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L'effetto Grecia esiste. E il potere contrattuale dell'Italia con l'Eurozona è zero

Guido Tabellini

Perché i capitali stranieri (e italiani) scapperanno dal nostro paese al primo segnale conreto di euroscetticismo. Il governo gialloverde può fare la voce grossa sull’immigrazione. Sulle materie economiche può solo fare danni all’Italia

In base al Contratto tra Lega e M5s, il nuovo governo dovrà rinegoziare i trattati dell’Eurozona, per dare più spazio alla politica fiscale e a politiche macroeconomiche più favorevoli alla crescita. Chiunque abbia un minimo di conoscenza dell’Unione europea sa bene che questi trattati non sono rinegoziabili, soprattutto non nella direzione auspicata. Cosa farà il nuovo governo quando riceverà un secco No alle sue richieste?

 

Da questa risposta dipenderanno le sorti della legislatura e soprattutto il futuro del paese. Gli atteggiamenti di alcuni esponenti della nuova maggioranza, e la bozza preliminare del Contratto poi modificata, fanno temere che il nuovo governo possa tentare un bluff: se non cambia qualcosa, noi siamo pronti a uscire dall’euro. Sarebbe una scelta disastrosa, per due ragioni.

 

Innanzitutto, il bluff non è credibile. Uscire dall’euro comporterebbe il fallimento dell’intero sistema bancario e di molte grandi imprese che non sarebbero più in grado di ripagare i loro debiti, un contenzioso di anni su come ripagare i debiti della Banca d’Italia verso la Banca centrale europea, e forse anche sulla ridenominazione del debito pubblico che ora è protetto dalle Collective action clauses, oltre all’isolamento internazionale dell’Italia. L’obiezione che l’Italia non è la Grecia è una sciocchezza. Certo, l’Italia è molto più grande e le sue imprese competono con successo in tutto il mondo. Ma proprio per questo, non sappiamo come gli altri paesi europei reagirebbero a una svalutazione massiccia di una nuova valuta italiana, e l’Italia potrebbe finire fuori anche dal mercato unico. Per quanto gli italiani siano diventati euroscettici, non ci sarebbe una maggioranza politica disposta ad affrontare questo scenario da incubo, né nel paese né in Parlamento.

 

La seconda ragione, è che il bluff verrebbe prima scoperto dai mercati. Come ha scritto Claudio Cerasa sul Foglio del 23 maggio, il nostro debito pubblico non è lontano da un rating di junk bond, che impedirebbe alla Banca centrale europea di accettarlo come contropartita nelle operazioni di rifinanziamento delle banche, e di rinnovarne gli acquisti alla scadenza. Se il rischio di uscita dall’euro diventasse concreto, la reazione dei mercati costringerebbe presto le agenzie di rating a declassarci due volte. A quel punto l’Italia farebbe la fine della Grecia: il sistema bancario sarebbe strozzato, le imprese e le famiglie non avrebbero più credito, i capitali fuggirebbero all’estero, ci sarebbero le code ai bancomat, il sistema dei pagamenti smetterebbe di funzionare, il governo non avrebbe soldi per pagare pensioni e stipendi. Come è successo in Grecia, in pochi mesi l’economia sarebbe messa in ginocchio. E naturalmente, in poco tempo anche il governo responsabile di questo disastro verrebbe spazzato via.

 

Che ci piaccia o no, il potere contrattuale dell’Italia nei confronti dell’Eurozona è zero. Sono i paesi creditori a dettare le regole del gioco. Al primo segnale che l’Italia potrebbe davvero uscire dall’euro, i capitali stranieri (ma anche italiani) scapperebbero dal nostro paese, e l’Italia si troverebbe con le spalle al muro. Possiamo fare la voce grossa e scontrarci con l’Europa sull’immigrazione, sul bilancio dell’Unione, sulle regole del mercato unico. Ma non possiamo permetterci di mettere in discussione l’euro.

 

Non so quanti elettori siano stati illusi dalla promessa che l’Italia avrebbe rinegoziato i trattati dell’Eurozona a suo favore, né quanti cittadini si rendano conto di tutto questo. Ma il rischio più grave è che non se ne rendano conto neanche i nuovi politici paladini dell’interesse nazionale. Se fosse così, dobbiamo sperare che i mercati finanziari continuino a mandare segnali di allarme sullo “spread”, e facciano capire in fretta al nuovo governo cosa deve fare per tutelare davvero l’interesse degli italiani. Sarebbe imperdonabile se la leggerezza e l’incompetenza di pochi uomini politici facessero ricadere il paese in una crisi finanziaria ancora peggiore di quella da cui siamo appena usciti.

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