Lo stallo politico e la domanda sulla democrazia che vogliamo essere

Luigi Marattin

Il grande equivoco della Seconda Repubblica e la scelta necessaria tra rappresentanza maggioritaria o proporzionale

Al direttore - Esiste un modo per dare senso e utilità a questa fase di stallo politico. Si articola in due momenti: riconoscerne le vere cause strutturali, e provare ad affrontarle una volta e per tutte. C’è chi crede che questo stallo derivi dal Rosatellum, dal “tripolarismo”, o dai capricci di questo o quel leader politico. Io credo che le cause siano più strutturali.

 

Nella Prima Repubblica (1948-1992), l’assetto politico-istituzionale era chiaro, netto e stabile: legge elettorale puramente proporzionale, grandi partiti di massa che rispondevano a una chiara collocazione internazionale, la quale – attraverso la conventio ad excludendum – guidava la fase delle alleanze post-voto, caratteristica precipua di un sistema proporzionale. La fine della Guerra Fredda (qualche gonzo crede ancora sia stata Tangentopoli) determinò il crollo di quell’assetto, e con esso la fine della rilevanza strategica internazionale del nostro paese. Terminò l’epoca della sovranità limitata e divenimmo pienamente responsabili dell’assetto del nostro sistema politico-istituzionale. Dovevamo decidere noi, in pratica, che tipo di democrazia essere e con quali regole. Quella ritrovata piena sovranità non è stata usata bene: in questi venticinque anni non siamo riusciti a darci un assetto stabile che sostituisse quello dei primi 45 anni di vita repubblicana. In ossequio allo sport nazionale (non il calcio, ma quello di non fare mai scelte piene fino in fondo), prima abbiamo scelto il maggioritario, ma con un quarto di proporzionale (il Mattarellum). Poi il proporzionale, ma con premio di maggioranza (Porcellum e Italicum). Poi il proporzionale, ma con un terzo di maggioritario (Rosatellum). Parallelamente, in un circolo causa-effetto in cui è difficile stabilire la primazia, l’offerta politica ha fatto da specchio a questo balletto elettorale, esaurendo il dizionario botanico (Ulivo, Quercia, Margherita), declinando in vari modi la parola Libertà (Polo, Casa, Popolo), saccheggiando slogan da stadio (Forza Italia), innumerevoli tentativi di “Terzo Polo”, svariati partiti personali fino al “non-partito” col “non-statuto”. Sullo sfondo, un sistema istituzionale che – resistendo a tre tentativi di riforma organica (la Bicamerale del 1997 e i due referendum del 2006 e 2016 – è rimasto sostanzialmente lo stesso uscito dal secondo conflitto mondiale. Il risultato sono stati 25 anni di precarietà politica e istituzionale – chiamati Seconda Repubblica, chissà perché – che hanno portato a governi politicamente o istituzionalmente deboli che non hanno saputo adattare la nostra società e la nostra economia allo choc della globalizzazione. Fa eccezione il generoso tentativo di Matteo Renzi, che però alla fine si è interrotto proprio sullo scoglio più ostico: la riforma dell’assetto politico-istituzionale.

 

Dopo 25 anni, forse è arrivato il momento di porci la domanda e dargli una risposta: che tipo di democrazia vogliamo essere? Se vogliamo essere una democrazia maggioritaria, allora serve una legge elettorale a doppio turno, una riforma costituzionale conseguente, e un’offerta politica che può non essere troppo distante da quella attuale (tre poli, ciascuno indisponibile a governare se non da soli). Se invece vogliamo essere una democrazia proporzionale, allora la legge elettorale deve essere proporzionale pura, senza sensi di colpa e fattori di confusione (lo vogliamo dire ad alta voce che l’equivoco su se sia arrivato primo il M5s o il centrodestra deriva dall’ibrido del Rosatellum?).

 

Ma allora l’offerta politica deve ristrutturarsi di conseguenza. Perché quella attuale è figlia dell’illusione maggioritaria: la coalizione di centrodestra sta insieme unicamente per la componente maggioritaria che ha permeato i sistemi elettorali di questo quarto di secolo, e il Partito democratico nasce dentro a un sistema maggioritario e per la vocazione maggioritaria. Se questa Repubblica decide una volta e per tutte di essere proporzionale, fatemelo sapere. Perché un secondo dopo ho una domanda da porre al mio partito.

 

Luigi Marattin è deputato Pd