Lessico e nuvole, la rivoluzione a parole
Figli della neolingua del Vaffa, quel che era “inciucio” ora è politica
E’ così tanto tempo, è già più di un mese, che sentiamo dire Terza Repubblica che quasi ci siamo convinti che sia vero, e tutto sia cambiato. Ma per adesso, mentre su al Colle saltellano i minuetti ingessati di sempre, l’unica cosa a essere cambiata è il linguaggio. Il loro, quello degli homines novi. Il vocabolario loro. Quelli che la Rivoluzione la fecero davvero, a parte la banalità di far rotolare un po’ di teste nella cesta, la prima cosa che fecero fu cambiare il calendario. Sbocciava l’aprile, e lo chiamarono Germile. Luciano Canfora, proboviro della rivoluzione antica, l’ha inchiodato lì, Di Maio: “Questo signore usa vocabolari un po’ schematici, rivoluzione vuol dire ben altro, queste parole vanno usate con molto garbo”.
Figli di un vaffanculo, hanno plasmato il popolo con la loro neolingua. Apriscatole, Psiconano, parlamentarie, Rigor Montis, blog e meetup. Sembrava facile, nuovo. E’ bastato che passasse questo Ventoso del 2018: i fatti e i riti sono rimasti gli stessi, solo le parole sono mutate. Quel che era “inciucio” è diventato il possibile accordo, quello che era il “poltronificio” è diventata la normale divisione delle cariche tra i vincitori. Quello che era “lo streaming” è diventato “colloqui”. Il “governo di cambiamento” fu quell’antica formula per la quale umiliarono Bersani, lo “stalker politico”, in streaming. Ora il “governo del cambiamento” è la cosa che vogliono fare loro. Quel che era il “pdmenoelle” del comico neologista è diventato “spero di incontrare Lega e Pd”. Quello che era “reddito di cittadinanza” è diventato un rafforzamento delle misure anti povertà. Quelli che erano i voltagabbana ora sono colleghi da ascoltare, e potrebbero essere i nuovi “responsabili”.
Quello che era il premier “nominato”, non eletto dal popolo – a parte il vacuo “sento tanti nomi tranne il mio eppure ho preso 11 milioni di voti”, come se davvero li avesse presi tutti lui – ora è un’ipotesi da tenere sul tavolo, o nella tasca della giacchetta. Il premier che verrà nominato non è più un tabù. La neolingua ha questo di pauroso e incantatore: che le nuove parole cancellano le vecchie, non sono mai esistite, mai pronunciate. Fino alla formulazione più acrobatica di tutte, Di Maio che vende al suo popolo “un contratto in cui scriviamo nero su bianco, punto per punto, quello che vogliamo fare”. Manca solo che lo firmi da Vespa, ma tranquilli, ai neolinguisti non scappa una sillaba: “Niente a che vedere con certi contratti firmati davanti agli italiani in passato”, ha detto, un secondo dopo aver capito di averla sparata grossa. Spararla grossa, una parola antica.