La “Piovra Pd" creata dal M5s

La prova della piovra

Luciano Capone

Erano la “Piovra Pd”, gli indagati dem (poi assolti) sbattuti in prima serata e messi alla gogna da Di Battista. Cosa ne pensano ora dell’alleanza con il M5s? Indagine

Dopo il secondo giro di consultazioni con il presidente “esploratore” della Camera Roberto Fico, prosegue il dialogo tra M5s e Pd per la formazione di un governo di coalizione. Il reggente del Pd Maurizio Martina registra “passi avanti importanti, ma restano differenze” mentre il capo politico del M5s Luigi Di Maio chiede “uno sforzo al Pd, non si può chiedere al M5s di negare le battaglie storiche”. Tra le battaglie storiche del M5s c’è proprio quella contro il Pd, rappresentato come il partito della corruzione, del malaffare e della criminalità più o meno organizzata. Questa idea, solo due anni fa, veniva rappresentata da un’immagine: la “Piovra Pd” (foto sotto). Prima con un post sul Sacro blog e poi in una diretta televisiva a Piazzapulita, il M5s ha descritto il Pd come un’organizzazione tentacolare – in cui ogni tentacolo rappresenta una regione o un filone d’inchiesta (Mafia capitale, Gomorra Pd, Trivellopoli) con tanto di foto e nomi di persone indagate – che opprime l’Italia e al cui vertice c’è, ovviamente, Matteo Renzi che, come disse Alessandro Di Battista in tv, “è credibile come i mafiosi”. “Se votate questa piovra – diceva Dibba – non lamentatevi più nei bar dicendo che l’unica cosa che aumenta sono gli psicofarmaci, il consumo di droga, l’acquisto di armi e i disperati che giocano alle slot machine nei bar per pagare una bolletta”. Quel mostro sbattuto in prime time, basato su un bollettino redatto dal Fatto quotidiano, includeva persone solo citate in alcune inchieste e tante altre semplicemente indagate per una serie di reati simili a quelli per cui sono stati inquisiti i principali amministratori del M5s come Chiara Appendino, Filippo Nogarin e Virginia Raggi. Alcuni erano addirittura già stati prosciolti, tanti altri lo saranno nei mesi successivi, dopo però che la condanna mediatica era già stata emessa dal tribunale della gente grillino.

  

Il Foglio ha sentito alcuni dei politici dem che il M5s aveva indicato come tentacoli della “Piovra Pd”, persone che sono poi state prosciolte o assolte dai giudici. Si tratta di sindaci, amministratori locali, europarlamentari e deputati che rappresentano i territori, i vari livelli di governo e le diverse anime del Pd. La “Piovra Pd” rappresenta uno dei punti più alti dello scontro politico e culturale tra il sedicente “partito dell’onestà” e l’asserito “partito dell’omertà”, ma adesso è anche una mappa utile per capire a che punto sia e quali possibilità di riuscita abbia il dialogo con il M5s.

 

Virginio Merola, sindaco di Bologna

“L’intesa è difficile e penso che il M5s stia bluffando, ma il Pd ha il dovere di andare a vedere le carte”, dice il sindaco di Bologna Merola

