Nell'era della dissimulazione l'unica maggioranza quasi sicura è il partito del non voto
Incarichi "certi". Camere "decisive". Governo e fake news
Voltaire ha scritto che il dubbio è scomodo ma che solo gli imbecilli non ne hanno. Il famoso aforisma del filosofo francese ci può aiutare a ricordare perché mai come in questa fase della nostra vita politica, rispetto al futuro della legislatura, avere dubbi non è una debolezza ma è un dovere per chi non vuole raccontare frottole ai propri interlocutori. Ad appena due settimane dalle elezioni politiche, è ancora complicato avere certezze su quel che accadrà mentre è meno complicato cominciare a capire quali saranno alcune cose descritte da molti come probabili e che invece a rigor di logica sono destinate a non accadere.
Non sappiamo a chi andranno le presidenze di Camera e Senato e non sappiamo che traiettoria prenderanno le consultazioni che il presidente della Repubblica condurrà subito dopo le vacanze di Pasqua ma sappiamo che ci sono almeno quattro storie false con cui i giornali in questi giorni stanno facendo i conti. La prima riguarda l’idea che il Pd comunque sia starà all’opposizione. E’ davvero così? La risposta è no. Quando un partito si presenta alle consultazioni al Quirinale con un segretario in carica quel partito ha una capacità contrattuale molto forte. Ma quando un partito si presenta alle consultazioni con un segretario dimissionario i gruppi parlamentari di quel partito – successe nel 2013, succederà anche nel 2018 – tendono a mettersi in modo naturale a disposizione del presidente della Repubblica. E se il presidente della Repubblica chiederà con insistenza a quello che è il suo partito di provenienza di far partire un governo che considera indispensabile, in nome della responsabilità istituzionale o in nome della stabilità dei mercati, quel partito non potrà che dire di sì.
La seconda fake news è legata al fatto che l’assegnazione delle presidenze di Camera e Senato sarà “decisiva” per determinare il futuro della legislatura. E’ davvero così? Se la Lega dovesse decidere di rinunciare alla guida di una delle Camere, cedendola a Forza Italia, Mattarella avrebbe un’indicazione preziosa per le sue consultazioni e saprebbe che il centrodestra sarà unito a prescindere da quello che succederà nel corso della legislatura. Ma se la Lega e il M5s dovessero scegliere, come sembra, di dividersi le Camere dal giorno dopo l’elezione dei successori di Grasso e Boldrini rispetto al futuro della legislatura non cambierebbe nulla. Nella storia recente della nostra Repubblica è capitato spesso che i primi due partiti si siano messi d’accordo per dividersi Palazzo Madama e Montecitorio senza cercare un accordo per governare (al Pci la presidenza della Camera andò non soltanto ai tempi di Ingrao, quando il Partito comunista ebbe un ruolo nel far partire un governo a guida Dc, ma anche ai tempi di Iotti e Napolitano, quando rimase all’opposizione) e la ragione per cui Di Maio e Salvini potrebbero dividersi le Camere potrebbe essere legata non alla prospettiva di fare un governo insieme, ma proprio all’incertezza sul futuro: intanto consolidiamo il nostro successo elettorale e poi si vedrà.
La terza storia riguarda “l’inevitabilità” di un’assegnazione di un incarico esplorativo a Salvini e a Di Maio. Ma chi espone questa tesi conosce poco la cultura politica da cui proviene Sergio Mattarella e che è incompatibile con ogni prassi non legata alla prudenza. E la prudenza oggi suggerisce che le esplorazioni è bene che non siano affidate a coloro che sono arrivati primi alle elezioni (un incarico esplorativo avrebbe l’effetto di sfiduciare il governo ancora in carica) ma è bene che vengano fatte direttamente dal capo dello stato, che sarà molto diffidente dal dare un incarico diverso da quello destinato a far nascere un governo. La quarta storia riguarda l’idea che comunque sia questa legislatura è “condannata a durare pochi mesi” ma chi considera probabile questa opzione dimentica alcuni fattori.
In Italia, nessuna legislatura è durata meno di 723 giorni. E come spesso capita più si andrà avanti con il tempo e più sarà chiaro che in una legislatura i cui parlamentari sono al 65 per cento dei nuovi eletti non sarà difficile trovare un modo per trasformare in “responsabilità” la voglia di non mettere a rischio il proprio posto in Parlamento. E se mai Lega e M5s volessero tornare a votare dovrebbero fare i conti con due percentuali pesanti: 86,5 la Lega; 73,8 il M5s. Sono le percentuali di uomini e donne della Lega e del M5s eletti per la prima volta in Parlamento. In questa fase politica i dubbi sono molti. Ma una certezza c’è: il partito del non voto oggi è l’unica maggioranza sicura in questa legislatura.