Questo governo è una bufala
La questione del contratto M5s-Lega non è nella sua orgiastica capacità di stupire il mondo
Che quello incombente sia un governo osceno, extra e anticostituzionale nelle premesse, carico inoltre di ideuzze penose suscettibili di farci arrivare addosso una valanga economico-finanziaria punitiva, all’insegna di “dàgli al giullare italiano”, non si discute. Ma prima di organizzare adunate oceaniche con le bottiglie Molotov, prima di alimentare un’opposizione di spietata violenza – e chi debba e possa farlo è piuttosto incerto, e che non si debba farlo all’insegna del frusto ce-lo-chiede-l’Europa è sicuro – bisogna mettersi in fila a Palazzo Rospigliosi, a due passi dal Quirinale, tirare fuori dalla sua stanza il giudice costituzionale Giuliano Amato, e chiedergli umilmente scusa. Con lui al timone, stramaledetto il giorno in cui non levammo corale la nostra voce per la sua elezione al posto del trito e nichilista notaio che si sa, tutto questo non sarebbe accaduto.
Infatti, per ripartire da zero, che è un bel modo di essere chiari, il famoso governo voluto da undici milioni di elettori grillozzi (li mortacci loro) e da sei milioni di elettori leghisti (li mortacci loro) è una boiata pazzesca. Questo non è il governo eletto dagli italiani, che hanno votato liste separate in conflitto tra di loro, che hanno votato al sud per i quattrini a sbafo dello stato e al nord contro i negher, è un pazzotico e normalissimo esecutivo partitocratico, che nasce senza un presidente del Consiglio incaricato per neghittosità che si conoscono, in seguito a manovre e trattative di palazzo per spartirsi il companatico del potere e la gloria di una grande rottura. Dal panettiere stamane, porgendomi tre etti di piazza bianca, il commesso romanesco mi ha guardato sicuro e mi ha detto: “Non dura”, senza aggiungere altro fra il giudizio politico e lo scontrino. Ma anche se durasse, perché ce-lo-chiede-la panza-degli-italiani, non la mia che è più vasta della media, altro che l’Europa, resterebbe quel che è: una ben nutrita maggioranza parlamentare (tranne che, come sempre, al Senato benemerito) maturata nel segreto di trattative di potere alla congolese, altro che tedesca, in barba alle promesse di streaming.
Comunque, in un certo senso, va bene così. Per le Molotov è passato il tempo, il giornale dei cazzari antimafiosi esamina nel ridicolo “i pro e i contro” di un ministero che è loro parente stretto, salva la clausola di continuare a scherzare con grevità e a diffamare l’ignaro e lontano Berlusconi; Pierluigi Dibattista scorge qua e là delle incongruenze; Paolo Mieli osserva serafico e sulfureo che la rupture ha contro tutta la stampa, oops, e speriamo soltanto che alla fine si realizzi il noto dictum secondo cui “in Italia la rivoluzione non si può fare perché ci conosciamo tutti”. Mieli e Pigi Dibattista li conosco, sono anche miei amici, quindi c’è speranza. Chi abbia letto “la linea Sottile” di ieri, qui, capisce cosa voglio dire. Questo è il paese dove l’araldo antimafia della Confindustria siciliana ora sconta le sue pratiche paramafiose ai domiciliari, ove la magistrata che doveva assicurare il succo sociale dei beni confiscati ha confiscato i beni per un gruppo di affaristi, e non ha fatto un giorno di vera pena, dove il pm che ha incastrato il generale che arrestò Riina è accusato di piccolo peculato a buon pro suo e della famiglia; è il paese dei professionisti (ah, Sciascia) della disinformazione, della controverità, della commedia delle imposture.
Nasce il governo infine della Casaleggio Associati, e della Lega Lepenista & Combriccola, tra gli alti lai di un fascioidiota che chiama alle armi in difesa della Patria i patrioti, e la sua nascita va celebrata con una sola formula: ce lo meritiamo, il governo del raglio, il Delirakis di cui parla il direttore, e dobbiamo sperare che le conseguenze siano sopportate con pazienza dai suoi elettori.
Io, per esempio, sopporterò con pazienza l’estensione dei termini della legittima difesa, perché sono tra coloro che vedendo “Thelma e Louise”, quando lei fa secco il suo stupratore in un parcheggio, hanno applaudito spontaneamente, che sarebbe il pubblico dei radical chic (ciao, Tom Wolfe). La flat tax in sé mi fa un baffo, sono della scuola di Chicago, sebbene non abbia studiato economia. Penso che il reddito di cittadinanza sia una boutade, ma aspetto di leggere il libro di Stefano Feltri a esso dedicato, se non altro per cortesia. Invece quando penso alla parte forcaiola del contratto-capestro o alle deliranti idee di rimpatrio blindato di cinquecentomila negri, o allo (s)fascismo anticostituzionale della briglia ai parlamentari, e altre chicche, allora rimetto mano al progettino delle Molotov. Ma, insomma, la questione di questo governo non è nella sua inflattiva o orgiastica capacità di stupire il mondo con misure minacciate fuori da ogni assennatezza, compresa la richiesta di 250 miliardi alla taccagna eppure generosa Bce di Mario Draghi: il governo è osceno a prescindere, manca di legittimità, di rispetto sostanziale delle procedure, è incardinato sull’equivoco, offre il peggio di quel che il paese è a mezzogiorno e nel settentrione, è una bufala. Ecco passate in rassegna, con la massima calma e un tentativo di ironia, le “incongruenze” del bacio tra il posteggiatore abusivo (copyright di Feltri) e lo steward dello stadio San Paolo. Subito dopo le elezioni, siccome siamo un giornale della verisimiglianza, per la verità ci sarà tempo, l’umanità non è mai pronta, per primi e con più forza sostenemmo che sarebbe finita così, che Salvini sarebbe andato all’Interno in un governo con Di Maio o un altro più o meno neutrale nella funzione inessenziale di presidente del Consiglio. Nel nostro acuto realismo, sapevamo che andava finire così, ma non così, non in questo osceno modo.