Nella testa del Pd
Tra Di Maio e Macron, il partito che fu di Renzi sottovaluta le mosse europee del M5s. E rischia
Roma. A novembre erano seduti l’uno di fronte all’altro in un salone dell’Eliseo. Matteo Renzi, gesticolante su una poltroncina, ed Emmanuel Macron, composto in un sorrisetto a filo d’erba e gambe accavallate sul divanetto a ramage assortiti. Due leader di due partiti di maggioranza, l’italiano e il francese, il Pd ed En Marche, a un passo dal diventare contraenti di un patto europeo alla pari: Renzi è il Macron italiano o Macron è il Renzi francese? Due mesi prima, il vincitore delle elezioni parigine, aveva disegnato nell’aria il profilo di una nuova grande forza politica continentale, la via del pensionamento per i vecchi partiti socialisti, liberali e democristiani. E anche Renzi, che preparava una grande coalizione con il centrodestra italiano per la fase successiva alle elezioni che si sarebbero tenute il 4 marzo, si esercitava nella vaghezza ambiziosa d’una nuova egemonia politica e culturale europea, fuori dagli steccati ideologici polverosi della Prima e della Seconda Repubblica. Chi avrebbe mai potuto immaginare che quattro mesi dopo sarebbero stati i ragazzi di Luigi Di Maio a bussare alla porta dei francesi di En Marche, proponendosi loro come alleati da 32 per cento alle elezioni italiane, e che Renzi – così viene raccontato – si sarebbe disamorato del progetto, scoprendosi non più locomotiva ma vagone.
Martedì scorso, Sandro Gozi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega agli Affari esteri, esponente del Pd collegato a Renzi, era riservatamente a Parigi a parlare con Christophe Castaner, il segretario di En Marche, il partito del presidente francese Macron. Le trattative tra Pd ed En Marche, sull’ipotesi di un nuovo grande partito europeo da lanciare per le elezioni di fine maggio 2019, vanno avanti, ma con l’andatura di uno zoppo che corre. E infatti contemporaneamente, mentre Gozi discuteva per conto del centrosinistra italiano a Parigi, il Foglio pubblicava le voci di diversi esponenti del M5s, tra Roma e Bruxelles, che raccontavano un interesse di Luigi Di Maio ad accreditarsi come forza “europeista, credibile e responsabile” presso gli stessi ambienti di En Marche con i quali stava parlando il Pd. Infine, mercoledì scorso, mentre sul Foglio si esprimeva apertamente il capogruppo del M5s a Bruxelles, Ignazio Corrao – “lasceremo il gruppo degli euroscettici al Parlamento europeo. Non ci iscriveremo a nessuno dei vecchi gruppi esistenti” – sul Corriere della Sera un ex collaboratore del presidente Macron, e suo amico personale, Shahin Vallée, non escludeva la possibilità, seppur a determinate condizioni, che il Movimento cinque stelle potesse far parte dell’iniziativa macroniana per “un’ampia alleanza pro europea aperta a tutti, in modo da sfidare sia l’ondata dei partiti nazionalisti che l’inerzia di quelli tradizionali”. Dice adesso Sandro Gozi: “Se il Pd si sveglia, se fa qualche passo in più, l’alleanza con Macron si può fare. E da questa alleanza passa un’ipotesi di rilancio del Partito democratico anche in chiave interna, cioè di politica nazionale”. Tuttavia, aggiunge Gozi, “è evidente che se i mesi passano e nulla accade, se il Pd non esce dal dibattito ombelicale del dopo sconfitta, allora En Marche le alleanze le farà altrove”. Anche con Luigi Di Maio. D’altra parte lo aveva detto persino l’unico titolato a parlare di alleanze europee per En Marche, ovvero Castaner, che l’11 dicembre, in un’intervista a Repubblica, aveva spiegato che “vogliamo far saltare i vecchi schemi. Con Renzi possiamo avere convergenze più facili, ma dialoghiamo con tutti… anche con Grillo”.
La vittoria elettorale del Movimento cinque stelle e la normalizzazione – vera o verosimile – imposta da Luigi Di Maio, incredibilmente adesso trasformano l’M5s in un potenziale concorrente del Pd. Non solo un cannibale elettorale, capace cioè di attrarre ambienti che tradizionalmente in Italia votavano a sinistra, ma persino un sostituto nel posizionamento europeo del vecchio centrosinistra. “Se succede, ma non succede perché loro non sono affatto europeisti, ci taglierebbero la strada”, ammette Gennaro Migliore, deputato del Pd ed ex sottosegretario di Matteo Renzi. Ed è un’ipotesi che preoccupa una parte del partito, specie quella parte del Pd che, anche in Europa, ha visto i Cinque stelle farsi di volta in volta concavi e convessi sui grandi temi dell’Unione. Capaci di cambiare acrobaticamente idea, posizione, forma, colore, a seconda dell’opportunità e dell’interesse del momento. “Tra i nostri, nel Pd, c’è gente che non ha capito come sono fatti i grillini nemmeno dopo averci passato cinque anni in Parlamento”, dice Pina Picierno, eurodeputata. “Dunque non può stupire che la natura profonda del grillismo possa essere equivocata dai francesi. Ma io voglio dire una cosa: al Parlamento europeo il M5s ha votato con la Lega per il cinquanta per cento delle volte. Altro che Macron”.
Ma c’è pure tutto un altro pezzo del Pd, tra cui anche molti uomini vicinissimi all’ex segretario Renzi, che sembra non accorgersi nemmeno del problema e del pericolo che invece un eurodeputato del M5s sintetizza con queste esatte parole: “Il centrosinistra siamo noi. Anzi, noi siamo persino più larghi del centrosinistra. Nel nuovo schema di gioco il Pd non ha senso. Ma non lo vedete? Non serve a niente. E questo lo capiscono anche i partner europei”. Un’interpretazione, questa, che dà ovviamente anche la Lega. Dice infatti Lorenzo Fontana, il vice segretario di Matteo Salvini: “Loro con Macron, noi con Le Pen. Noi di qua, loro di là. E’ il nuovo bipolarismo che sempre più prenderà forma in Italia”. Uno schema, una sofistica di rapporti, tra Lega e M5s, che per adesso si acconcia – forse – a vederli insieme al governo. Ma “per un incidente della storia”, “per un tempo limitato”, in una specie di grande coalizione destinata a subire qualche contraccolpo già a maggio del 2019, quando si voteranno le europee, se davvero, come vuole Di Maio – ammesso che riesca a farsi accettare – il M5s sarà alleato degli europeisti riformatori di En Marche contro gli eurofobici della destra lepenista di Salvini. “Se il Pd vuole morire deve rimanere esattamente dov’è. Fermo. Basta lasciare che l’M5s si avvicini a Macron. E basta lasciar realizzare lo scenario della Lega e del M5s che diventano avversari”, conclude Gozi. Intanto, però, dicono che Renzi il problema in realtà non lo veda, e che lo scenario macroniano non lo attiri più come prima delle elezioni. Era la locomotiva, e gli piaceva. Stare al traino invece è un’altra storia.