Giusi Bartolozzi (foto Facebook)

Amore & pignoramento

Giuseppe Sottile

Lei, deputato, sequestra lo stipendio al compagno assessore della Regione Sicilia. E i grillini moraleggiano

Provate ad aprire il catalogo degli sputtanamenti compilato in questi dieci anni dalle raffinatissime e immacolatissime menti grilline. Troverete che basta poco, pochissimo, a volte anche un nulla per marchiare un cittadino come “impresentabile” e metterlo alla gogna come un appestato. Basta che abbia avuto un padre sotto inchiesta per abuso di ufficio; o che sia stato citato nel brogliaccio di una intercettazione telefonica; o che sia incappato in un’inchiesta, poi puntualmente archiviata, per peculato; o che sia ancora lì, in un corridoio della procura, per rispondere come persona informata dei fatti su un sospetto se non addirittura su una maldicenza. Ma dopo averlo aperto e consultato, sappiate che si tratta pur sempre di un catalogo esposto a continue revisioni e a immancabili integrazioni. L’ultimo rompicapo dei purissimi compilatori riguarda il pignoramento. Che non è un reato, si badi bene. Che non è una robaccia da procura della Repubblica e neppure da giudizio penale. Ma è un atto con il quale il giudice civile consegna nelle mani del creditore uno strumento coercitivo che gli consente di recuperare, in tutto o in parte, i soldi che il cattivo debitore si ostina a non restituire. Da qui la domanda sulla quale i grillini e i giustizialisti di ogni ordine e grado discutono senza trovare ancora pace: un uomo politico, al quale è stato pignorato lo stipendio, deve ritenersi impresentabile oppure no?

 

Il dibattito – tutto interno, almeno finora, alla politica siciliana – muove da una storia che è all’un tempo clamorosa e misteriosa. La storia di una coppia felice e solidale che, pur continuando a convivere in piena e totale armonia, ha voluto aggiungere al proprio menage il brivido arcano di un pignoramento.

 

Non si spiegherebbe altrimenti l’ordinanza del giudice per le esecuzioni del tribunale di Palermo con la quale lei – Giusi Bartolozzi, magistrato in aspettativa, eletta il 4 marzo alla Camera dei deputati per Forza Italia – procede al sequestro dello stipendio di 6.896 euro che la regione Sicilia versa ogni mese come indennità di carica a lui, Gaetano Armao, assessore al Bilancio e vicepresidente della giunta regionale che fa capo a Nello Musumeci. Una giunta di centrodestra, nella quale Armao, avvocato amministrativista, occupa un posto di tutto rilievo su indicazione esplicita e irremovibile di Silvio Berlusconi. Il quale, dopo avere manifestato la propria benevolenza per lui, Armao, catapultato dall’oggi al domani ai piani alti di Palazzo d’Orleans, ha preso a cuore anche la compagna, Giusi Bartolozzi, magistrato in servizio al tribunale civile di Palermo, alla quale ha offerto, in vista del 4 marzo, una candidatura blindata e di conseguenza un seggio a Montecitorio.

 

Un innamoramento politico, indubbiamente. Dal quale il leader di Forza Italia poteva anche aspettarsi in cambio un consolidamento dei consensi in quella fascia borghese dell’elettorato che riconosce ancora autorevolezza a certe professioni e ai professionisti che le esercitano. A poche settimane dal voto, invece, ecco la doccia fredda: la coppia che al Cavaliere sembrava probabilmente la più bella del mondo finisce sulle pagine palermitane di Repubblica perché lei ha pignorato lo stipendio di lui. Con un danno di immagine senza precedenti e con tutti gli interrogativi e i retropensieri che un atto così forte inevitabilmente solleva. Interrogativi di carattere privato – che qui comunque interessano poco: se la coppia continua a stare insieme d’amore e d’accordo, che bisogno c’era di arrivare al pignoramento? – ma anche e soprattutto di carattere pubblico, perché il giustizialismo si sa dove comincia ma non si sa mai dove possa finire.

 

A parte gli ammiccamenti e i retroscena che gli amici e i nemici di Armao continuano a inventarsi su “l’amorevole pignoramento” – lui è separato dalla prima moglie alla quale, non avendo più uno stipendio, difficilmente potrà corrispondere l’assegno pattuito per il mantenimento della figlia – l’azione giudiziaria intentata da Giusi Bartolozzi, sua compagna di vita a tutti gli effetti, è rimbalzata immediatamente sul terreno della politica. Con un dibattito sotto traccia che chiama in causa direttamente Musumeci, cioè il presidente che ha fatto del suo indiscusso rigore morale il tema centrale della propria campagna elettorale e del proprio governo. È politicamente opportuno – cominciano a chiedere sottovoce alcuni esponenti dell’opposizione e anche della maggioranza, a cominciare da non pochi maggiorenti di Forza Italia – evitare ogni giudizio su un assessore destinatario di un pignoramento? Musumeci giustamente si rifiuta di aprire la porta sia al venticello delle allusioni sia a quello delle insinuazioni. E con un doveroso senso delle istituzioni tiene lontane e distinte le questioni personali dalle questioni politiche. Ma il chiacchiericcio attorno alla coppia felice – pane, amore e 150 mila euro di contenzioso – si è ingrossato di giorno in giorno fino a diventare, soprattutto tra i militanti del M5s, un dibattito sulla presentabilità o meno di un esponente politico. Specie se quell’esponente politico ricopre l’incarico di vicepresidente di un governatore che ha fatto della questione morale la priorità assoluta del sua azione politica e amministrativa.

 

Armao, tuttavia, non se ne cura più di tanto. Sostiene – e chi può dargli torto? – che il pignoramento chiesto e ottenuto dalla sua compagna riguarda l’invalicabile sfera dei fatti personali. “Sono un uomo pubblico e quindi so bene che la privacy nei miei confronti è ridotta, visto il mio ruolo”, ammette. Ma i tempi sono quelli che sono. Grevi. Se lo sputtanamento dell’avversario è diventato un irrinunciabile strumento di lotta politica; e se la cultura del sospetto, che era prima patrimonio di pochi circoli forcaioli, si è dilatata al punto da diventare una bandiera nelle mani dell’estremismo populista, come pretendere che la voce “pignoramento”, specie se accompagnata da una cortina di mistero, venga tenuta fuori dal catalogo degli insulti con i quali i profeti dell’onestà-tà-tà tentano ogni giorno di mascariare e imbrattare la vita degli altri?

  • Giuseppe Sottile
  • Giuseppe Sottile ha lavorato per 23 anni a Palermo. Prima a “L’Ora” di Vittorio Nisticò, per il quale ha condotto numerose inchieste sulle guerre di mafia, e poi al “Giornale di Sicilia”, del quale è stato capocronista e vicedirettore. Dopo undici anni vissuti intensamente a Milano, – è stato caporedattore del “Giorno” e di “Studio Aperto” – è approdato al “Foglio” di Giuliano Ferrara. E lì è rimasto per curare l’inserto culturale del sabato. Per Einaudi ha scritto anche un romanzo, “Nostra signora della Necessità”, pubblicato nel 2006, dove il racconto di Palermo e del suo respiro marcio diventa la rappresentazione teatrale di vite scellerate e morti ammazzati, di intrighi e tradimenti, di tragedie e sceneggiate. Un palcoscenico di evanescenze, sul quale si muovono indifferentemente boss di Cosa nostra e picciotti di malavita, nobili decaduti e borghesi lucidati a festa, cronisti di grandi fervori e teatranti di grandi illusioni. Tutti alle prese con i misteri e i piaceri di una città lussuriosa, senza certezze e senza misericordia.