Il sindaco di Bologna Virginio Merola era stato indicato come rappresentante della peggior politica perché indagato per omissione d’atti d’ufficio per non essersi attivato con provvedimenti urgenti per lo sgombero di una palazzina. Pochi mesi dopo la sua posizione è stata archiviata. “Ah, la storia della piovra me la ricordo – dice sorridendo primo cittadino bolognese – ma non è certo questo il problema con il M5s. Ci sono questioni più profonde. Finora sia a livello locale sia a livello nazionale il dialogo è stato impossibile, l’unico modo di confrontarsi è stato la delegittimazione”. Ma adesso il M5s è cambiato repentinamente nei toni e anche nei contenuti. “Hanno cambiato pelle su molte cose in questa fase post-elettorale, ma la cosa più rilevante per adesso è la chiusura del forno con Salvini. Prima invece si pensava di dialogare contemporaneamente con la Lega e con il Pd, come se la scelta fosse indifferente. Quella è una politica alla Andreotti, che era anche un politico di un altro livello rispetto a Di Maio”. L’intesa quindi adesso si può fare. “Francamente penso che sia difficile e che quello del M5s sia solo un bluff, ma il Pd ha il dovere di andare a vedere le carte. Questo vuol dire fissare alcuni punti di programma fondamentali. Il primo è il collocamento nel quadro internazionale. Poi, sulla lotta alla povertà se anziché di reddito di cittadinanza si parla del potenziamento del reddito di inclusione è un passo avanti. Sul lavoro si dovrebbe riconoscere che il Jobs Act ha contribuito ad aumentare l’occupazione, anche se spesso solo a tempo determinato, e anziché abolirlo bisognerebbe concentrarsi sulla lotta alla precarietà. Sulle pensioni bisogna riconoscere che non ci sono i soldi per abolire la riforma Fornero e che il vero problema è garantire continuità occupazionale e contributiva alle persone”. Il M5s potrebbe accettare tutto, sembra abbastanza indifferente ai contenuti. Quali sono gli ostacoli? “Uno è la fiducia, che è fondamentale quando si fanno accordi politici e bisogna capire se questo cambiamento sia sincero o basato sull’opportunismo. L’altro sono i nomi, se si parte dal fatto che il premier debba essere Di Maio non credo che si andrà molto lontano. In ogni caso la scelta del Pd non dovrà essere verticistica, ma dovrà essere una decisione basata sul coinvolgimento della base e degli iscritti, come ha fatto la Spd in Germania”.

 

 

Alessandro Di Battista illustra la “Piovra Pd” ospite di Piazzapulita 

Renato Soru, europarlamentare

“Sono della convinzione che in una democrazia parlamentare sia doveroso discutere e dialogare, almeno se si intende dare la precedenza a ciò che utile per l’Italia rispetto a ciò che è utile per il nostro partito”, dice Renato Soru, ex presidente della regione Sardegna ed europarlamentare, che si era dimesso dagli incarichi di partito dopo una condanna in primo grado per evasione fiscale che poi è stata ribaltata in appello. Assolto. “Ricordo bene che per il M5s ero un tentacolo – dice Soru – ma penso che ora bisogna parlarsi, magari non ci troviamo sulla nostra idea di Europa, sull’euro, sui vaccini, sulle regole di democrazia interna, sull’idea di democrazia rappresentativa e sul garantismo, ma trovo poco produttivo andare a votare a ottobre. Sarebbe come mettere un’altra moneta nella slot machine, ma è un gioco in cui perde tutto il paese”.

 

Damiano Zoffoli, eurodeputato

La pensa diversamente un altro europarlamentare dem, Damiano Zoffoli, messo nel mirino dei Cinque stelle per un’accusa di peculato da cui è stato assolto. “Essere trattati così non è che faccia piacere – dice – ma c’è una questione di fondo che prescinde dalle simpatie o antipatie personali. C’è un problema di fiducia, perché il M5s che abbiamo conosciuto finora ha seminato sfiducia nelle istituzioni, nella politica, negli economisti, nei medici, nelle forze dell’ordine e anche nelle ong. La politica serve a creare speranza e risolvere i problemi, non solo ad alimentare le paure”. E nel concreto? “Per me il primo punto è l’Europa. Il M5s dovrebbe per esempio spiegare perché ha votato contro la revisione dell’accordo di Dublino, una decisione che è contro gli interessi dell’Italia perché riguarda la distribuzione e la gestione dell’immigrazione su base europea. E poi il M5s è il partito che in 48 ore ha fatto un viaggio dal gruppo della Brexit di Farage a quello degli Stati uniti d’Europa di Verhofstadt e ritorno, mi sembra lo stesso percorso che sta facendo adesso in Italia tra la Lega e il Pd. Non mi sembra un approccio serio”.

