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Come nasce il sì del Cav. al governo Lega-M5s

Salvatore Merlo

Silvio Berlusconi ascolta Gianni Letta: “Facciamo partire il governo”. Il Cav. torna eleggibile tra un anno. E poi…

Roma. Non voterà la fiducia, ma “non sta a noi porre veti a un governo Lega-M5s”. La svolta arriva in serata, ma era nell’aria per tutto il giorno. E infatti, nel primo pomeriggio, nel cortile di Montecitorio i deputati del M5s si avvicinano ai leghisti: “Allora?”, chiedono. “Che dice Berlusconi? Si fa il governo?”. E in un lampo si capisce che nessuno vuole andare alle elezioni. “E’ chiaro che sono tutti terrorizzati”, dice il vicesegretario della Lega, Lorenzo Fontana, mentre gli uomini di Forza Italia riconoscono dalla distanza Luca D’Alessandro, amicissimo di Denis Verdini, e allora si avvicinano: “Perché non dici a Denis di parlare con Berlusconi? Andare alle elezioni è una follia”. E’ bastato che Sergio Mattarella sventolasse la parola elezioni sotto il naso dei partiti, perché tutta la giostra ripartisse. Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno chiesto ventiquattr’ore di tempo, per vedere che si può fare. “Vedrete che Berlusconi farà nascere il governo stando fuori”, vaticina il vecchio Umberto Bossi, seduto ai tavolini del bar Giolitti. E Sestino Giacomoni, il più antico dei collaboratori di Arcore: “Però Di Maio dovrebbe chiedere scusa al presidente”. E dietro alla svolta c’è Gianni Letta.  

 

Quando il telefono senza fili del Transatlantico diffonde la notizia che tutto è cambiato, che Di Maio non insulta più Berlusconi e che forse Berlusconi accetta di stare fuori dalla maggioranza pur conservando il rapporto di alleanza con Salvini, improvvisamente tutte le facce di cemento dei deputati e dei senatori, impegnati a votare i membri del Csm, si spalancano, distese. D’un tratto compaiono i sorrisi. Ci si scambia pacche sulle spalle. “E’ fatta, dai”. “E’ fatta!”. “Macché fatta e fatta?”, li rimbrotta Giorgio Mulè, il portavoce unico di Forza Italia, che attraversa il corridoio dei passi perduti con l’iPad sempre in mano: “Ancora siamo al ‘caro amico’. State calmi, se potete. Prima i Cinque stelle devono venire a dirci cosa vogliono fare”.

 

Ma in realtà il Cavaliere una decisione l’aveva già presa nel pomeriggio, ha dato retta al suo gran ciambellano, Gianni Letta, che non ha dovuto ricordargli i rischi di nuove elezioni, ma gli ha prospettato un modo di governare dall’esterno, come dice anche il vecchio Bossi: “Berlusconi voterà di volta in volta le leggi portate in Aula. Alla fine controllerà così l’operato legislativo del governo”. L’alternativa, d’altra parte, è pericolosa: voto, con meno eletti, e liste composte “sui nuovi equilibri e in base ai nuovi sondaggi che premiano noi”, ricorda il leghista Fontana. Così i bene informati delle cronache di Arcore mormorano che “ormai la faccenda non riguarda più nemmeno Berlusconi. Se il governo lo vogliono fare, lo decidono solo Di Maio e Salvini”. Forza Italia c’è. O meglio non c’è. “Faremo come faceva la Lega ai tempi dei governi Monti e Letta”, dice Maurizio Gasparri, poco prima d’immergersi in una riunione al primo piano della Camera. “Voteremo contro la fiducia al nuovo governo, o usciremo. Ma comunque conserveremo un rapporto leale con la Lega e con il resto del centrodestra”. E insomma ci si separa per unirsi. Un barocchismo, forse destinato a non durare. Ma Chissà.

 

“Sì, va bene. Ma cosa vuole Berlusconi in cambio?”, si chiedevano i Cinque stelle. “Assicurazioni sulle tivù? Sulla Giustizia?”. Berlusconi però non ha chiesto niente. Ancora. Forse perché in realtà non ha bisogno di niente. Per adesso. “Le televisioni?”, rideva il Cavaliere, “apri Sky e ci trovi dentro Mediaset”. Un’operazione che Pier Silvio, e Fedele Confalonieri, previdenti, avevano portato a compimento per tempo. Mettendo tutta la roba al riparo. Anche il nemico Vincent Bolloré è scomparso. Puff. Magia. Fortuna. Miracolo. “Il problema nella formazione di questo governo con il M5s non è più Berlusconi”, dicono allora ad Arcore. “Adesso che la cosa diventa vera, quelli spaventati sono Di Maio e Salvini. E un po’ anche Mattarella”. Dunque si vedrà come andrà a finire. “Vorrei ricordarvi che tra circa un anno il presidente torna eleggibile”, dice sornione Andrea Ruggeri, deputato di Forza Italia, neoeletto, spiritoso e molto amico di Berlusconi. A settembre è anche prevista la famosa sentenza di Strasburgo, che potrebbe riabilitarlo ancora prima. “E con Maradona in campo, di solito che succede?”. Forse Salvini dovrebbe tenere conto anche di questo.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.