Fausto Raciti. Foto LaPresse

Chi dice no al M5s

David Allegranti

Raciti ci spiega perché il Pd non può solo assecondare il presidente della Repubblica

Roma. I governi, dice al Foglio Fausto Raciti, deputato e segretario regionale del Pd siciliano, “non si fanno purchessia, a prescindere”. Nel suo partito invece c’è chi è pronto a esecutivi di responsabilità. “Chiedeteci scelte per convinzione, non per responsabilità. La responsabilità (cioè l’onere di evitare nuove elezioni) tocca a chi è maggioranza relativa. Noi non abbiamo ansie”. Anche perché anzitutto “i 5 stelle non sono una normale forza politica costituzionalizzata. Per questo dico che i governi non si reggono sulla responsabilità – peraltro di un solo partito –, ma sulla costruzione di un progetto politico, su un’idea comune di futuro del paese e di democrazia. I governi fatti sotto pressione della sola responsabilità sono stati puniti, approfondendo la diffidenza nei confronti della politica. In certe occasioni della storia recente del nostro paese sarebbe stato meglio andare al voto, non per calcolo elettorale, ma per mettere la democrazia in condizione di funzionare”.

  

Insomma “quando Berlusconi ha staccato la spina a Monti, era meglio andare a votare che continuare da soli, su una linea che poi si è rivelata sbagliata. Così come dopo il referendum costituzionale. Un partito non può accontentarsi di assecondare il presidente della repubblica, soprattutto se è l’unico a farlo. Ora, non sto dicendo che adesso sarebbe meglio tornare al voto, ma che se succedesse sarebbe per un fallimento di 5 stelle e Lega: inutile che cerchino di trasformarlo in una minaccia a noi. Un governo deve essere frutto di un progetto per il paese. Progetto che io al momento non intravedo. Tanta intellighenzia progressista ci richiama alla responsabilità ma dovevano rivolgere i loro accorati appelli ai 5 stelle, al posto di andare in soccorso al vincitore: sono loro e le loro pretese fuori dal mondo la causa dell’empasse”. Detto questo, “il vero dato che sta emergendo è che nel sistema proporzionale non esistono vincitori assoluti. Finora la strategia del partito di maggioranza relativa, il M5s, è stata equiparare due forze che non hanno nulla in comune, Pd e Lega, pensando di usarci come strumento per alzare il prezzo nei confronti della Lega. Noi ci siamo giustamente sottratti a questa logica e giustamente la palla ritorna nelle mani del presidente della repubblica”. La pretesa Di Maio di fare il presidente del consiglio “è infondata, perché a fronte di un partito che ha il 30 per cento dei voti, c’è un 60 per cento di italiani che hanno votato altro. Far credere agli italiani che hai il diritto di avere il presidente del Consiglio mi lascia molto perplesso, non ha alcun fondamento democratico ed è offensivo per il Pd. Quando avevamo la maggioranza assoluta alla Camera e relativa al Senato, l’allora segretario del Pd non fece il presidente del consiglio dopo il dialogo fallito con i 5 stelle”.

  

C’è chi dice che il M5s ha rubato molti voti al Pd, ma il partito di Di Maio “non è diventato una costola del Pd. Non è che siccome ex elettori del Pd lo votano - sarà pure capitato con la Lega - allora diventa un partito di sinistra. La natura del M5s è profondamente ambigua. Come contenuti politici prendono, come l’acqua, la forma di che gli sta attorno, ma sono profondamente antidemocratici per quanto riguarda il loro metodo. Sono un partito gestito da una società di comunicazione e per loro la comunicazione è prioritaria rispetto ai problemi politici. Non a caso la trattativa con il centrodestra s’è bloccata perché il M5s ha paura della foto con Berlusconi”. Non c’è “un problema di contenuto politico, perché per loro i contenuti sono indifferenti, come dimostra l’indistinta apertura al Pd e alla Lega. Insomma, mi viene un dubbio forte sulla buona fede del loro comportamento: non cercano un dialogo ma vogliono costringere le altre forze ad arrendersi ai loro diktat ribaltando la realtà: il risultato elettorale obbliga loro a cercare seriamente una maggioranza, non gli altri - noi compresi - a fare la fila alla loro porta”. I 5 stelle dicono che in Germania nessuno ha chiesto ad Angela Merkel di fare un passo indietro. “Per la verità, i Verdi e i Liberali hanno detto serenamente di no. La Spd ha accettato un governo con la Merkel dopo averle imposto un prezzo altissimo. Mi pare persino inutile soffermarsi sulla tradizione politica tedesca, perché Spd e Cdu condividono lo stesso linguaggio costituzionale: in Germania addirittura i partiti per poter ricevere il finanziamento pubblico si devono attenere a precise regole democratiche fissate dallo Stato, come l’obbligo di celebrare un congresso ogni due anni. Quando abbiamo proposto una cosa simile in Italia i 5 stelle si sono ribellati dicendo che volevamo farli diventare un partito: da quello sarebbe derivata una piena legittimazione come forza democratica. Oggi non si lamentino se non li trattiamo come il partito della Merkel: hanno scelto loro di essere il braccio politico della Casaleggio Associati piuttosto che una forza democratica. Non si stupiscano ora se il Pd ne tiene conto con la dovuta serietà”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.