Luigi Di Maio e Matteo Salvini (foto LaPresse)

La formula magica di Salvini e Di Maio

Claudio Cerasa

Dalle consultazioni è emersa una maggioranza forte e al Quirinale serve un’idea per tenere uniti Salvini e Di Maio e non separare Lega e FI. Perché Mattarella ha tutte le carte per dare un incarico e scoprire l’arma segreta del Cav.: l’astensione

Il primo giro di consultazioni è stato descritto da molti osservatori come un inutile passaggio a vuoto che non avrebbe avuto altro effetto se non quello di confermare che al momento nessun governo sembra essere possibile. A voler guardare con più attenzione le posizioni passate in rassegna in questi giorni dal presidente della Repubblica in realtà la situazione è molto diversa e solo un analista distratto può sostenere oggi che le consultazioni non hanno prodotto nulla e che sia necessario prendere ancora molto tempo per capire se ci esista un governo possibile. Prendere tempo quando le cose non sono chiare può avere un senso. Prendere tempo quando le cose sono chiare significa perdere tempo. Proviamo dunque a mettere in fila quello che sappiamo per capire perché in teoria già alla fine della prossima settimana il presidente della Repubblica potrebbe scegliere di infilare tra le dita di Matteo Salvini e Luigi Di Maio le fedi del primo matrimonio populista italiano. La situazione è ancora confusa ma le cose in fondo sono chiare. Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno una naturale intesa politica che prescinde anche dalla simmetria dei propri programmi su sicurezza, immigrazione, Europa, pensioni, lavoro, fisco e reddito di cittadinanza. Un’intesa che è di carattere generazionale grazie alla quale nel giro di pochi giorni i due gemelli diversi del populismo sono riusciti a dividersi senza troppe sofferenze le presidenze, le vicepresidenze, i questori e le commissioni speciali di Camera e Senato.

 

Di Maio, a differenza di Salvini, avrebbe anche un’altra opzione per tentare di far nascere un governo ma quell’opzione – che Salvini ha scelto di escludere e che il suo principale alleato, FI, ha scelto invece di non escludere – è un’opzione che pur non essendo sgradita al presidente della Repubblica è sgradita ai pezzi da novanta del partito in questione: il Pd. Il Pd non vuole governare con Di Maio. Salvini non vuole governare con il Pd. Di Maio vuole governare con Salvini. Salvini vuole governare con Di Maio. E né Di Maio né Salvini possono permettersi di avere uno tra Di Maio e Salvini all’opposizione dell’altro. Il disegno della XVIII legislatura è tutto tranne che oscuro. E se vogliamo il punto da chiarire – a partire da chi sarà il prossimo presidente del Consiglio – oggi è solo uno: cosa può inventarsi Salvini per portare il centrodestra al governo in presenza di un veto del M5s su Forza Italia che a oggi sembra essere definitivo? Negli ultimi mesi abbiamo visto che il realismo di Luigi Di Maio – realismo dettato dal fatto che un’occasione come questa a Di Maio probabilmente non capiterà mai più nella vita – ha portato i 5 stelle a dire cose che un tempo sarebbero state impensabili (giovedì Di Maio ha detto che governerebbe volentieri con i voti di un partito che fino a quattro settimane fa aveva le mani sporche di sangue e veniva rappresentato come una piovra) e in nome della Realpolitik oggi probabilmente nessuno si stupirebbe se per arrivare al governo Di Maio offrisse un incarico di governo persino a Tiziano Renzi.

 

Dunque, anche con Forza Italia, tutto può succedere. Ma quello che è certo è che oggi il piano di Luigi Di Maio di spaccare traumaticamente in due il centrodestra per governare da solo con la Lega (i numeri ci sarebbero) è un piano impossibile perché il partito di Salvini, come ha ricordato ieri il numero due della Lega Giancarlo Giorgetti, “ha un patto di sangue con Forza Italia”. In nome di questo patto, la prossima settimana il centrodestra si presenterà al secondo giro di consultazioni con un’unica delegazione al posto di tre. E proprio in nome di questo patto nelle prossime ore potrebbe prendere forma un’opzione che oggi il centrodestra (e anche il Quirinale) considera possibile per non dividere Salvini né da Di Maio né da Berlusconi: sfruttare la riforma del regolamento del Senato approvata lo scorso 20 dicembre a Palazzo Madama per permettere a Forza Italia di stare con un piede nella maggioranza e con un piede nell’opposizione. Un distacco concordato, ma non traumatico. In pochi lo sanno ma l’ultimo regolamento del Senato ha trasformato il voto di astensione in un voto non più equivalente al voto contrario. E nelle discussioni riservate tra i vertici di Lega e Forza Italia – come ha confermato ieri al Foglio una importante fonte di FI – l’idea di offrire al Movimento 5 stelle una presenza dissimulata del partito del Cav. nella prossima maggioranza di governo (con la garanzia di alcuni tecnici d’area non ostili a Forza Italia) sarà la carta finale che Salvini proverà a giocare entro la fine della settimana al M5s.

 

Una formula politicamente simile a quella messa in campo dal centrodestra nel 2011 ai tempi del governo Monti – anche in quel caso il centrodestra si divise (Forza Italia votò a favore, la Lega no) ma nessuna delle giunte regionali dove il centrodestra governava subì ripercussioni dalla divisione concordata. Una formula che permetterebbe alla Lega di andare al governo senza rompere del tutto il patto di sangue con Forza Italia, che permetterebbe al Movimento 5 stelle di avere una scusa per accettare il sacrificio inevitabile di rinunciare alla premiership, che permetterebbe a Mattarella di incaricare un garante terzo per la formazione del governo e che permetterebbe a Forza Italia di non essere schiacciata nel “governo dei pauperisti”. La formula è ovviamente variabile ma il disegno è chiaro. E per capire che l’unico governo naturale, oggi, è quello tra Salvini e Di Maio (e in qualche modo il Cav.) non serve ascoltare cosa si dirà in regione. Servirebbe semplicemente ascoltare cosa dice la ragione. E quando le cose sono chiare prendere troppo tempo non è detto che sia così necessario. Una maggioranza c’è. Mattarella saprà come trasformarla in un governo.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.