 

Bruno Valentini, sindaco di Siena

“In questi casi si fa la prova del budino”. Il budino M5s lo assaggia? “Sempre meglio che morire di fame”, dice il sindaco di Siena Valentini

Il sindaco di Siena Bruno Valentini era nella “piovra” per un’indagine sulla costruzione di un campo da baseball per bambini. “La cosa buffa è che andati sul Tg1 delle 20 e poi una settimana dopo il pm ritirò le accuse. Gli attacchi mediatici e politici sono ferite mortali che rimangono”. Si può dialogare con il M5s nonostante le ferite? “Per me dovrebbero riconoscere prima quanto veleno inutile e ingiusto hanno sparso” dice Valentini, che è impegnato nella campagna elettorale per il rinnovo del mandato da sindaco. “Dopo questa condizione preventiva, credo che il Pd dovrebbe avere una posizione convergente anche attraverso un referendum tra gli iscritti, come ha fatto la Spd in Germania. Ma dopo essere diventati un partito inviso, perché su qualsiasi cosa faccia il Pd il giudizio negativo è ormai preventivo e indipendente dai contenuti, dobbiamo evitare di diventare un partito inutile. In questo senso l’approccio di Maurizio Martina mi pare molto pragmatico: mettiamo quattro punti al centro e vediamo se riusciamo a fare qualcosa”. Pensa che su questi punti si possa trovare un terreno comune con il M5s? “Non lo so, è un’incognita, nessuno sa come andrà a finire. In questi casi si fa la prova del budino, bisogna assaggiare”. Lei il budino a cinque stelle lo assaggerebbe? “E’ sempre meglio che morire di fame”.

 

Raffaella Paita, deputata

“Garantismo, collocazione internazionale, Europa e lavoro. Ci sono questioni fondamentali che ci dividono”, dice Raffaella Paita

“Per quanto mi riguarda non è un tema di rancore legato a quello che il M5s aveva affermato nella campagna elettorale delle regionali in Liguria, perché di mio non porto ruggine”, dice l’onorevole Raffaella Paita, ex assessore ligure assolta dall’accusa di omicidio e disastro colposo nel processo sull’alluvione di Genova del 2014. “Gridarono allo scandalo, alle dimissioni e addirittura al ritiro dalla campagna elettorale. Questa vicenda dovrebbe essere un’occasione per un approfondimento su come si tratta il garantismo in quello schieramento. Ma non può essere una vicenda personale, seppure dolorosa come la mia, a determinare una scelta politica. Ciò che rende la strada dell’intesa sempre più in salita sono le differenze politiche”. Quali? “Ne elenco quattro. La prima, come detto, è l’idea di giustizia: un garantista deve sapere che bisogna attendere i diversi livelli di giudizio prima di sputare sentenze, perché un paese civile si misura da questo. La seconda è la collocazione internazionale, non si può cambiare idea da un giorno all’altro come ad esempio ha fatto il M5s sulla Siria. La terza è il rapporto con l'Europa e l’euro, da cui dipendono e discendono tutte le politiche e la loro compatibilità economica. La quarta è la visione del lavoro. Sono favorevole a iniziative forti di lotta alla povertà come il potenziamento del reddito di inclusione, ma da persona di sinistra non credo che una persona debba avere un sostegno a prescindere dalla volontà di mettersi in gioco, perché il lavoro è un elemento di emancipazione dell’uomo.

 

Fabiano Amati, consigliere regionale Puglia

La posizione del consigliere regionale pugliese Fabiano Amati, finito nella lista dei “delinquenti” per un’accusa di tentato abuso d’ufficio da cui è stato definitivamente assolto, riflette il dilemma del Pd: “La posizione del no è quella più quadrata e seria, ma poiché il no apprezzabile non è quello vendicativo, bisogna impegnarsi con generosità a reggere questa posizione. Ed è qui il discorso si fa difficile”. Perché? “Perché il Pd avrebbe bisogno di una leadership nuova, coinvolgente, molto riformista e in grado di costruire in tre-quattro mesi uno storytelling di affidabilità e competenza”. Scartato il no, resta il sì. “Il sì invece è un’opzione senza molto futuro e però con la comodità di non dover cambiare la classe dirigente. E’ un prendere tempo presupponendo la raccolta dei frutti buoni del governo. Ma con il M5s non è possibile perché il vero buon governo dovrebbe fare cose impopolari, e cioè far capire quanto importante sia il valore delle riforme, i doveri, per creare ricchezza da distribuire, i diritti”. E quindi? “Vedremo come prosegue la discussione”.

