Così Di Maio, Salvini & Co. hanno resuscitato il vocabolario della Prima Repubblica
“Mandato esplorativo”, “due forni”, “convergenze parallele”, i riti e le parole che accompagnano la formazione del governo sono uguali a quelli del passato
“Il mandato esplorativo me lo suoni / vino, amore e maccheroni”, cantava nel 1977 Piergiorgio Maffi nel 45 giri “Il Potere Dromedario”: mitica canzone cult che passò anche il suo titolo a un famoso documentario sul movimento settantasettino.
“Il frontismo dilagante / piazza forma di articolazion / vino, amore e maccheron”, proseguiva il testo, con il cantautore che inanellava, a tempo di liscio, una sfilza di locuzioni del politichese in stile commedia di Ionesco. “Il Potere Dromedario ha i ticchettoni / vino, amore e maccheroni / risalire a monte delle situazioni / vino, amore e maccheroni / questo vi canto per allegria / e la riforma della Polizia”. Il disco, allora onnipresente alla radio, è oggi un oggetto da collezionisti.
In compenso è tornato di moda il “mandato esplorativo”, con l’incarico affidato dal Capo dello Stato Sergio Mattarella al presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Gli storici della politica hanno ricordato come il primo “esploratore” fu Cesare Merzagora che, durante la crisi apertasi dopo le dimissioni di Antonio Segni il 6 maggio 1957, ricevette dal presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, “il compito di accertare quali concrete possibilità esistessero di costituire un governo in grado, per la composizione e il programma, di riscuotere la fiducia delle Camere e del Paese”. Alla fine, nacque il governo di Adone Zoli.
Il “mandato esplorativo”, termine che richiama subito riti e parole di un tempo passato, non è peraltro l'unico termine del lessico della Prima Repubblica ad essere tornato di moda in queste settimane. Alcuni giorni fa Luigi Di Maio, rivolgendosi a Matteo Salvini, ha lanciato un ultimatum: “Aspetto qualche giorno, poi uno dei due forni si chiude”. Qui la memoria va a Giulio Andreotti, che quell’idea della Dc come una massaia nelle condizioni di poter scegliere il prezzo migliore tra i due “fornai” del Pci e del Psi, l’aveva usata nel 1987. Ma in realtà la metafora era più antica, e se l’acquirente era sempre stato il partito dello scudocrociato, tra anni ’50 e ’60 le due botteghe in concorrenza erano state invece quella del socialista Pietro Nenni e quella del liberale Giovanni Malagodi.
“Non arriverò a trattare con Berlusconi, ci sono dei limiti”, ha pure detto Di Maio. Qui il nome non è stato fatto, ma il concetto è esattamente quello della “Conventio ad Excludendum” teorizzata da Leopoldo Elia nella voce sulle forme di governo da lui compilata per l’Enciclopedia del Diritto nel 1970. Quell’accordo tra gli altri partiti ad escludere il Pci e il Msi dalla maggioranza, che Alberto Ronchey in un famoso editoriale del 1979 sul Corriere della Sera, riferendolo al solo Partito comunista, ribattezzò “Fattore K”. Bisognerebbe adesso ribattezzarlo Fattore B (da Berlusconi), o Fattore C (da Cav)?
In apparente contraddizione con questo Fattore B, Di Maio ha però riconosciuto che “ci sono convergenze su temi importanti a destra e a sinistra". E così ha resuscitato anche quelle “convergenze parallele” ormai inseparabili dal ricordo di Aldo Moro, pur se in realtà a lanciare lo slogan era stato nel 1960 Eugenio Scalfari, sull’Espresso. Anche lui voleva vedere democristiani e sinistra operare separatamente pur guidando di fatto il paese uniti. Generazioni di cultori della geometria hanno ricordato come l’espressione sia una contraddizione in termini, dal momento che le parallele sono tali proprio perché non convergono mai. Ma anche l’idea di mettere assieme la flat tax leghista e il reddito di cittadinanza dei grillini è uno schiaffo alla matematica: eppure seduce!
Comunque alla fine, stando alla discussione di questi giorni, l'impressione è che, in un modo o nell'altro un governo si farà. Per Carlo Calenda, tutti dovrebbero entrare a far parte della maggioranza, in modo da riuscire a fissare, insieme, le nuove regole. Era quello che nella Prima Repubblica si sarebbe chiamato “governissimo”, ma anche “governo di traghettamento”, o “governo di larghe intese”. In realtà gli unici esempi veri furono i governi “ciellennisti”, proprio all’alba della Prima Repubblica. Quello che si fece poi nel 1976 in cui tutto l’arco costituzionale appoggiava un “monocolore” Dc a colpi di astensione era il governo della “non sfiducia”. La paura è che invece di un “governissimo” ci ritroveremo un “governicchio”. Ma sempre dalla Prima Repubblica veniva la trovata di fare decantare la situazione durante l’estate attraverso un governo “balneare”. Come avrebbe concluso Piergiorgio Maffi, “questo vi canto per allegria / dite la vostra che ho detto la mia!”.
Equilibri istituzionali