La strana ascesa dell'ing. Fantinati
Nel 2015 inveiva contro Cl a Rimini, a Montecitorio si batte contro la delocalizzazione delle imprese. La sua vera crociata è il turismo e ora sogna il Mibact
Roma. A modo suo, era stato il primo a profanare il tabù grillino dell’inviolabilità dei tempi del potere. Solo che siccome all’epoca – agosto 2015 – il Movimento era ancora quello orgoglioso della propria presunta innocenza, al Meeting di Rimini Mattia Fantinati ci andò col piglio del ribelle. “Sono qui, onestamente, per denunciare come Comunione e Liberazione, la più potente delle lobby italiane, abbia trasformato l’esperienza spirituale e morale in un paravento di interessi personali, finalizzati sempre e comunque a denaro e potere”. Così parlava l’allora quarantenne deputato pentastellato, nato a Nogara ma cresciuto a Verona, beandosi dei fischi che dalla platea si levavano, come presagendo che in quel momento si celebrava la propria consacrazione.
L’apoteosi di un pomeriggio da trasformare in brand, o quantomeno in un libro dal titolo non proprio ermetico (“Onestà, onestà! Un 5 stelle al Meeting di Comunione e Liberazione”) con tanto di prefazione del buon Beppe, da pubblicare con studiato tempismo nel settembre di due anni dopo, quando il gran baraccone di Italia a 5 stelle sarebbe arrivato nel capoluogo romagnolo. D’altronde, che l’ingegnere veronese fosse un tipo attento all’autopromozione, lo si era capito già nell’aprile 2013, quando quella del M5s era una pattuglia impenetrabile ai media che si riuniva in agriturismi blindati manco fosse il Bilderberg, mentre lui si faceva seguire dalle telecamere della “Vita in diretta” fin dentro la camera del suo hotel romano. E però, se Fantinati ha saputo fin dall’inizio guadagnarsi la stima dei capi, è stato anche perché con più fervore di altri neoeletti ha lavorato, esibendo non solo specializzazioni post-laurea a iosa tra la Bocconi, Manchester, Londra e Pechino – sì, stiamo verificando: vi faremo sapere! – ma anche le sue competenze da ingegnere gestionale, che ci teneva a ribadire come lui, a differenza di qualche suo collega, un lavoro ce l’avesse, e pure redditizio, prima di entrare in Parlamento. Attivo nel MeetUp di Verona sin dal 2007, tra i pochi della prima ora a non vergognarsi – dicono i suoi amici scaligeri che lo ricordano ancora nelle manifestazioni contro l’inceneritore di Ca’ del Bue – delle proprie simpatie per il centrodestra, nel 2013 Fantinati lascia la sua azienda di consulenza energetica e va alla Camera, dimenticandosi un po’ del suo territorio d’origine, se è vero che proprio per la sua latitanza viene ribattezzato Fantasmati.
A Montecitorio si batte contro la delocalizzazione delle imprese, arrivando a guardare senza troppa antipatia alla politica protezionista di Trump, e per la compensazione delle cartelle esattoriali. “Un prezzemolino, sempre desideroso di apparire”, dice di lui chi non lo stima troppo. Ma nessuno nega che sia un gran lavoratore. “Sa sgobbare anche nell’ombra, e rimboccarsi la maniche”. Letteralmente: come dimostrano i video che lo ritraggono indaffarato nel bagno di casa sua mentre lava una maglietta “comprata a cinque euro dai cinesi” in una bacinella di plastica, per poi mostrare l’acqua che si sporca e la necessità della sua lotta contro la “moda tossica” e la contraffazione. Ma la sua vera crociata è quella sul turismo, in uno sforzo inesausto per mostrare come l’Italia sfrutti troppo poco le sue bellezze, anche a causa di una tragica arretratezza nella digitalizzazione del settore. E’ di Fantinati, non a caso, la proposta accolta da Di Maio di creare un ministero ad hoc, con portafoglio, staccato da quello della Cultura. Non sarà facile, farlo. Ma quel che pare scontato è che proprio nel Mibact Fantinati, riconfermato alla Camera il 4 marzo, si vedrà assegnato un posto di peso: non sarà lui a guidare il ministero, che pare spetti al leghista Gian Marco Centinaio. Ma le sue quotazioni come sottosegretario crescono di ora in ora. Nella sua Verona, dove vive da un paio d’anni con la compagna Federica, attivista a cinque stelle pure lei, non tutti i militanti grillini lo amano: un po’ per via della rivalità con l’altra deputata cittadina, Francesca Businarolo, un po’, soprattutto, a causa di quella sua mancata ostilità alle grandi opere, seppure in formato light (dalla Tav leggera al maxi-collettore del Garda). E infatti proprio in queste settimane che in Veneto Lega e M5s sono tornati ad accapigliarsi su Pedemontana e dintorni, lui ha precisato che “se un’opera è fatta in maniera trasparente ed è funzionale, perché no?”. Lo ha fatto perché ci teneva, ha detto lui, “a tranquillizzare le imprese”. E forse, chissà, un po’ anche Salvini.