Rocco Casalino addetto stampa M5s (foto LaPresse)

Cortocircuito Casalino

Luciano Capone

Come Rocco impone i 5 stelle in tv e perché tutti i partiti vogliono imitarlo

Roma. Ore 8 del mattino: Guido Crosetto, coordinatore nazionale di Fratelli d’Italia, forse un po’ frustrato dall’imprevista attesa in piedi dietro le telecamere di un talk-show politico, sbotta su Twitter: “Nella notte uno dei 5 stelle ha accettato di partecipare e quindi, poiché deve essere rigorosamente solo per sembrare più intelligente, gli altri ospiti sono trattenuti fuori ... Casalino impera!”. L’ospite è Emilio Carelli, giornalista e neo deputato pentastellato, voce ufficiale dell’inner circle di Luigi Di Maio, che dice di essere disponibile al dialogo con tutti ma nello studio televisivo preferisce il confronto con nessuno.

   

Il problema è sempre quello: conduttori e autori tv di fronte alla possibilità di intervistare un esponente M5s e sentire la voce della prima forza politica sulle sorti del governo, che fanno, respingono o accettano il “codice Rocco”? Parliamo delle regole che Rocco Casalino, il capo comunicazione del M5s, riesce a imporre per le ospitate e che ormai rischiano di diventare un modello per gli altri partiti.

     

“Succede solo con loro, per me non è mai stato possibile confrontarsi – dice Crosetto al Foglio –. Per carità Casalino fa anche bene, ma gli altri partiti dovrebbero chiedere lo stesso trattamento altrimenti si lascia al M5s un vantaggio competitivo”. Il Codice Rocco per le ospitate ha una sola, elementare, regola: “Decide tutto Rocco”. Che viene declinata in maniera diversa a seconda della fase politica. In generale ciò che si evita è il confronto con gli altri partiti e la linea predominante negli ultimi 5 anni è stata quella dell’intervista del conduttore, al massimo affiancato da altri giornalisti, ma niente competitor politici.

   

C’è stata una fase in cui Casalino ha consentito la presenza con esponenti di altri partiti, ma è durata poco. L’altra linea guida è quella di non partecipare a dibattiti con 5-6 persone “per evitare il pollaio”. Anche sui nomi il sistema è centralizzato: si può provare a richiedere un nome o a sondare direttamente la disponibilità del deputato, ma alla fine è sempre Casalino che decide, in base all’argomento, chi inviare in studio.

   

Naturalmente molto dipende dalla linea editoriale della trasmissione e dall’autorevolezza del conduttore, che consentono comunque di fare interviste incisive o mandare servizi critici, ma in generale Rocco parte da una posizione di forza: se vuoi un ospite del M5s queste sono le regole, altrimenti si trova un altro talk disponibile. Questa forma di concorrenza tra contenitori televisivi che sono sempre più numerosi rende la vita molto difficile a chi tenta di non sottostare alle imposizioni dei partiti e costringe, lentamente, a concedere sempre di più qualcosa: “Se qualcuno inizia a giocare anche con le mani, tu che giochi solo con i piedi sei svantaggiato”, dice un autore. Da quando i talk-show erano proibiti, pena l’espulsione, il movimento è cambiato molto. Ma anche perché sono cambiati i talk-show. Ora si va nelle trasmissioni, ma solo se si adeguano ai criteri del movimento. “Crosetto denuncia una cosa vera – dice un altro autore –, Casalino ha introdotto un sistema centralizzato, ma quando parli con la Lega e il Pd non è che facciano meno richieste”. Il “codice Rocco”, con i parlamentari in posizione ancillare rispetto all’ufficio comunicazione, un messaggio deciso a livello centrale e poche persone televisivamente preparate a ripeterlo (possibilmente senza contraddittorio) è molto efficace e per questo si sta imponendo come standard per gli altri partiti. La Lega ha un modello organizzativo simile, con Iva Garibaldi al posto di Casalino, a gestire e autorizzare le ospitate di una batteria di una decina di persone. In questo M5s e Lega sono partiti monolitici, con una organizzazione centralizzata che ricorda i partiti leninisti.

  

Su questo fronte il Pd ha provato a imparare la lezione di Casalino e soprattutto in campagna elettorale Marco Agnoletti ha accentrato la comunicazione e la gestione degli ospiti in tv, ma adesso la situazione riflette la deflagrazione post elettorale del partito. Da un lato conta il fatto che il Pd è più strutturato, ha diverse anime e alcuni personaggi di peso non si lasciano imbrigliare, e dall’altro non c’è un messaggio univoco da veicolare e ognuno va in ordine sparso. Così non si passa dal centro ma si invita direttamente il politico che accetta in maniera autonoma, a qualsiasi condizione, anche perché sa che al posto suo potrebbe andare uno dell’altra corrente o, ancora peggio, uno della sua stessa corrente. Più che democratica, la comunicazione del Pd è balcanizzata. In Forza Italia invece è polverizzata. Negli anni passati c’è stata una “guerra dei mondi” tra i colonnelli e i “volti nuovi”, e si è visto com’è finita. Ora, a parte l’attenzione alle presenze di Silvio Berlusconi, per tutti gli altri c’è anarchia.

   

E’ evidente che questo modello di comunicazione politica più “democratico”, in realtà figlio della disorganizzazione e dell’assenza di un messaggio, è destinato a soccombere. E il vero rischio è che lentamente i paletti e le richieste per le trasmissioni si potrebbero fare sempre più stringenti: dalle trattative sul numero degli invitati al nome degli ospiti, dalla consultazione preventiva sull’argomento a quella sulle domande, e così via.

   

Un bilanciamento all’atteggiamento leninista dei partiti potrebbe venire da un “cartello” dei talk per bloccare questa specie di concorrenza al ribasso e imporre ai partiti un proprio standard. Ma il settore sembra pagare una grande fragilità degli editori, che ogni giorno devono riempire tantissimi contenitori di informazione che agiscono come piccole repubbliche autonome. Ed è proprio per la posizione di debolezza dei media e per la sua efficacia che il “codice Rocco” può di diventare un modello perversamente virtuoso: “Se il mio partito cercasse di impormelo – dice Crosetto – lo manderei a quel paese. Democrazia significa libertà”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali