Salotto Spadafora. La dote di relazioni che porta ai giallo-verdi
Dice (da ieri) che non sarà nel governo, ma è l’uomo chiave (non da oggi) dell’alleanza Di Maio-Salvini
Roma. Mutevole è la sorte sopra ogni cosa, specie in tempi di governo giallo-verde. E dunque può ben dire (per ora?) “io al governo non ci sarò” Vincenzo Spadafora, deputato m5s, segretario di Presidenza a Montecitorio, ex presidente di Unicef Italia, ex garante per l’Infanzia, ex capo delle relazioni esterne di Luigi Di Maio nonché uomo di puro trasversalismo, cinefilo con attitudine da festival (Venezia e Roma), cinofilo (cane preso al canile) e (fino a ieri) ipotetico ministro dell’Istruzione o della Cultura.
“Non ci sarò”, ha detto ieri in un corridoio del Palazzo dei Gruppi – non senza cupezza in volto – il solitamente indecifrabile Spadafora, quarantaquattrenne campano passato per la storia della Prima e della Seconda Repubblica in senso letterale, con il suo patrimonio di contatti un po’ mastelliani un po’ rutelliani un po’ veltroniani un po’ lettiani (nel senso di Enrico Letta) un po’ montezemoliani (nel senso di Italia Futura, con cui però non portò a termine il percorso preliminare allo sbarco politico) e anche un po’ finiani, un po’ aristo-chic e un po’ radical-chic. Il tutto sotto il cappello delle grandi organizzazioni umanitarie e, non da ultimo, dei buoni rapporti vaticani. Esperto nell’arte della tessitura di dialoghi ad alto livello in un M5s che di dialoghi ad alto livello aveva poco o nulla, già plenipotenziario di fatto con l’hobby del karaoke (attività che a Roma favorisce i contatti tra un ambiente politico e l’altro), Spadafora si è sfilato verbalmente dall’ipotetica lista ministri nel giorno in cui (ieri) è piovuto sui tormentati tavoli pre governativi un articolo del Fatto dal titolo non amichevole: “Storia di un ‘balduccino’ convertito a Di Maio”, in cui, con citazione di intercettazioni non penalmente rilevanti per il deputato del M5s, si riprendeva il brogliaccio mediatico-giudiziario del 2008-2009 su Angelo Balducci (ex presidente del Consiglio dei Lavori pubblici), la “cricca” degli appalti e i presunti favori incrociati negli ambienti romani che contano (Spadafora, come si è detto senza rilevanza penale, compare come colui a cui Balducci si rivolge per far avere al figlio uno stage retribuito presso l’Unicef, e come ragazzo in carriera che chiede a Balducci notizie su un’eventuale consulenza).
Ma, governo o non governo, Spadafora è (non da oggi) uomo cruciale del nuovo corso grillo-leghista, con quel suo “conoscere tutti” tanto più importante presso il Movimento che si vantava di non conoscere nessuno. Non soltanto perché, dopo aver contribuito ad accreditare oltreconfine il localissimo Di Maio grazie alle sue conoscenze pre e post Unicef presso Cernobbio, Londra, Harvard e Washington, Spadafora ha partecipato a tutte le principali riunioni in fase di composizione liste, e poi a tutti i summit di accordo e disaccordo nell’inner circle Salvini-Di Maio da cui è uscita la soluzione Conte. E non soltanto perché Spadafora, Di Maio e il casaleggiano Pietro Dettori hanno vissuto in simbiosi la fase preelettorale, con brainstorming nell’appartamento dimaiano nei pressi del Colosseo. C’è infatti, a monte, tutto un mondo pre M5s, tutto un simbolico “salotto Spadafora”, talmente ibrido da aver provocato nei burloni, in questi giorni, la battuta “ma non potevano scegliere lui, come premier, così era contenta pure l’opposizione?”. Un mondo frequentato a lungo e non dimenticato, che ha portato Spadafora a essere l’ircocervo uscito dall’ombra a “Porta a Porta”: Cinque stelle nel logo, non Cinque stelle nell’imprinting. Anzi. Tutto si può dire, infatti, tranne che l’ex capo delle relazioni esterne di Di Maio, originario di Afragola, cresciuto a Cardito, sia un grillino originario. Le origini politiche del nostro uomo affondano nella Campania cantata in negativo da Roberto Saviano (cosiddetta “Terra dei Fuochi”), dove Spadafora ha mosso i primi passi come segretario dell’ex presidente mastelliano della giunta regionale Andrea Losco. E si completano della vocazione religiosa, poi traslata in attivismo umanitaristico stimato presso la Santa Sede: da piccolo voleva farsi prete, Spadafora, come ha raccontato in “La terza Italia”, libro-manifesto scritto nel 2014, quando ancora era Garante per l’Infanzia e non immaginava il non rinnovo della carica, per il quale sarebbe servito il cambiamento di una norma che tuttavia non fu cambiata, essendosi formato in Parlamento un muro presso alcuni esponenti del Pd (“cosa di cui mai Spadafora ha perdonato il Pd”, dice un osservatore che vede in quel casus belli l’inizio dell’avvicinamento al M5s. Casus belli anche aggravato, sul fianco politicamente sinistro, da una velata indifferenza alla causa presso Laura Boldrini, ex presidente della Camera ed ex Alto Commissario Onu per i rifugiati).
Prete poi non s’è fatto, il piccolo Vincenzo, causa nostalgia di casa dopo una settimana di seminario, ma in Vaticano è conosciuto, anche per via della lunga consuetudine di alto funzionario umanitario, con trasferte in Ruanda, Indonesia, Sierra Leone e Palestina (poi c’è la gesuitica forma mentis, ereditata dal docente di Teologia e suo padre spirituale don Ottavio de Bertolis). E c’è l’impegno terreno, i cui confini vanno dai suddetti mastelliani ai Verdi (Spadafora è stato nella segreteria di Alfonso Pecoraro Scanio) fino a Francesco Rutelli: Spadafora è stato capo di segreteria dell’ex sindaco di Roma nel 2006, quando Rutelli era ministro dei Beni culturali (al giovane Vincenzo fu dato il profetico incarico di organizzare gruppi trasversali di giovani post-ideologici). Non solo: Spadafora nel 2011 viene nominato Garante per l’Infanzia dai presidenti di Camera e Senato di centrodestra Gianfranco Fini e Renato Schifani, e dialoga con l’ex ministro delle Pari opportunità forzista Mara Carfagna e con l’ex ministro dell’Interno leghista Roberto Maroni (oggi invece parla con il leghista Lorenzo Fontana, all’ufficio della presidenza Camera con lui). Eppure, in quegli anni, non è sconosciuto presso Vedrò, think-tank dell’ex premier Enrico Letta, mentre alla montezemoliana Italia Futura arriva attraverso conoscenze imprenditoriali (Carlo Pontecorvo, proprietario dell’acqua Ferrarelle e sponsor di Unicef). In tempi più recenti, Spadafora (via Di Maio) suggerisce al sindaco di Roma Virginia Raggi la figura dell’ex Unicef Laura Baldassarre come assessore alla Persona. E, in nome del passato umanitario, ha cordiali scambi di vedute con i superstiti di LeU. Non è laureato e se ne dispiace, ma l’esperienza multiforme compensa (tutto torna, nulla si butta).