Solo governi istituzionali. Perché la direzione del Pd è quella di Mattarella
Tregua. In direzione Martina e Franceschini accettano la linea Renzi: no al dialogo con Di Maio e Salvini . Mosse e conseguenze
Roma. Ogni Direzione del Pd viene preceduta da annunci di possibili sfracelli che puntualmente si concludono in un nulla di fatto e costantemente vengono messe in discussione le azioni mediatico-politiche di Matteo Renzi, senza però che gli avversari forniscano linee politiche alternative credibili. E’ accaduto anche nella Direzione di giovedì, dove gli antirenziani, vecchi e nuovi, sono stati rottamati. Il reggente Maurizio Martina dopo il veto di Renzi dei giorni scorsi ha dovuto capitolare, dicendo no al governo con il M5s ma no anche al governo con il centrodestra a guida salviniana: “In questa sede – ha spiegato Martina, che nei giorni scorsi si era lamentato per le parole dell’ex segretario a ‘Che tempo che fa’ – dovevamo discutere se aprire il confronto con il M5s. Non decidere l’alleanza o un voto a Di Maio. Per noi il tema non è mai stato votare Di Maio premier. Ma una sfida politica e culturale sul cambiamento per fare uscire tutte le loro contraddizioni. Un rilancio, non una resa. Dovevamo sfidarli sul terreno del cambiamento”. Nessuna “rinuncia ai nostri valori. Dovevamo incalzarli. Dovevamo immaginare questa ipotesi. Oggi non discutiamo di questo perché i fatti dei giorni scorsi hanno cambiato le cose. E’ un capitolo chiuso”.
Insomma scusate – ha detto in sostanza Martina, che dopo le consultazioni aveva aperto al confronto con il M5s – stavamo scherzando. “Mentre discutevamo di loro – ha aggiunto – in verità discutevamo di noi. Di come non consegnarci all’irrilevanza”.
“Era una ipotesi più rischiosa per il Pd. Ma è chiusa”. Dunque, di un governo Pd-M5s non si parlerà più. “Il rischio del voto anticipato è più forte oggi. Perché per noi il tema è anche un no a un governo con il centrodestra tutto. Non solo un no al governo con il M5s”. Martina ha poi chiesto che la Direzione gli “rinnovi la fiducia fino all’Assemblea nazionale” (concesso) e fino alla prossima Assemblea resterà al suo posto. Poi sarà convocato il Congresso. Persino Dario Franceschini, teorico del “dialogo” e del “confronto” con il partito di Grillo e Casaleggio, ha dovuto prenderne atto. “Mi sembra che il tema del dialogo con il Cinque stelle non ci sia più da domenica, dall’intervista di Renzi e dalla reazione di Di Maio”. Insomma, game over per gli avversari dell’ex segretario. Per il governo, invece, è il solito caos, identico a quello delle ultime settimane. A questo punto però, esaurite le opzioni squisitamente politiche, non restano molte alternative: il governo “istituzionale” – ma fatto da chi? – su impronta di Sergio Mattarella, che lunedì vedrà tutti i partiti. Oppure il ritorno alle urne, che in diversi paventano. Lunedì il presidente della Repubblica sfiderà i leader a trovare dei numeri (per questo Matteo Salvini da giorni ripete di essere pronto al preincarico: ma decide lui?), in caso contrario dirà di essere pronto a un governo di tregua fino a gennaio (e poi, cari partiti, potete ricominciare a litigare). E il voto anticipato? C’è chi lo vede possibile. Uno di questi è Andrea Orlando. “Non so – ha detto giovedì nel suo intervento in direzione – se in Europa esista altro partito riformista che dopo tre mesi da una sconfitta come quella del 4 marzo non ha individuato né una discontinuità di persone né di contenuti. Non mi convince la linea del pilota automatico. La domanda se vado alle elezioni con la stessa agenda me la devo fare, o no? O vado alle urne con i cento punti così risparmio anche sulla tipografia?”. Insomma, ha detto Orlando, “prepariamoci alla possibilità delle elezioni. Prima di andare a uno scenario che porta al voto avrei fatto una discussione qua dentro. L’ipotesi di Franceschini e Renzi, più volte espressa in queste settimane, di “un accordo costituzionale non mi vede convinto: se non sono affidabili per fare un governo come possono essere contraenti di un patto costituzionale? Tornare al voto mi sembra l’ipotesi più probabile: il governo di tutti si fa se ci stanno tutti e oggi questa condizione è difficile. Prepariamoci alle prossime elezioni”.
David Allegranti