Che ne sarà dell'Italia nel mondo
Siamo stati europeisti ed euromonetari, atlantici pro Nato, sostanzialmente pro Israele. Ora con un governo Di Maio-Salvini e un nuovo assetto mondiale si entra in un’epoca di incertezze. Possibili contromisure (sperando che bastino)
Un governo Salvini-Di Maio che cosa fa dell’Italia nel mondo? Fino a tutto il governo Gentiloni, passando per gli esecutivi di Berlusconi, Dini, Prodi, D’Alema, Amato, Monti, Letta Jr., Renzi, per non parlare dei governi della Repubblica dei partiti, noi siamo stati europeisti ed euromonetari, atlantici pro Nato, attori prudenti e spesso ipocriti nell’ambito mediterraneo, ma sostanzialmente pro Israele, e la Farnesina è stata una scuola di simulazione e dissimulazione diplomatica legata alla cultura dell’establishment, della borghesia economica e finanziaria, che rifletteva questo stato di cose. I ministeri hanno avuto accenti diversi, la variabile domestica della politica estera ha influenzato le politiche e le leadership in direzioni diverse, ma in un solco riconoscibile. Siamo stati più o meno multilateralisti e onusiani, più o meno filoamericani, più o meno franco-tedeschi, ma alla fine quello siamo stati. Berlusconi era di un putinismo filo-Nato, come si vide a Pratica di Mare, controbilanciato, a parte gli aspetti di teatro personale, da un americanismo più che solido, istintuale. Tutti hanno avuto un loro accento, ma la lingua era comune.
Ora non è più così, si entra in un’epoca di incertezza, tutta da definire. I signori del prossimo governo hanno più volte scherzato col fuoco. Salvini con i selfie sulla Piazza Rossa, implicazioni e complicazioni legate alla ricerca del sostegno putiniano, giudizi da bettola su Kim Jong-un, capo di una Svizzera asiatica, secondo lui, e sull’euro come crimine contro l’umanità, secondo lui. La sua politica di sostanziale chiusura delle frontiere lo apparenta più all’Europa di Visegrad che a quella di Parigi e Berlino, un forte slittamento dall’ortodossia, anche critica, dei governi precedenti. Di Maio lo stesso, in particolare sull’euro, sebbene si sappia poco, a parte la mezza retromarcia governativa sotto elezioni, di idee, se ci siano e quali siano, in capo al movimento grillozzo. La sensibilità demagogica delle due formazioni, più spiccata in Salvini ma presente nel suo futuro alleato di governo, è euroscettica, tipo Brexit, e colorata di un trumpismo all’italiana, meno tasse e protezionismo. Bene. Anzi male. Con il duopolio grillino e leghista sulla guida del governo nascerebbe una politica estera, una posizione dell’Italia nel mondo, da alieni. Ma tutto questo varrebbe se il mondo fosse rimasto fermo alle vecchie categorie. E non è così, come tutti sanno. Il che peggiora le cose, se possibile.
Infatti oggi ci si può dire atlantici, ma con Trump l’atlantismo è diventato materia incandescente per negoziati commerciali, e la Nato è stata destabilizzata, pur senza romperla, mentre la polarità Usa-Russia è diventata una commedia leggera i cui autori più efficaci scrivono nella lingua di Gogol’. Ci si può dire europeisti, costa niente, ma con la Brexit e l’attivismo del gruppo di Visegrad, con cento deputati di AfD al Bundestag, con la crisi ispano-catalana, con l’iniziativa di chiusura dei paesi del nord nel segno dell’austerità liberale à la Maastricht di un olandese come Mark Rutte, con l’asse Macron-Merkel che tarda a manifestarsi e parte fra mille difficoltà, il campo è frastagliato, confuso, variabile e inafferrabile, alla fine. Che farebbe, che farà, un governo del duopolio con la guerra delle spie, con la crisi dell’Ucraina, con le sanzioni, con il patto prenucleare contratto con l’Iran, con la Siria e il medio oriente, con l’eventuale proposta di riforma dell’unione avanzata da Parigi e Berlino?
Gli esperti rilevano che sempre gli euroscettici, e facciamo grazia al duopolio del nuovo governo di potersi definire soltanto così, hanno cercato le sponde americana e russa per indebolire il traino franco-tedesco dell’Unione europea. Ma sono sempre stati, in Italia, una minoranza più o meno rumorosa, non una forza di governo spinta da una specie di plebiscito della demagogia, carica di aspettative isolazioniste evocate e cercate dai suoi candidati. Comunque, ed è il fatto da registrare, per un governo che sia più amico dei grandi e degli uomini forti che di Macron e della Merkel sono aperti spazi finora inimmaginabili. C’è però il fatto dei fatti. L’Italia è felicemente o infelicemente ingabbiata in un sistema di regole sovranazionali e intergovernative in cui francesi e tedeschi sono sovrintendenti politici incontestabili, bisognerà per chiunque governi, e sappiamo chi sarà, padroneggiarle e saperle portare, quelle regole, alle ragioni di un negoziato o al punto di rottura, in un regime di compatibilità e incompatibilità strettamente sorvegliato da mercati e Banca centrale, con le insidie di nazionalismo e populismo da tribuna. Basteranno un Mattarella, una probabile guida terza e garante del governo, un Berlusconi che si candida a volto moderato ed europeista dell’esecutivo, e un’opposizione che stenta a rinascere a partire da una sconfitta durissima, basteranno a dare un po’ d’equilibrio alla partenza seriamente squilibrata del governo dei vincitori?