Il Cav. si prende la scena al Quirinale, ma la regia è di Salvini e Di Maio
Forza Italia fa la voce grossa, ma è disposta a cedere su tutto per avere un piede in maggioranza. La carta del sostegno esterno a Lega-M5s. “Al limite della dignità”
Roma. “Che cos’è il genio?”, si chiedeva il Perozzi del film Amici miei. “Il genio è fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione”. E allora poiché Silvio Berlusconi non era rimasto troppo persuaso della decisione presa qualche ora prima a Palazzo Grazioli, cioè che a parlare per tutti, alla vetrata del Quirinale, fosse Matteo Salvini, “il nostro leader”, e poiché, vecchia volpe, il Cavaliere non ha nessuna intenzione di passare per comprimario di “un ragazzo simpatico ma pur sempre di un ragazzo”, non solo ha introdotto lui Salvini ai microfoni, come avrebbe fatto con Alfano ai bei tempi di “Angelino le fotocopie”, non solo gli si è piazzato accanto, sorridendo e ammiccando ai fotografi, recitando il labiale di ogni parola impressa nel foglio che Salvini leggeva, ma dopo aver paternalmente spinto via il leader della Lega e Giorgia Meloni, il vecchio impresario di Canale Cinque ha pure riafferrato i microfoni con entrambe le mani, e con una zampata si è rivolto ai giornalisti: “Mi raccomando, fate i bravi. Sappiate distinguere chi è un democratico e chi non conosce neppure l’abc della democrazia. Sarebbe ora di dirlo chiaramente a tutti gli italiani”. Così, alla fine, è stato lui l’unico a parlare a braccio alla vetrata. Presentatore, mimo e buttafuori, in una manciata di minuti Silvio Berlusconi ha spolverato la sedia di Matteo Salvini, con tutto Salvini sopra.
Ma questo è il colpo di teatro di un vecchio mattatore che sa tenere la scena calda con quattro stecchi, una trombetta e qualche nuvola di fumo colorato. Perché il Cavaliere non è seduto sugli allori ma sulle puntine da disegno, vuole assolutamente andare al governo, ed è disposto a molto (forse a tutto) per evitare le elezioni.
Così, all’ombra dell’accordo tra Lega e M5s, tra Salvini e Luigi Di Maio, mentre i grillini lo insultano e lo rifiutano, mentre chiedono a Salvini di formare un esecutivo con loro respingendo il Caimano, lui, Berlusconi, sta in realtà cercando di misurare soltanto quello che un suo colonnello definisce “il punto limite della dignità di Forza Italia”. D’altra parte Salvini e Di Maio si muovono insieme, e la Lega prende ormai decisioni senza nemmeno informare l’alleato, com’è successo ieri, quando Forza Italia ha appreso soltanto a cose fatte che la commissione speciale della Camera avrebbe eletto presidente il leghista Nicola Molteni.
Due sono le ipotesi che porterebbero, in qualche modo, Berlusconi nella maggioranza. La prima, la più dignitosa, è un ingresso nel governo di ministri e sottosegretari “d’area berlusconiana”. Nessun dirigente di Forza Italia, nessun ex ministro, nessun volto storico, niente Brunetta, ma dei berlusconiani defamiliarizzati, uomini i cui nomi ronzano sempre nella mente del Cavaliere, come il generale Leonardo Gallitelli e Guido Bertolaso. Seconda ipotesi, che però Berlusconi per ora ha scartato, considerandola non solo rischiosa ma, appunto, “oltre il limite della dignità”: nessun ministro, niente sottosegretari, nemmeno l’ingresso formale in maggioranza, ma l’appoggio esterno di Forza Italia al nuovo governo. L’idea, di cui si è parlato a lungo anche con Giovanni Toti, è che Berlusconi presti dieci o venti parlamentari alla Lega per rendere la maggioranza più solida, e poi vada in una specie di limbo con il resto di Forza Italia, trasformandosi in un alleato remoto e ambiguo del governo a cinque stelle, una sponda ingombrante eppure assente.
Malgrado in questi ultimi giorni il Cavaliere abbia fatto ragionamenti che si potrebbero riassumere nel principio che il potere anche in quantità omeopatiche è la più efficace delle medicine, e che stare in Parlamento con il 14 per cento è sempre meglio di tornare a votare, malgrado ciò Berlusconi per adesso ha respinto lo scenario più umiliante. Per adesso. “Proviamo a insistere con Di Maio, e vediamo che succede”, gli ha risposto, ieri, all’incirca, Salvini. Ma Di Maio non sembra muoversi di un millimetro dal suo rifiuto del Cavaliere. Mentre dalla parti di Matteo Renzi si fa dello spin per accelerare l’abbraccio tra M5s e Lega. Diceva mercoledì l’ex segretario del Pd: “Se decido, andiamo noi al governo con i Cinque stelle”.