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Euro e Costituzione. La parola chiave delle prossime elezioni è legittimità

Giuliano Ferrara

Sfasciare settant’anni di sovranità condivisa in Europa è un progetto che va definito con chiarezza, senza bivacco di Manipoli e dottor Stranamore

Legittimità diventa una parola chiave delle prossime elezioni. Non si vota più sui quattrini gratis erogati al cittadino e su flat tax e caccia al negher o quanto è antipatico Renzi con le sue élite. Avendo Salvini e Di Maio gettato la maschera della compatibilità europea, avviando un’operazione di rottura fermata in extremis da Mattarella, per via delle sue evidenti forzature intimidatrici di una prerogativa di nomina del capo dello stato, ora si vota su un percorso che minaccia l’uscita dall’area monetaria comune come sfida aperta a settant’anni di sovranità condivisa in Europa. E su quanto questo progetto sia già costato e possa infine costare al risparmio degli italiani e alla crescita economica con una misura accettabile di prosperità e di distribuzione equa della ricchezza sociale. Ci sarà – se non si voglia barare per la gola – chi dirà che questo è l’unico modo di riequilibrare la situazione favorevole all’euro inteso come alter ego del marco tedesco, penalizzante per l’Italia, e che è un percorso legittimo, come da “contratto”, quali che siano le posizioni elettorali di Lega e grillozzi, se divisi e in competizione o uniti o in desistenza reciproca. La sovranità popolare, sulla base dell’esito del voto, deve poter decidere in merito. Tanto più in quanto del grande azzardo se ne parli apertamente prima delle elezioni, nessuna persona con la testa sulle spalle, nonostante una tradizione di sette decenni a cui nessuna classe dirigente si è mai sottratta finora per l’essenziale, vorrà negare la legittimità del piano. Non certo io, malgrado tutta la furia politica che cerco di mantenere a fatica nei limiti di una limpida posizione di combattimento per le mie o le nostre idee condivise (parlo della mia Italia oggi minoritaria).

 

Dunque progetto legittimo. Ma a due condizioni, che il gesto trumpiano di Salvini e il rigetto di Mattarella hanno messo in evidenza. Primo bisogna sapere quali costi, e da che cosa motivati, rischiamo di pagare alla scommessa. Qui ci sarebbe materia per tecnicismi vari, salvo che su un punto: se hai 2.300 miliardi di debito, di cui il 30 per cento circa collocato nel mondo, provocare una crisi di fiducia sulla tua disponibilità a sostenere quel debito con i conti a posto genera una tempesta, che non è un complotto tedesco o della grande finanza, il cui effetto distruttivo riguarda tutti. E tutti devono sapere attraverso una discussione informata e lucida, dunque per canali che non sono quelli dell’establishment pseudoribelle dell’informazione demagogica, quale sia la posta in gioco riguardo i nostri portafogli, anche quelli delle famiglie svantaggiate o vulnerabili. La legittimità in una democrazia liberale nasce dal dictum einaudiano “conoscere per deliberare”, senza di che non resta che l’orgia delle chiacchiere manipolative, premessa certa di degenerazione del dibattito pubblico in una simulazione di guerra civile.

 

La seconda condizione di legittimità è anche più semplice e lineare, se vogliamo. Quando ampie maggioranze parlamentari, maggioranze assolute, hanno messo in Costituzione il pareggio di bilancio e altri articoli e commi che integrano le politiche di governo con i limiti di una sovranità condivisa con i partner dell’Unione – e ricordo che si chiamava Giancarlo Giorgetti, della Lega, numero due di Salvini, il relatore della legge di attuazione di queste scelte costituzionali definite in pochi mesi nel bel mezzo di una grande crisi dalla quale siamo usciti anche per loro merito – quando questo avvenne qualcosa di profondo cambiò e la democrazia scelse di costruirsi nuove radici mettendole nella carta fondamentale, che è ovviamente superiore alla capacità legislativa di qualunque assemblea eletta. Dunque con questa Costituzione l’azzardo è escluso per principio. La sua legittimità è pari a zero. A meno di non fare del Parlamento e delle istituzioni un bivacco di manipoli che escono da comizi facinorosi e dalla piattaforma Rousseau di una srl privata. Bisogna quindi che il progetto sia portato e definito, non già imponendo un dottor Stranamore della finanza, e minacciosamente, a chi ha la potestà di nominare i ministri, ma riformando la Costituzione e liberandola da quelli che si considerano i ceppi di una sovranità limitata che nuocerebbe al sistema economico e alle libertà del cittadino, contribuente, risparmiatore, investitore. Su questa via, comunque la si pensi, non c’è niente da fare: se una maggioranza sufficiente arriva, con o senza un referendum confermativo, a sbarazzare la Costituzione italiana del suo impegno nerosubianco per i trattati e l’Unione, allora non c’è altro che la resa a un merito e a un metodo democraticamente accettabili. La legittimità è questo lavorio complesso ed equilibrato della politica, non uno schiaffo allo stato in nome di un presidente del Consiglio esecutore e di un ministro Stranamore. Ciò che si può fare rovesciando e riformando princìpi cardinali e incardinati nella Costituzione, non si può fare a colpi di maggioranza e di imposizioni di una piattaforma-contratto raccogliticcia che ci sta costando già, senza ancora essere entrata in funzione, un occhio della testa e un vulnus alla democrazia liberale che è la nostra.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.