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Il Pd e le vocazioni proporzionali

David Allegranti

Dice Salvati che adesso i Democratici possono solo mettere “nel cassetto” la vocazione maggioritaria

Roma. L’assetto “da guerra” del Pd che si prepara agli scenari di voto anticipato ha toni vagamente mattarelliani. Sì al governo “neutrale” (qualsiasi cosa possa voler dire), sì a Paolo Gentiloni candidato alla presidenza del Consiglio in caso di elezioni anticipate (anche se lui fa sapere di essere interessato solo se può diventare anche il capo del Pd, magari all’assemblea del prossimo 19 maggio), sì a una strategia comunicativa precisa: puntare tutto sulla “responsabilità” contro gli sfascisti di Lega e M5s. Da questo punto di vista sarebbe dunque coerente la scelta di Gentiloni: premier uscente, con un gradimento adeguato, pronto a rivendicare il lavoro del suo esecutivo. Anche Matteo Renzi ieri sera a “DiMartedì” ha dato il suo benestare: “Sì a Gentiloni candidato”. La “strategia della responsabilità” fa il paio con la scelta della coalizione con cui presentarsi. Pd e sinistra hanno capito ormai che alle prossime elezioni non ci si può presentare divisi. Ieri Lorenzo Guerini ha incontrato Nico Stumpo alla Camera per ragionare attorno agli scenari futuri. C’è una possibilità che Pd e quel che resta di Leu si alleino alle prossime elezioni? Il dialogo è in corso, ma bisogna capire anzitutto che cosa faranno, per dire, gli ex Pd. Come Stumpo e soci, appunto.

 

L’idea – così viene descritta al Largo del Nazareno – sarebbe quella di una coalizione “costituzionale”, fatta da quelle forze che si contrappongono a chi non crede nella democrazia rappresentativa, come il M5s. C’è poi un’altra questione da affrontare: l’orizzonte tripolare, proporzionale, impone al Pd di rivedere la vocazione maggioritaria. Vediamo quali sono gli scenari. Anzitutto, dice Michele Salvati al Foglio, “se ci sarà un governo di emergenza è evidente che i segretari di partito non possono essere designati da Sergio Mattarella come presidenti del Consiglio. Non sarà dunque né una figura forte del centrodestra, né del M5s, né del Pd, ammesso che ne esista ancora una, e io credo che esista: finché non ci sarà il nuovo congresso, Matteo Renzi avrà la maggioranza all’interno della direzione”.

 

Appena però il quadro sarà più chiaro e ci sarà un esecutivo definito, il Pd dovrà rinnovare i suoi vertici. “Ci dovrà essere una discussione, dovrà emergere una valutazione critica o pacata quanto la vuole Veltroni, però seria, su quali sono stati i difetti di Renzi come segretario e come capo del governo. Un’analisi che ancora non è stata fatta. Si sa solo che ci sono dei dissapori che devono però maturare quando ci sarà calma e il Pd potrà fare un congresso serio”. Nel frattempo però c’è il rischio di elezioni anticipate. “E Paolo Gentiloni è spendibile da tutti i punti di vista. Sia come candidato presidente, sia come segretario del Pd. Bisogna vedere se lui è d’accordo naturalmente, ma è un uomo in grado di garantire l’anima liberal del Pd ma dà abbastanza garanzie anche ai più radicali”.

 

E la vocazione maggioritaria? “E’ evidente che in una situazione di tipo proporzionale, la vocazione maggioritaria finisce nel cassetto. La questione è un’altra: se chi vincerà il congresso, magari adottando sempre una linea liberal, sarà accettato dagli avversari interni. Finora non è stato così: chi ha perso se n’è andato dal Pd. Nel Labour invece esistono due linee e quella risultata maggioritaria è stata grosso modo accettata dalla linea minoritaria. Nel Pd finora tutto ciò non si è realizzato. Per questo invece servirebbe un partito in cui la convivenza fra due linee alternative sia regolata e non traumatica”.

 

Ma il Pd ha anche altre questioni da affrontare, come osserva Vincenzo De Luca. “Il Pd ha il problema di definire con nettezza il suo profilo programmatico. Se domandassimo ai cittadini il Pd oggi cosa è, il 99 per cento direbbe non lo so. E l’1 per cento per sfotterci ci chiederà: c’è ancora il Pd?”. Il Pd, dice il governatore della Campania, “in alcuni territori del sud è penoso. Con umiltà e chiarezza, bisogna decidere cosa è il Partito democratico. Per me è il lavoro e la sicurezza. Sul primo continuiamo a balbettare, dovrebbe essere il primo punto del programma creare lavoro per giovani del sud. La sicurezza urbana è una priorità assoluta”. E’ “sconcertante”, dice ancora De Luca, che il Pd non parli il linguaggio delle persone normali. Se ho paura a camminare in città, la politica la butto a mare, le ideologie. Poi c’è la sburocratizzazione, il codice degli appalti che va tolto di mezzo, il problema della giustizia in un paese in cui il diritto è calpestato. Se il Pd ce la fa, farà una campagna elettorale difficile, altrimenti sarà un bagno di sangue”. I vertici del Pd prendano nota.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.