La meraviglia del Grillusconi
Di Maio e l’inciucio inevitabile, ma impossibile, per far fruttare i voti del 4 marzo. La partita della presidenza delle Camere mostra la spassosa incompatibilità del grillismo con la grammatica elementare della democrazia rappresentativa
La sintesi in fondo è tutta qui: avevano denunciato l’orribile Renzusconi e forse si ritroveranno con un delizioso Grillusconi. A poche ore dalla prima delicata partita a scacchi che Luigi Di Maio dovrà giocare sul complicato terreno istituzionale legato alla scelta dei presidenti di Camera e Senato, per il Movimento 5 stelle è sempre più chiaro che il vero problema da affrontare nei prossimi giorni, per evitare di non far fruttare i molti voti incassati il 4 marzo alle elezioni politiche, non riguarda solo la complicata definizione del pallottoliere di Montecitorio ma riguarda, prima di tutto, un tema più grande: la sostanziale incompatibilità del grillismo con la grammatica elementare della democrazia rappresentativa. Il nostro amico Guido Vitiello ci ricorda giustamente da giorni che l’incompatibilità del grillismo con la democrazia rappresentativa è una questione di carattere culturale, e forse costituzionale, perché il firmatario di un contratto eversivo che punta a scardinare l’articolo 67 della Costituzione, che riguarda specificamente la libertà del parlamentare, non si capisce come possa presiedere, e dunque rappresentare, una delle Camere se il suo codice etico prevede esplicitamente il principio della sottomissione di ogni parlamentare non al popolo che lo ha eletto ma al server che lo ha scelto.
Il problema esiste ma il punto sul quale vale la pena concentrarsi oggi riguarda un tema forse più appassionante: se la costituency del tuo movimento è quella di aver creato l’illusione che esista un mondo di onesti che combatte contro un mondo di disonesti come puoi accettare di scendere a compromessi con un mondo fatto di disonesti? Al momento è ancora molto complicato prevedere quale sarà la combinazione più efficace che porterà all’elezione dei successori di Pietro Grasso e Laura Boldrini a Palazzo Madama e a Montecitorio ma nell’attesa di capire quale saranno le mosse del Partito democratico, della Lega e di Forza Italia è evidente che il gustoso psicodramma politico di Luigi Di Maio è legato a un fatto complicato da accettare per chi ha sempre lavorato per imporre l’idea che ogni avversario sia sempre impresentabile, che ogni accordo corrisponda sempre a un inciucio e che ogni scambio di poltrone corrisponda a una corruzione della propria morale. Ci si può girare attorno quanto si vuole ma il punto da mettere a fuoco oggi, in fondo, è fin troppo semplice: come può spiegare Luigi Di Maio ai propri elettori che l’unica alleanza naturale che permetterebbe al movimento di trasformare i voti raccolti il 4 marzo in sicure poltrone (ops) passa dalla formazione di un magnifico mostro politico chiamato Grillusconi?
La questione è chiara e lineare e Silvio Berlusconi, se vogliamo, due giorni fa l’ha posta in modo perfetto: se il Movimento 5 stelle vuole avere la certezza di avere un suo esponente alla guida della Camera (Fico, Fraccaro, Paperoga, fa lo stesso) deve accettare di fare un accordo con tutto il centrodestra (e dunque anche con Berlusconi) e deve dunque trasformare in presentabile il simbolo di tutto ciò che il grillismo considera impresentabile, ovvero il Cav. Tradotto in tattica politica significa molto semplicemente che Forza Italia e la Lega – che ieri hanno bisticciato ma che alla fine troveranno un accordo – voteranno il candidato presidente della Camera del 5 stelle solo se il 5 stelle accetterà anche Berlusconi come interlocutore (e non solo Salvini come vorrebbe fare Di Maio, e forse anche Salvini) e solo se convergerà prima sul candidato che verrà scelto dal centrodestra per guidare il Senato. Senza un accordo di questo tipo, saluti e grazie. La mossa di Berlusconi va legata naturalmente anche all’agenda dei lavori parlamentari – si vota prima alla Camera che al Senato e Berlusconi cerca il maggior numero possibile di voti da far convergere sul suo candidato, che al momento è Paolo Romani, che Di Maio non vuole votare ma che per essere eletto non avrebbe bisogno di altro se non i voti della coalizione di centrodestra – ma il posizionamento del Cav. ha un valore prezioso per una ragione che va ben al di là delle dinamiche del pallottoliere parlamentare, in quanto costringe i grillini a dover fare i conti con il più grande dei mostri possibili per i partiti moralisti: il detestato principio di realtà. E di fronte al principio di realtà il grillismo, come si dice, rischia di finire in mutande.
La vittoria non piena alle elezioni porta il Movimento 5 stelle a trovarsi infatti nella situazione di chi deve trattare necessariamente con gli impresentabili nemici per avere quello che chiede – l’elezione del presidente della Camera avviene a scrutinio segreto e a maggioranza con quorum dei due terzi dei componenti nel primo scrutinio, a maggioranza dei due terzi dei voti nel secondo e terzo scrutinio e a maggioranza assoluta dei voti dopo il terzo e i 227 deputati del Movimento 5 stelle sono ben lontani dai 316 necessari per eleggere il presidente. E a prescindere da quale sarà il fronte politico al quale vorrà parlare Di Maio quando dovrà tentare di far pesare i suoi voti per eleggere il presidente di Montecitorio, c’è una strada da cui non si può fuggire: per avere con sicurezza il numero uno della Camera non bastano i post su Facebook ma occorre trattare con il nemico. Dunque, per dirla in grillesco, che fare ora: inciuciare con la piovra dei partiti trafficando uno scambio di poltrone con i politici impresentabili oppure andare alla cieca e rischiare così di rimanere a secco e di attivare il piano Franceschini? E’ possibile che il Movimento 5 stelle (oggi al Senato ci saranno molte schede bianche, il presidente dovrebbe essere eletto domani pomeriggio e il giorno successivo comincerà la conta per la Camera) abbia la forza di eleggere il successore di Laura Boldrini spaccando in due il centrodestra e accordandosi direttamente con Matteo Salvini, la cui unica preoccupazione sul lungo termine è di portare avanti il progetto di governo con il Movimento 5 stelle e sul breve termine di non ritrovarsi nella condizione di dover votare alla Camera per un esponente del Pd – Berlusconi, si sa, è disposto a fare un governo con chiunque, anche con Gigino Lo Steward, ma lo schema Gianni Letta è quello a cui punta da tempo: governo di centrodestra senza Salvini alla guida e con sostegno esterno del Pd, è dura ma i numeri ci sarebbero. E’ possibile che succeda tutto questo – così come è possibile che il Movimento 5 stelle decida di trasformare la partita della Camera in un tentativo di fare scouting tra le file del Pd – ma a poche ore dalla prima vera partita a scacchi che Luigi Di Maio dovrà giocare sul complicato terreno istituzionale di Camera e Senato il Movimento 5 stelle si ritrova in una condizione potenzialmente da psicodramma: l’elezione del suo presidente della Camera e la possibilità di far nascere un governo dipende soprattutto dalle volontà di Berlusconi. Se il movimento otterrà la presidenza di Montecitorio, il Cav. potrà dire di averci messo lo zampino. Se il movimento riuscirà ad andare al governo con la Lega, il Cav. potrà dire di essere il garante di quella alleanza. Non è detto che finisca così ma l’idea che la mossa di Berlusconi possa contribuire a rendere evidente l’incompatibilità del grillismo con la grammatica della democrazia rappresentativa non può che farci dire, con un sorriso, evviva il Grillusconi!