Così la regola dei due mandati assilla il M5s
Di Maio alle prese con le proteste interne e l’ipotesi del governo “neutrale” da scongiurare
Roma. Mentre chiude il suo pc per affrettarsi in Aula, Federico D’Incà scuote la testa, sbrigativo: “Non mi pare che siano questi i problemi del paese”. E sentendolo parlare mentre nel Transatlantico tutti fremono per capire cosa ne sarà di questa legislatura che ancora non nasce ed è già moribonda, sarebbe difficile dare torto al deputato bellunese del M5s. Se non fosse, però, che nel loro piccolo, anche le diatribe interne ai vari partiti hanno un loro peso – un peso nient’affatto marginale – ce l’hanno eccome, nel determinare le sorti politiche del paese. Ed è così che in questi giorni di trattative e tatticismi, la discussione sulla regola dei due mandati non solo angustia i parlamentari pentastellati, ma condiziona anche le scelte del loro capo politico. Che ovviamente dei mugugni dei suoi colleghi non può non tenere conto. E dunque ecco che l’opzione che a questo punto parrebbe a suo modo vantaggiosa – e cioè un governo istituzionale, che consegni al Movimento il monopolio, o quasi, dell’opposizione – viene subito scartata in favore di un immediato ritorno al voto. Il motivo? Proprio il limite dei due mandati.
Il napoletano Angelo Tofalo è categorico, sulle prime: “La norma c’è, e deve rimanere”. Poi però, se gli si chiede di argomentare, ammette che una riflessione è necessaria: “Di certo – spiega – non ci faremo infinocchiare dagli altri partiti: se ci dovessimo accorgere che i nostri avversari speculano su questa nostra regola, ci adegueremo di conseguenza”. Ma è chiaro che l’adeguarsi, e cioè il concedere una deroga, sarà possibile nel caso in cui alle urne si torni in tempi rapidi. E non a caso anche ieri, Luigi Di Maio, interrogato sulla questione dei due mandati, ha ribadito che, “da un punto di vista politico”, per lui “la legislatura non è ancora inziata”. Come a dire, insomma, che per ora vige il liberi tutti. “Per me – ha poi aggiunto – si deve andare a votare il prima possibile”. E lo ha detto con una risolutezza che forse tradiva una certa paura: quella, cioè, che alla fine una maggioranza più o meno raccogliticcia la si possa trovare. E a quel punto per i vertici del M5s il problema dei due mandati tornerebbe più attuale e gravoso che mai. Perché, se una deroga è facilmente giustificabile in caso di elezioni immediate, assai meno lo sarebbe dopo qualche mese di lavori parlamentari. E infatti agli sherpa di Di Maio che hanno provato a indicare le “convenienze” di cavalcare le ampie praterie dell’opposizione per poi battere cassa a dicembre, o magari anche nel 2019, alcuni parlamentari hanno risposto con fermezza: “Peccato che poi qualcuno, e cioè chi è al secondo mandato, scenderà a fine corsa”. Se ne è discusso anche in chat, in questi giorni.
E ancora ieri, nell’assemblea congiunta dei gruppi, i malumori non sono mancati. “Se si fa, senza di noi, un qualche governo, ci logoreranno, facendoci stare anche solo per una manciata di mesi nel Palazzo, così da rendere problematica la ricandidatura di chi è al secondo mandato”. Il tutto però, a taccuini rigorosamente chiusi, ché quando si chiede una dichiarazione ufficiale la protesta inevitabilmente scema, si dissolve nei mille arzigogoli del politichese d’ordinanza. “Prima o poi il problema andrà affrontato”, ripetono i deputati grillini. E ai vertici del M5s una soluzione già l’hanno pronta: confermare il divieto per le cariche elettive, ma rendere possibile per altra via il proseguimento della carriera politica.
Di certo c’è Rousseau, come ufficio di collocamento pentastellato: lo sa bene chi – come il consigliere comunale bolognese Max Bugani o il consigliere regionale del Piemonte Davide Bono – è già prossima a concludere il secondo mandato ma nell’associazione di Davide Casaleggio ha già trovato un posto assicurato per il futuro. E poi, ovviamente, ci sono gli incarichi non elettivi, che i vertici del M5s continuano a promettere a chiunque si mostri insofferente di fronte alla imminente scadenza della propria carriera. Per tacitare il sindaco di Pomezia, Fabio Fucci, gli era stato offerto l’incarico di capo di gabinetto in Città metropolitana da Virginia Raggi; al deputato piemontese Ivan Della Valle, pure lui con due mandati alle spalle, Roberta Lombardi aveva prospettato un eventuale assessorato alle Attività produttive in regione Lazio. “E va bene – sbotta una senatrice – ma questi sono casi singoli. Cosa succederà, però, quando ad arrivare a scadenza saremo a decine?”. Per ora, Di Maio preferisce non pensarci.