Non basta la repubblica dei cavilli contro la farsa del sovranismo
Perché i lobbismi inconcludenti non aiutano ad arginare il putinismo strisciante e il trumpismo callido
Mattarella gli ha dato tempo, dopo avere fischiato egli stesso la fine della partita e un governo di transizione al voto, gli ha dato corda senza nominare un presidente incaricato, è stata un’orgia di nomi e annunci contrattual-programmatici di due settimane, tutta sottratta alla sua verifica istituzionale, tutta pubblica via spifferi, tutta giocata sull’idea farlocca di un popolo sovrano che esige il “suo” governo, quando è evidente che si tratta di una combinazione parlamentare d’opportunità in regime proporzionale, senza una maggioranza precostituita e votata nelle urne, e adesso Savona? O gli Esteri? O la Difesa? Ma quanto sono credibili le garanzie che arrivano a frittata già fatta?
Ora la pletora dei velinari quirinalizi, un genere disgustoso della nostra tradizione politica, è lì che amplifica l’irritazione del Colle, sfrutta le parole arroganti di Salvini Dux, reso padrone del campo dalla mancanza di garanzie preventive, le uniche contemplate davvero dalla Costituzione, per respingere i famosi diktat e aiutare a costruire un asse lobbistico tra il neopresidente venuto dalla fine della Repubblica, come il Papa dalla fine del mondo, e gli staff istituzionali esausti e incapaci. Possono fare tutto, un ministro dell’Interno capopartito, un premier inventato e spedito al Quirinale di malagrazia, annunci bestiali che già costano un’anticchia e più a economia e fiducia dei mercati, ma non possono proporre e vedere nominato un ministro del Tesoro che ha le sue idee di rottura ma viene dal giro lamalfiano, keynesiano e ciampiano, per quanto ormai ridotto ad appendice del varoufakismo versione Stefano Fassina (ho detto tutto). Ma via. A questo punto hanno tutto il diritto di mettere un uomo che ha il curriculum perfetto (ah, il curriculum) e le idee sbagliatissime a consacrare questa farsa di sovranismo e nazionalpopulismo.
Un ex presidente della Corte costituzionale, che Pannella definiva non senza ragioni “cupola partitocratica”, dice che la Brexit all’italiana è illegale, anticostituzionale, e trasforma la gabbia politica scelta per opzione strategica da questo paese e dalle sue classi dirigenti, oggi in rotta, in una galera di codicilli. Ma siamo un po’ seri, per cortesia, vi pare che un governo e una maggioranza politicamente e retoricamente farlocchi ma, quelli sì, legali, e che hanno nell’opposizione all’europeismo e all’euromonetarismo l’unico vero cemento che li lega, possono essere interdetti nel loro orientamento, nel suo succo? Le istituzioni della V Repubblica francese e l’inventiva di un uomo nuovo hanno impedito a Madame Le Pen di prevalere con la sua piattaforma antieuro, le istituzioni italiane che sono coinvolte nella disfatta del buonsenso politico e della verità, sommersi come siamo dalla demagogia e dalla viltà dell’establishment, pensano di avere la forza o l’autorità giuridico-morale di fare altrettanto cincischiando e barando?
Il containment è una strategia delicata, e ha alla sua base la capacità di parlare a questo paese una lingua popolare e comprensibile, spiegando con coraggio che la questione se stiamo nell’Unione e nell’eurogruppo o, come logica e diritto, ce ne chiamiamo fuori con tutte le conseguenze, è una questione di natura politica che riguarda gli interessi generali degli italiani, inseriti in una intelaiatura di trattati e alleanze e in una comune visione della società, interessi che il putinismo strisciante e il trumpismo callido dei nuovi venuti tradiscono dal portafoglio al cuore delle cose e dei criteri di esistenza di una vera democrazia liberale. Non è con dibattiti al Circolo Aniene, lobbismi riservati e inconcludenti, garanzie che si trasformano in catene per l’autonomia di una maggioranza parlamentare, non è così che ci si riscatta. Anzi, si peggiorano le cose e non si cava un ragno dal buco.
Ps. Gian Carlo Pajetta, persona spiritosa, una volta mi disse che nel suo candore contadino Luigi Longo, a chi diceva che appunto “non si cava un ragno dal buco”, rispondeva: “E a che serve?”.