"L'accordo Pd-M5s? Suicidario e inquietante". Parla Alessandro Dal Lago
Sociologo, uomo di sinistra e “lupo solitario”, si domanda: perché chi firma appelli elude il nodo della cessione di controllo a Casaleggio?
Roma. Aprire ai Cinque Stelle, in varie forme: come nel 2013, oggi c’è chi, tra gli intellò e non solo, suggerisce al Pd e in generale alla sinistra la via della collaborazione. Dal 5 marzo in poi, infatti, gli appelli a favore di un accordo si sono moltiplicati: l’attore e regista Pif, il filosofo Massimo Cacciari (che consiglia al Pd di favorire la nascita di un governo monocolore a Cinque Stelle – via astensione), Walter Veltroni (“a certe condizioni e con la regia del Colle, il Pd dialoghi con l’M5s”), alcuni esponenti della minoranza pd, da Michele Emiliano a Francesco Boccia, il direttore di MicroMega Paolo Flores D’Arcais, passato negli anni da una posizione più che aperturista verso l’M5s a una posizione critica e ora di nuovo all’idea di un esecutivo “modello Zagrebelsky”, cioè proposto dai Cinque Stelle con “gli elementi portanti del proprio programma”, ma guidato da una personalità esterna ai partiti. Poi c’è chi dice no, per dirla con Vasco Rossi. No all’accordo tra il centrosinistra e un movimento che di sinistra non ha nulla. Alessandro Dal Lago, sociologo, editorialista del Manifesto e autore di “Populismo digitale. La crisi, la rete e la nuova destra” (Cortina ed.), di “Clic. Grillo, Casaleggio e la demagogia elettronica” (ed. Procopio) e del pamphlet di de-costruzione del mito di “Gomorra” e di Roberto Saviano “Eroi di carta” (Manifestolibri), da uomo di sinistra ma anche da “lupo solitario”, dice oggi che “gli appelli tipo quello di Pif sembrano un tuffo nel passato anche un po’ ridicolo. Basti ricordare il Beppe Grillo che nei suoi post prendeva in giro gli intellò che lo corteggiavano. E’ evidente che qualsiasi accordo con il M5s sarebbe letale per il Pd. Viene il dubbio che chi propone una cosa del genere voglia contribuire ad affossare un partito già affossato. Passi per Pif, mi sorprende Cacciari”.
Sono passati cinque anni da quando, ai tempi dello scouting lanciato dall’allora segretario pd Pierluigi Bersani, gli intellò firmavano appelli intitolati “Se non ora quando?” per favorire l’intesa cordiale Pd-Cinque Stelle (con i Cinque Stelle che volevano aprire il Parlamento come una scatola di tonno). Ma oggi il M5s si presenta diversamente: “In pochi mesi sembrano essersi trasformati da anticasta ad anticamera della casta, per effetto di uno strano trasformismo”, dice Dal Lago, “con al centro della scena un Luigi Di Maio democristianizzato che, per scherzo del destino o abilità della Casaleggio Associati, potrebbe ricevere un incarico esplorativo dal presidente della Repubblica. E lo vedi che quando parla in pubblico ha un’aria felice, Di Maio, come quelli che in tv sospirano ‘ah, se a casa mi vedessero’”. Ma i Cinque Stelle, dice Dal Lago, “hanno molto più in comune con la Lega che con il Pd. Io non voto Pd, sono stato anche molto critico con un partito che ha conquistato la cosiddetta ‘Ditta’ senza poi governare le conseguenze della conquista, ma al Pd consiglierei di non fare questo accordo con il M5s, se non vuole scendere al 10 per cento. Senza contare che una parte della base del M5s è più a destra della dirigenza a Cinque Stelle, sia in tema di diritti sia in tema di giustizia”. Uno dei punti più problematici di una eventuale “intesa” Pd-M5s, infatti, è proprio il giustizialismo a Cinque Stelle (ieri questo giornale ha posto così la questione: “E’ disposto o no il M5s a legiferare e a governare nel rispetto degli articoli 27 e 111 della Costituzione, in base ai quali non basta un’indagine per essere lapidati e in base ai quali “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale…?”). Dice Dal Lago che, se il giustizialismo del M5s “è un problema”, la cosa “che lascia “allibiti” è un’altra: il “contratto preventivo che gli eletti firmano” e “i rapporti con la Casaleggio Associati”, anche sotto forma di Associazione Rousseau, cioè il contratto (con penale) che nega a un parlamentare la possibilità di rappresentare la nazione senza vincolo di mandato (art. 67 della Costituzione) e la “cessione di controllo” a un srl privata, con un uomo al suo vertice “non eletto”, l’uomo che risponde al nome di Davide Casaleggio”. E nel giorno in cui si discute di Facebook, privacy e profili violati, Dal Lago dice: “L’Italia non è l’America, ma se ogni neoeletto a Cinque Stelle deve dare 300 euro al mese all’Associazione Rousseau, vuol dire che i soldi del contribuente, con questo strano giro, vanno in qualche modo a finanziare un’associazione privata, e questo già dovrebbe bastare a dissuadere il Pd dall’allearsi con il M5s, e gli intellettuali dal caldeggiare l’intesa”. Ma c’è qualcosa che confonde la vista, qualcosa che può far pensare che il M5s possa essere “un po’ di sinistra”? Per Dal Lago la risposta è no, no e no: “C’è chi considera il M5s di sinistra in quanto movimento popolare. Ma c’è modo e modo di essere ‘popolari’, a partire dalle parole d’ordine del populismo contemporaneo per arrivare al ceto da cui provengono la maggior parte di eletti e attivisti a Cinque Stelle – nuovo nel senso che è composto da tipologie sociali nuove alla politica: insegnanti di materie scientifiche, ingegneri, tecnici web”. Ma ciò che “più inquieta” Dal Lago è proprio “la sottovalutazione”, da parte degli intellettuali e di una parte del ceto politico, della domanda: “Chi muove – e come – il M5s? Come si può delegare il controllo al duo Casalino-Casaleggio?”. Tutto il resto, nella sinistra che si vuole alleare con i Cinque Stelle “dopo aver perso il Sud”, per Dal Lago è “pura tendenza suicidaria”.