Un'opera di street art che ritrae il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

La pazza idea del patto del Nazarino

Claudio Cerasa

Pd e FI possono governare insieme solo con la Lega. Altrimenti meglio il voto

Le parole usate ieri pomeriggio dal segretario reggente e poco veggente del Pd Maurizio Martina per escludere ogni possibilità di far nascere un governo politico con il Movimento 5 stelle o con il centrodestra (“Con il M5s il capitolo è chiuso e mai andremo al governo con Salvini, Berlusconi e Meloni”) ci costringono a ragionare su un tema solo apparentemente tecnico: ma che cosa diavolo vuol dire far nascere un governo non politico? In un’epoca storica in cui non esistono emergenze tali da poter giustificare un governo d’emergenza – la crisi in Siria è durata venticinque minuti, l’economia va che è una favola, l’occupazione cresce, gli inoccupati diminuiscono, il debito migliora e persino le Coree hanno trovato un modo per non farsi la guerra – immaginare una formula “non politica” che possa consentire alla legislatura di avere un governo è missione quasi impossibile.

  

Ma dato che da lunedì prossimo il presidente della Repubblica proverà a trovare la combinazione per far nascere un esecutivo, possiamo dire che il capo dello stato a oggi ha di fronte a sé tre alternative. Prima: provare a far partire un governo di centrodestra non guidato da Matteo Salvini (Giorgetti?) e chiedere al Pd (possibile) o al M5s (impossibile) di appoggiarlo. Seconda: provare a far partire un governo tra centrodestra e Movimento 5 stelle guidato da un volto terzo (ma Luigi Di Maio non intende rinunciare a Luigi Di Maio e dunque l’opzione non esiste). Terza: provare a far partire un governo guidato da una figura di garanzia anche a costo di farlo votare solo al Pd e a Forza Italia, consentendo dunque al M5s e alla Lega di non dare la fiducia a questo governo.

 

Le tre opzioni, come è evidente, sono una più mostruosa dell’altra. Ma il vero rischio delle prossime settimane è che il presidente della Repubblica, pur di non tornare velocemente alle elezioni, accetti di prendere in considerazione quella che rischia di essere insieme la più rassicurante ma anche la più spaventosa delle creature politiche che potrebbero prendere forma in questa legislatura: il Patto del Nazarino. Ovverosia: un governo non politico sostenuto di fatto solo da Pd e Forza Italia.

 

Un governo istituzionale appoggiato solo da Pd e Forza Italia avrebbe i numeri per partire – al Senato, Pd e FI, insieme con i voti del gruppo misto e delle autonomie, hanno 133 voti, alla Camera di voti ne hanno 237 e come tutti ricorderete governi con numeri così bassi sono già nati grazie alle astensioni degli altri partiti (nel 1976, il terzo governo Andreotti nacque con 136 voti al Senato e 258 alla Camera). Politicamente però quella che a oggi sembra essere la tentazione del capo dello stato – un governo di un anno, sostenuto da chi ci sta, per costruire la nuova legge di Stabilità – potrebbe essere una scelta più che azzardata. In sintesi: può permettersi l’Italia di preferire alle elezioni anticipate un governo d’emergenza senza emergenza formato da politici capaci ma perdenti e non appoggiati da leader incapaci ma vincenti? Aver paura di mettere il paese nelle mani degli incapaci è un sentimento nobile.

    

Ma costruire le condizioni per dare la possibilità agli incapaci di avere alle prossime elezioni un alibi per far dimenticare la propria inadeguatezza potrebbe essere pericoloso. Se un governo di minoranza deve nascere, meglio provare a convincere il Pd a governare con il centrodestra. Se il patto alla tedesca fosse impossibile, tra il Patto del Nazarino e le elezioni anticipate il capo dello stato non dovrebbe avere dubbi: mille volte meglio le elezioni. Mille volte meglio provare a capire se i sessanta giorni di consultazioni farsa avranno contribuito a far comprendere agli elettori che i leader antisistema l’unica poltrona che possono governare è quella di un talk-show.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.