 

 

Stefano Graziano, presidente Pd Campania

“Noi abbiamo una cultura popolare, loro una cultura populista. La questione non è personale, è tutta politica”, dice Stefano Graziano

Stefano Graziano, consigliere regionale e presidente del Pd campano, nel 2016 venne travolto dall’accusa di concorso esterno con la Camorra. Per il M5s divenne il simbolo della “Gomorra Pd”, l’anello di congiunzione tra i dem e il clan dei casalesi. Pochi mesi dopo la gogna mediatica, tutte le accuse vennero archiviate. “Non parliamo del dato personale – dice Graziano – perché la politica si fa senza rancore. Forse sono stato l’unico a cui Di Maio ha chiesto scusa, ma mi piacerebbe sapere se ha cambiato modo di pensare e non se ha cambiato idea su di me. La questione non è personale, è tutta politica”. E qual è? “Come prima cosa il M5s dovrebbe dire che il Pd non è quello che hanno raccontato, noi siamo un partito democratico. Ma oltre questo restano alcuni punti di fondo difficilmente superabili: noi abbiamo una cultura popolare e loro una cultura populista. Noi abbiamo una cultura garantista e rispettiamo le istituzioni, perché noi andiamo a chiarire davanti ai giudici. Loro creano le condizioni per cui un avviso di garanzia, che dovrebbe essere a tutela dell’indagato, diventi un avviso di gogna, cioè una condanna mediatica. Oltre alla diversa cultura politica c’è poi una differenza di programmi. E se si dovessero superare anche queste divergenze bisogna poi lavorare sui nomi, che sono le gambe su cui camminano i programmi. Ed è chiaro che se c’è Di Maio ci deve essere anche Renzi: o ci sono entrambi o nessuno dei due. E’ evidente. Come vede, per me trovare l’intesa è difficile”.

 

Giosi Ferrandino, eurodeputato

Giosi Ferrandino è l’ex sindaco di Ischia arrestato nell’inchiesta sulla coop Cpl Concordia, l’indagine di Henry Woodcock e del capitano Scafarto che ha anticipato quella su Consip. Quella vicenda divenne per il M5s il simbolo di un nuovo fenomeno criminale nazionale: “Siamo convinti che le cooperative siano una cerniera tra la corruzione politica e le mafie criminali, sono diventate la nuova lavatrice dei soldi della mafia – disse Luigi Di Maio all’allora procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti –. Chiediamo che questo fenomeno venga considerato un sistema sistema criminale mafioso a livello nazionale. L’ultimo caso è quello di Ischia, c’è un sindaco del Pd, una cooperativa in mezzo e i legami con le organizzazioni criminali”. In seguito la Cpl Concordia è stata assolta in tutti i processi, compreso quello sui presunti legami con i casalesi, e così pure Ferrandino, che dopo aver vissuto l’umiliazione del carcere è ora un europarlamentare del Pd. “Forse il mio parere può essere condizionato dall’attaccato ingiusto e brutale che ho subìto da parte di chi ha agito con con modi da sciacallo, in un momento in cui era facile sparare su una persona colta da una misura cautelare. Ma bisogna provare a distinguere le cose”, dice Ferrandino. “La mia assoluzione dimostra che bisogna essere cauti, ma il M5s ha fatto di queste situazioni un cavallo di battaglia che è diventato un leitmotiv di campagna elettorale e persino la sua stessa motivazione di esistenza. E grazie a questa condotta ha raccolto anche i frutti i elettorali. Il vero pericolo però è la delegittimazione delle istituzioni e degli avversari, che è anche la causa dello stallo in cui ci troviamo adesso”. Il dialogo quindi è impossibile? “Il confronto non si nega a nessuno, perché in politica si guarda oltre. Ma bisogna partire dai programmi, anche se è difficile perché i loro, come si è visto, cambiano continuamente. E poi credo che non si possa tenere Renzi fuori da questa partita e da questa trattativa, perché questo è un Pd modellato da lui e che ruota attorno a lui”. Quindi l’accordo è impossibile? “E’ molto improbabile, ma la politica è l’arte dell’impossibile”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali