginare un Pd che pensi anche solo per un istante a come rendere possibile l’ipotesi di un governo grillino potrebbe sembrare un’operazione di cabaret politico. Ma dato che a metà aprile il Movimento 5 stelle potrebbe davvero discutere con il Pd-meno-elle (come Grillo chiamava il Pd quando gli accordi fatti dal Pd non erano con il M5s) è utile fare uno sforzo e capire quale potrebbe essere lo scopo di un governo di scopo con gli sfascisti grillini.
E cosa vorrebbe dire, concretamente, dimostrare che l’epoca del vaffa è davvero finita. Punto numero uno: è disposto o no il Movimento 5 stelle a legiferare e a governare nel rispetto degli articoli 27 e 111 della Costituzione, in base ai quali non basta un’indagine per essere lapidati e in base ai quali “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale: la legge ne assicura la ragionevole durata”? Sì o no? Punto numero due: è disposto o no il Movimento 5 stelle a onorare la democrazia rappresentativa stracciando ogni contratto che costringa i propri eletti a cedere a terzi il controllo preventivo di “tutte le proposte di alta amministrazione e le questioni giuridicamente complesse” (articolo 97), stracciando ogni contratto che costringa i parlamentari a firmare contratti con penali estorsive negando loro il diritto di non essere solo dei sudditi del capo di una srl privata ma (articolo 67) di rappresentare la nazione senza vincolo di mandato? Sì o no? Punto numero tre: è disposto o no il Movimento 5 stelle a firmare un contrattino in cui si impegna a non azzerare la legge Fornero, la cui soppressione come calcolato dalla Ragioneria dello stato comporterebbe una spesa di circa 100 miliardi di euro nella prossima legislatura, a non toccare i meccanismi di flessibilità previsti nel Jobs Act, a sostenere l’euro, a non toccare la legge sull’obbligatorietà dei vaccini, a non sospendere l’applicazione del raggiungimento del pareggio di Bilancio e il rispetto dell’indebitamento entro il 3 per cento del pil e a non promuovere politiche volte al protezionismo in Europa? Sì o no? Questo giornale, come si sa, non ha una grande simpatia per il Movimento 5 stelle, considera la democrazia digitale una truffa politica, considera Luigi Di Maio il capo politico di un movimento che rappresenta una minaccia per la democrazia rappresentativa, per lo stato di diritto e per l’economia europea e crede che l’unica maggioranza naturale da far nascere in questa legislatura sia quella dell’inciucione populista. Il giorno in cui però la sinistra italiana fosse costretta a confrontarsi con l’ipotesi di far nascere un governo a 5 stelle (orrore) dire genericamente di No non basterebbe. Sarebbe invece invece utile dimostrare, con alcuni punti facili da maneggiare, che differenza c’è tra dire sinceramente no al vaffa, e iniziare a digerire con la bocca chiusa, e limitarsi invece a mettersi solo la mano davanti alla bocca, mentre si continua a ruttare allegramente contro i valori non negoziabili di una sana democrazia europea. Sì o no?