Maurizio Martina, Andrea Marcucci, Graziano Delrio e Matteo Orfini al Quirinale (foto LaPresse)

La pazzia di un Pd al governo

Claudio Cerasa

Fuggire dalle tentazioni. L’intesa del Pd con il M5s è una truffa persino peggiore del programma taroccato. L’Italia ha il diritto di non avere accanto a un governo populista un’opposizione sfascista. Ragioni per non cadere nella trappola grillina

La tentazione c’è ed è inutile girarci intorno. A dispetto della giusta posizione tenuta fino a oggi – chi vince governa, chi non vince fa opposizione – il Partito democratico è a sorpresa di nuovo in campo nella partita post elettorale. E nel caso in cui non dovesse andare in porto il tentativo di Sergio Mattarella di avvicinare i vincitori del 4 marzo all’interno di una maggioranza di governo non c’è piano B del Quirinale in cui il ruolo del Pd non sia decisivo. Allo stato attuale l’opzione del governo Di Maio-Salvini, con Forza Italia in qualche modo dissimulata ma presente, nonostante i capricci dei protagonisti resta l’opzione più probabile. Ma se davvero i gemelli diversi del populismo italiano non dovessero trovare la combinazione giusta per portare i propri partiti a Palazzo Chigi la novità politica di queste ore è che per il Pd la strada per tornare in campo non coincide più solo con il governo di tutti ma potrebbe coincidere anche con il governo dei pochi. In altre parole: se la Lega e il M5s non fossero in grado di mettersi d’accordo tra loro, e di incrociare le proprie ruspe, il Pd è pronto a ragionare su come mettersi d’accordo con uno dei due piani B.

 

Il primo piano – che coincide con il lodo Gianni Letta e forse anche con il lodo Giancarlo Giorgetti – prevede la nascita di un governo di centrodestra sostenuto esternamente dal Pd (è dura). Il secondo piano – che coincide con il lodo Fico e se volete con il lodo Pif – prevede invece la nascita di un governo formato non dal M5s e dal centrodestra ma dal M5s e dal Pd. L’ex segretario Matteo Renzi ha sempre affermato di voler tenere lontano il gruppo parlamentare del Partito democratico dalle forche caudine del grillismo. Ma più passa il tempo e più il Quirinale sembra sospettare che nel Pd la possibilità di avvicinare i democratici ai grillini non sia più impossibile ma sia legata a un unico vero fattore: fino a quando sarà Di Maio a guidare il processo, un avvicinamento sarà impossibile, ma qualora Di Maio dovesse scegliere di passare la mano – è questa la frase usata in privato dai vertici del Pd – “tutto si riaprirebbe, tutto cambierebbe”.

 

Fino a qualche giorno fa nessuno nel Pd avrebbe scommesso su questo scenario ma le profonde ed evidenti divisioni presenti nel movimento (alimentate anche dallo scoop del Foglio sul programma grillino riprogrammato dopo le elezioni) hanno però contribuito a mescolare le carte e hanno proiettato il Pd verso un nuovo scenario all’interno del quale l’obiettivo principale dei dem non è più oggi fare solo opposizione, ma è sfruttare le difficoltà di Di Maio per provare, come si sarebbe detto una volta, a rottamare il capo politico dei grillini. Le parole usate ieri dal segretario reggente del Pd Maurizio Martina (siamo disposti a trattare con gli altri partiti se faranno proprie le nostre idee su Reddito di inclusione, salario minimo legale, assegno universale per le famiglie) lasciano intendere esplicitamente che nel Pd stia maturando una svolta a cinque stelle. Il punto dunque non è più chiedersi se possa accadere ma è chiedersi se sia giusto avallare questa ipotesi. E la risposta non può che essere sempre la stessa: è o no nell’interesse del paese che l’opposizione a un governo a trazione populista sia guidata da una coalizione a trazione populista? La risposta è semplice ed è un “no” grande come una casa.

 

L’Italia ha bisogno di un governo che esprima la volontà popolare (e che non sia nocivo per l’interesse nazionale) ma allo stesso tempo ha bisogno di un’opposizione che sappia costruire un’alternativa fieramente europeista al progetto fieramente sfascista dei due gemelli diversi del populismo. Come ha scritto con saggezza qualche giorno fa il professor Sergio Fabbrini sul Sole 24 Ore, la politica italiana acquisirà un formato bipolare solamente quando si aggregherà un polo alternativo e competitivo di orientamento europeista. Il posto del Pd è all’opposizione. I vincitori del 4 marzo hanno il dovere di governare. Ma l’Italia ha il diritto a non avere accanto a un governo populista anche un’opposizione sfascista. O governano i campioni oppure mille volte meglio riandare alle elezioni. Il governo del Pd con il Movimento 5 stelle è una truffa persino peggiore del programma taroccato.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.