Matteo Salvini (foto LaPresse)

Rieccoci servi, ribaldi e irresponsabili. Ma forse è solo un incubo

Giuliano Ferrara

Lo stile dell’Italia oggi è I like, sono arrabbiato, non pago i debiti,  mi avvantaggio della caccia al negro a costo di rovinare settant’anni di politica visionaria, quella europea, con un travolgente ammasso di trash demagogico

Non si dica “ma che vergogna per l’Italia” oppure “pensate alla vostra identità e storia”, quando senza distinzione di destra o di sinistra i giornali tedeschi e altri europei ci trattano da scrocconi, da mendicanti incapaci di dire anche solo “grazie”. Ridondante reagire con l’umor nero della malinconia nazionale o peggio ancora con velleità di vendetta e ritorsione. Si dica piuttosto la verità: siamo così, ci comportiamo così dai tempi della celebre “espressione geografica” di Metternich, siamo integralmente dipendenti, servi, ribaldi, irresponsabili, e dopo una parentesi durata parecchi anni a quello siamo tornati con rara impudenza. D’altra parte i greci, innestati dai turchi su una radice bella e millenaria di civiltà selvaggia, ce le avevano suonate sui monti dell’Epiro, l’ultima volta che siamo passati dalle pretese di autarchia alla servitù politica (paradossalmente, la servitù verso la Germania dell’incubo nazionalsocialista oggi opulenta e riscattata). Ora Plantu sul Monde, davanti a Conte sul seggiolone, chiede scusa ai greculi che l’hanno fatta grossa, certo, ma con altro stile. Il nostro stile è I like, sono arrabbiato, non pago i debiti, offro quattrini che non ho senza chiedere in cambio lavoro, e mi avvantaggio della caccia al negro a costo di rovinare settant’anni di politica visionaria, quella europea, con un travolgente ammasso di trash demagogico.

 

Ora è vero che l’unità nazionale fu l’epopea di un’occasione perduta, e il brigantaggio un annuncio sinistro di sventura, ed è tutto vero quel che anche prima abbiamo narcisisticamente o autolesionisticamente scritto del carattere degli italiani, irrimediabilmente belli ultracivilizzati froci e questuanti. E’ vero che la demografia impazzita qui ha colpito duro. E’ vero che chiesa e scuola non ci sono praticamente più, e i preti bergogliani discettano dei guasti del capitalismo e del clima e i migliori classicisti invece di esigere una buona traduzione dal latino richiedono gite scolastiche per portare a teatro i pupi a discutere dei limiti della democrazia ateniese, che farlocchi che sono. E’ anche vero che alle origini del debito pubblico ci sono lestofanti sindacali e partitici, e ceti liberali minoritari che non hanno mai saputo spiegare l’etica del lavoro e dell’individualismo in una comunità bene ordinata, e siamo finiti con un certo Toninelli che parla, senza sapere quello che dice, di costruire oggi “uno stato etico”. E’ vero che siamo una rozza congerie di etnie i cui better angels vivono tutti nel ricordo e nel lontano passato secolare. Ma con i partiti e l’europeismo conformista, compreso il buon Berlusconi, almeno eravamo dentro la sostenibilità della politica e della storia, agganciati a qualcosa, ora che ci stiamo sganciando si vede solo la mano tesa senza nemmeno il grazie dell’accattone.

 

Dopo l’annientamento di Moro, Craxi, Berlusconi e Renzi, quelli che ci hanno provato, tra errori e camaleontismi ed equivoci ma ci hanno provato, affogo nella miscredenza. Zanda scrive che sono di cattivo umore, e troppo cattivo con il presidente della Repubblica, sì, l’umore è pessimo e non me ne vanto. Quando in un breve arco di tempo si respinge una riforma della Costituzione per poi abrogarne le procedure e cedere il passo ai bimbominkia di successo le ragioni dell’allegria si mostrano rarefatte, e al contrario dei fiduciosi carnefici del paese mi ritengo da tempo parte di una classe d’età sconfitta e responsabile della disfatta. Ma ho ancora la volontà sufficiente, e forse impotente, di credere che questo sia un incubo da cui ci risveglieremo, non la realtà.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.