Paolo Romani (foto LaPresse)

L'accordo centrodestra-M5s balla e il Pd prova ad approfittarne

David Allegranti

Sui capigruppo si decide la prossima settimana. E su Romani presidente del Senato: “Non lo votiamo ma è una persona seria”

Roma. La candidatura di Paolo Romani a presidente del Senato, compattamente sostenuta dal centrodestra (almeno a parole: i “101 di Prodi” del 2013 ormai fanno scuola per tutto), ha fatto saltare l’accordo con i Cinque stelle. Si ricomincia daccapo e il Pd adegua, di mezz’ora in mezz’ora, obiettivi e strategie. La riunione dei parlamentari di ieri alle 18 è diventata una formalità ed è stata aggiornata alle nove di stamattina, prima dell’inizio della prima seduta della nuova legislatura, fissata per le undici. Anche la discussione sui capigruppo è stata aggiornata; saranno scelti lunedì o martedì prossimi. C’è però già un orientamento: alla Camera Lorenzo Guerini non pare suscitare problemi, al Senato è invece diverso. Andrea Marcucci è considerato troppo renziano. Per questo sono in campo altri nomi: Valeria Fedeli, Gianni Pittella e Roberta Pinotti. Ma prima c’è da risolvere la questione presidenze. Ettore Rosato – capogruppo del Pd uscente alla Camera, cui potrebbe toccare la vicepresidenza di Montecitorio – pronuncia a Porta a Porta due frasi significative. “Noi non voteremo Romani. Non abbiamo nessuna intenzione di votare Romani. Poi se ci viene chiesta una valutazione diciamo che è stato un capogruppo di opposizione che ha avuto un comportamento sempre serio e rispettoso”. Il che si potrebbe tradurre in un’astensione in entrambe le Camere che al Senato diventa però interessante da analizzare. Perché l’elezione del presidente di Palazzo Madama è più semplice di quella di Montecitorio: al terzo scrutinio basta che ci sia la maggioranza assoluta dei presenti e dal quarto in poi c’è il ballottaggio tra i due candidati più votati al terzo scrutinio. Un segnale del Pd al centrodestra? Può essere, ma Romani – se il centrodestra lo vota compattamente – al quarto scrutinio potrebbe passare. Il Pd, che pure insiste nello stare fuori dal governo, sulle presidenze dice che il discorso è diverso. Se venisse offerta una Camera il Pd la accetterebbe? “Assolutamente sì ma se ci viene offerta con una chiara indicazione e in maniera trasparente. Questa era una prassi che si è sempre seguita e noi diremmo di sì con una interlocuzione chiara, ma non succederà. Penso che non ci arriverà nessuna proposta che noi non abbiamo mai sollecitato”, ha detto Rosato. Il che significa, tradotto, che il Pd sarebbe pronto a una trattativa. Ma se il Senato va al centrodestra alla Camera come potrebbe andarci un esponente del Pd, magari a Dario Franceschini? Davvero il M5s, primo partito alle elezioni politiche, può restare senza la presidenza di una delle due Camere? Per questo Rosato dice che alla fine non ci sarà alcuna proposta. Diversamente, se il Pd si astenesse anche alla Camera, per il M5s sarebbe un bel problema riuscire a far passare Roberto Fico come presidente. I Cinque stelle hanno 221 deputati e per avere la maggioranza servono 316 voti. A Montecitorio non c’è il ballottaggio come al Senato. Quindi il partito di Luigi Di Maio avrebbe bisogno dei voti del centrodestra e a disposizione, al massimo, ci potrebbero essere quelli della Lega (e qui di nuovo tornano i 101, su Fico o chicchessia).

 

Ieri sera, intanto, il reggente Maurizio Martina ha partecipato all’incontro con tutti i capigruppo. Prima dell’inizio, partecipando all’assemblea dei parlamentari, ha spiegato di essere aperto a tutti gli scenari: “Noi abbiamo sempre detto che siamo interessati a un confronto aperto dove tutte le forze politiche possano partecipare. In questi giorni sono state seguite altre vie. Il metodo seguito da centrodestra e Cinque stelle ha bloccato la situazione. In questo gioco tattico alcuni soggetti hanno giocato più parti in commedia e credo sia giusto ribadire la posizione che noi abbiamo mantenuto e che manterrei anche nelle prossime ore, cioè quella di partecipare a un confronto che coinvolga tutti, fatto in maniera trasparente e non con soluzioni precostituite”. Tutto è insomma possibile. Anche che il Pd torni in partita, cosa che fino a ieri non era così scontato.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.