Matteo Ricci (foto LaPresse)

Ricci ci spiega perché il Pd può dire sì a una chiamata del Colle

David Allegranti

“Renzi tornerà? E’ stato già un errore spingerlo a restare dopo il referendum. Ora va tutelato”. “Sui capigruppo scelte unitarie”

Roma. Il Pd in quanto tale non è sufficiente. Doveva essere la risposta europea a una serie di problemi – a partire dal 40,8 per cento delle Europee del 2014 – e invece si è scontrato rovinosamente contro lo scoglio populista, dice al Foglio Matteo Ricci, responsabile enti locali al Largo del Nazareno. La soluzione però non è un partito alla Macron, come suggeriva al Foglio ieri Sandro Gozi. “Io penso a un partito fortemente popolare in risposta al populismo, non elitario. Radicato, di massa. E siccome non credo ai partiti personali, penso che dovremmo tenere insieme il modello Macron con il Pse, andando quindi oltre il Pse. Penso a unire, non a dividere. Non è una cosa che si risolve in pochi giorni, intendiamoci; stavolta non c’è il salvatore della patria. Non è come nel 2013, quando avevamo Matteo Renzi, abbiamo giocato quella carta e abbiamo governato bene”.

 

Ma Renzi potrebbe tornare in campo? Magari alle elezioni europee del prossimo anno. “Sa qual è uno degli errori che abbiamo fatto? Non l’ha fatto Renzi per primo, ma noi. Dopo la sconfitta al referendum e le dimissioni dal governo, lui aveva pensato giustamente di prendersi un anno sabbatico. Noi l’abbiamo non dico obbligato ma spinto a restare alla guida del Pd. Col senno di poi abbiamo fatto un grave errore. Ed effettivamente aveva ragione lui. Comunque, attenzione, Renzi ha 43 anni, non 83, e ha dimostrato di innovare il riformismo italiano come nessun altro mai. Rimane un protagonista e dobbiamo tutelarlo, non rimettendolo dentro la mischia della discussione politica, in modo tale che possa tornare a essere una risorsa”.

 

Insomma, sarà una lunga fase di transizione. Per il centrosinistra italiano e non solo. “Mi pare che sia evidente la crisi di tutti i partiti riformisti europei, soprattutto quelli socialdemocratici, che stanno nel Pse. Ma anche del Pd, che pur aderendo al Pse, era il tentativo di andare oltre. L’avvento delle forze anti-sistema, populiste, dall’arrivo di Trump in poi rimette in discussione l’identità e il perimetro del riformismo nelle aree occidentali. E’ una fase tutta nuova, in cui il tema sarà costruire sempre di più un fronte riformista europeo. E paradossalmente, dopo la batosta che abbiamo preso, l’Italia può diventare uno dei paesi nei quali da questo dibattito può nascere una soluzione. Anche perché questo può essere il primo paese europeo in cui si sperimenta il governo Trump”. Il tema che sarà affrontato al congresso riguarderà insomma la costruzione “del nuovo riformismo nell’era del sovranismo e del nuovo centrosinistra popolare nell’epoca dei populismi. Non sapremo quando faremo il congresso, dipenderà dall’andamento della legislatura”. Intanto però il Pd deve stare “fermo e unito e aiutare Maurizio Marina a tenere insieme il partito e la comunità che è stata disorientata dopo la batosta. Per questo dobbiamo arrivare a scelte unitarie sui capigruppo, non possiamo dividerci in questi passaggi delicati”.

 

Il Pd non ha più i numeri, aggiunge Ricci, “dobbiamo entrare in modalità minoranza. Alcuni dei nostri esponenti ragionano come se avessimo ancora la golden share, invece dobbiamo stare fermi perché l’iniziativa spetta ad altri. E qualsiasi nostra iniziativa rischia esclusivamente di mandare in fibrillazione il Pd. Noi non possiamo né sostenere il governo degli estremisti guidato da Salvini, né appoggiare un governo dei Cinque stelle, che sono totalmente alternativi al Pd dal punto di vista culturale e programmatico. L’unica opzione possibile è una eventuale chiamata alla responsabilità da parte del Presidente della Repubblica, dopo il fallimento del tentativo di governo Di Maio e del tentativo di governo Salvini. Ma anche in quel caso arriviamo terzi. Per questo stiamo facendo un dibattito sul nulla. Noi possiamo solo aspettare le mosse degli altri ed essere pronti a inserirci nelle loro contraddizioni”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.