Guerra per la Rai
Il governo non c’è ancora, ma le parole di Di Maio e Fico scatenano preventive ostilità
Roma. La primavera dello scontento post-elettorale rischia di concludersi, ai primi caldi, con un altro rompicapo da risolvere: la Rai. Si dà il caso, infatti, che mentre la ricerca di una soluzione-combinazione governativa tormenta questi e quelli nei Palazzi, in Viale Mazzini ci si attivi sottotraccia, a livello di sondaggi informali, per arrivare alla soluzione preventiva (se possibile) della questione “rinnovo Cda”. Il Cda attuale è in scadenza, l’estate è vicina, la nuova legge sul servizio pubblico (quella varata dall’allora governo Renzi) impone tempi stretti per le candidature di nomina parlamentare.
Che fare? Non c’è una mappa, e mentre in Rai alcuni riflettono sul modo di “suggerire” alla politica e all’informazione i nomi dei possibili nuovi consiglieri, in modo che sembrino peraltro non suggeriti, nei Palazzi squassati da due mesi di nulla spunta, anche per ottemperare alla nuova legge, un post firmato Roberto Fico, presidente della Camera, con link all’avviso per la presentazione delle candidature: “…Il mio auspicio è che questi quattro componenti del nuovo Consiglio di amministrazione siano votati dal Parlamento in base al merito e alle competenze, solo così si potrà ribadire il significato più profondo del servizio pubblico radiotelevisivo, bene comune che appartiene a tutti i cittadini”. Gli risponde dal Pd il deputato Michele Anzaldi (già caterpillar dem in Vigilanza Rai): “…per la scelta dei nuovi consiglieri di amministrazione Rai il presidente della Camera Roberto Fico si impegni pubblicamente affinché venga tutelato il pluralismo, oltre al merito. A differenza delle nomine negli uffici di presidenza di Camera e Senato, dalle quali per la prima volta nella storia della Repubblica la minoranza è stata tenuta fuori, per i 4 consiglieri Rai scelti dal Parlamento è opportuno che vengano tutelati anche i milioni di elettori che sono rappresentati dal Pd… Fico onori il suo ruolo evitando che il Cda Rai diventi un monocolore di maggioranza”. Ma il botta-risposta non ha fatto neanche in tempo a divampare che un altro fronte M5s-Pd si è aperto, sempre a proposito della tv di stato dove – a oggi – si fatica a trovare personalità che si dicano sostenitrici dei Cinque stelle (c’è chi in Rai sintetizza così la titubanza: “Se oggi ti fai grillino e domani c’è un governo del presidente? Meglio restare immobili”). Motivo del contendere, le parole di Luigi Di Maio prima e dopo l’intervista di mercoledì sera a “Porta a Porta”. Sul Corriere della Sera, infatti, si leggeva di una mail inviata da Luigi Di Maio ai parlamentari del M5s: “…Nelle ultime ore abbiamo saputo che sono di nuovo partite le richieste ai Tg Rai di fare servizi contro di noi. Negli ultimi 50 giorni ci avevano trattato con i guanti bianchi perché avevano paura che andassimo al governo e sostituissimo i direttori. Lo faremo molto presto grazie a una legge finalmente meritocratica…”.
A quel punto, sul sito di Repubblica, insorgeva Sebastiano Messina: “…Dunque la ‘rivoluzione’ grillina, se mai ci sarà, comincerà con un’epurazione dei media, assai simile a quella che Berlusconi decretò con l’ormai celebre editto bulgaro contro Biagi, Santoro e Luttazzi. E confermerà che anche loro, come la stragrande maggioranza dei partiti che hanno occupato la stanza dei bottoni, vorranno subito mettere le mani sull’informazione del servizio pubblico. Un bell’inizio…”. E Anzaldi definiva “parole gravissime” quelle di Di Maio: “…saremmo di fronte a una pesantissima ingerenza contro l’autonomia del servizio pubblico, nonché un attacco all’informazione senza precedenti portato avanti da chi da settimane tenta di arrivare a Palazzo Chigi con ogni mezzo. Anche il presidente della Camera Fico ha ricevuto la lettera, come deputato M5s? Acquisisca subito agli atti il testo di Di Maio e valuti non soltanto una sconfessione pubblica, per ribadire la tutela dell’autonomia della Rai, ma anche se la lettera non configuri eventuali reati, alla luce del ruolo di Di Maio come leader del primo partito in Parlamento”. E insomma il governo non c’è ancora, ma la guerra per la Rai è già allo stadio avanzato.