Salvini batti un colpo
Tertium datur. La demagogia grillina ha intrappolato i capricci di Di Maio, la direzione del Pd confermerà che un governo può nascere solo se i gemelli populisti rinunceranno a Palazzo Chigi. Mattarella e la carta non impossibile dell’incarico a Giorgetti
Arrivati a questo punto della storia, la domanda che ciascun lettore si potrebbe porre, osservando le traiettorie dei partiti, i capricci dei leader, le sportellate tra le correnti, è se esiste ancora una remota possibilità che la XVIII legislatura passi alla storia per essere la prima morta senza neppure essere nata. Se si vuole provare a rispondere al “e ora che si fa?” bisogna provare a mettere insieme le posizioni dei vari partiti e spiegare quale potrebbe essere a oggi l’unica soluzione per far nascere un governo. Il centrodestra ha scelto finora saggiamente di non dividersi e il leader della Lega Matteo Salvini sogna di ricevere un preincarico dal capo dello stato per far partire un governo di minoranza di centrodestra. Per far nascere questo governo servirebbe però quantomeno l’astensione di un partito a scelta tra il M5s e il Pd. Salvini vorrebbe che fosse Di Maio a far nascere un governo di centrodestra ma se il 5 stelle non vuole avere nulla a che fare con Forza Italia non si capisce come possa far nascere un governo guidato anche da Forza Italia. Resterebbe il Pd ma Salvini ha detto che non esiste e allo stesso tempo il Pd oggi dirà in direzione che i parlamentari democratici non voteranno la fiducia a nessun governo guidato da Di Maio o da Salvini (su 205 esponenti della direzione del Pd, in 122 ieri avevano già firmato un documento unitario per spingere il partito verso questa direzione). Dunque si torna alla casella del via. Che governo può nascere? Di Maio, fino a qualche ora fa, sperava nella rottura tra Salvini e Berlusconi ma quella rottura non ci sarà a meno che Di Maio non scelga di fare una cosa che a oggi sembra essere molto complicata per un leader, come quello grillino, ostaggio della sua stessa retorica: accettare che a guidare un governo sia una figura terza. O Flick o Flock.
Un leader politico che ha passato gli ultimi mesi a far credere ai suoi elettori allocchi che un presidente del Consiglio può essere considerato non golpista solo se “eletto dal popolo” non può permettersi di dire facilmente “scusate, ho detto una fregnaccia, la nostra Costituzione non prevede che ci siano candidati premier e colui che guida il paese da Palazzo Chigi lo decide il presidente della Repubblica, non un sondaggio su Rousseau”. E per questo Di Maio non farà l’unica mossa che gli potrebbe permettere di far nascere un governo persino a guida grillina. Senza Di Maio candidato premier, con un volto terzo, il centrodestra potrebbe anche fintamente dividersi e far nascere un governo con il 5 stelle. Ma allo stesso modo senza Di Maio candidato premier, con un volto terzo, il Pd (anche Renzi) sarebbe pronto a far nascere un governo anche con la Casalino e Associati. A meno di una rivolta interna nel M5s – l’uno vale uno di Casaleggio vale anche per i candidati premier? – tutto questo non accadrà e alla fine dei giochi l’unico tra i due gemelli diversi del populismo italiano che potrebbe dimostrare di avere una caratura da leader non solo di lotta ma anche di governo potrebbe essere Salvini, che oggi ha di fronte una chiave per sbloccare la legislatura.
Una chiave che il presidente della Repubblica sarebbe disposto a far girare all’interno della macchina delle consultazioni: offrire a un leghista diverso da Salvini la possibilità di far nascere un governo. Fino a oggi il leader della Lega ha categoricamente escluso questa possibilità – lo ha ripetuto anche martedì sera: “Mai con il Pd” – ma se il M5s non accetterà di far partire un governo di centrodestra per far nascere un governo di minoranza la Lega ha bisogno dei voti del Pd. E nella Lega c’è qualcuno che sul tema Pd inizia a utilizzare delle parole più prudenti rispetto a quelle di Salvini.
Lunedì sera, a “Otto e mezzo”, su La7, il neo governatore del Friuli-Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, in un passaggio notato da pochi, non ha detto che con il Pd non ha senso dialogare, ma ha detto che “l’offerta di dialogo è aperta a tutti, anche se tra questi tutti difficilmente intravediamo il Partito democratico”. Immaginare un Salvini che chieda al Pd di far partire un governo di centrodestra è come immaginare Di Maio chiedere a Marcello Dell’Utri di intermediare con Berlusconi per far nascere un governo Davigo. Ma se Salvini volesse mostrarsi meno capriccioso, e meno ostaggio della demagogia, di Luigi Di Maio, per far nascere un governo dovrebbe seguire alla lettera quanto suggerito ancora da Fedriga lunedì sera al capo del M5s: “La stagione dei veti e del voglio fare a tutti i costi io il presidente del Consiglio deve essere superata”. Vale per Luigi Di Maio, ma vale ovviamente anche per Matteo Salvini. Oggi dalla direzione del Pd sarà chiaro che l’alternativa alle elezioni anticipate è un qualsiasi governo non guidato da Di Maio o da Salvini – davvero Di Maio vuole tornare a votare senza cambiare una legge elettorale definita da lui stesso incostituzionale?
Il capo politico dei grillini, nel corso della giornata, risponderà alla proposta del Pd con una raffica di insulti. Ma il capo politico della Lega – che due giorni fa ha preferito farsi fotografare a bordo di una ruspa che farsi inquadrare al meeting di Nizza accanto alla Le Pen e agli altri leader dell’estrema destra europea – alla proposta del Pd potrebbe rispondere in maniera diversa: potrebbe chiedere al presidente della Repubblica di dare un incarico a un volto di mediazione capace di far nascere un governo in ventiquattro ore. E il leader della Lega un volto che metterebbe d’accordo tutti, da Silvio Berlusconi a Gianni Letta passando per Dario Franceschini e Matteo Renzi, lo avrebbe. E’ il suo Paolo Gentiloni. Si chiama Giancarlo Giorgetti. E’ lui forse l’unica carta da utilizzare per non far morire una legislatura pazza, che rischia di collassare prima ancora di essere nata non per questioni legate al destino ma per i capricci di due leader che a sessanta giorni dalle elezioni non riescono ancora a mettersi i pantaloni lunghi.